Il Castello tra le nebbie

POSTED ON 15 Mar 2023 IN Reportage     TAGS: URBEX, castle

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Siamo arrivati al Castello di B. in un mattina di tardo autunno. L’aria era fredda in anticipo rispetto all’inverno, la nebbia quasi nascondeva la strada. L’entrata è molto stretta e complicata, ma la nebbia e la rarefazione dell’alba ci hanno permesso di rimanere nascosti. Il Castello è antico, anzi, antichissimo, ma dimenticato da tempo. Nel corso dei secoli ha subito modifiche architettoniche importanti che ne hanno trasformato la struttura originale: si tratta di una massiccia costruzione quadrilatera, che aveva probabilmente ai suoi angoli quattro torri. Su alcuni resti di intonaco sono ancora visibili tracce di una decorazione pittorica in stile barocco, risalente con probabilità al XVII secolo.

Negli ultimi anni il castello era adibito ad abitazione privata, i ricordi sono tantissimi: libri, bambole, quadri, tantissimi quadri, lampade, poltrone, foto, un telefono a disco e anche il monitor di un iMac. Il tutto confuso e condiviso da un senso di disordine che sfugge alla comprensione e che lascia un senso di fastidio quasi tangibile a pensare a tanta bellezza, anche nei piccoli dettagli, che cade in rovina e viene abbandonata nell’indifferenza del mondo. La camera da letto è un piccolo capolavoro: molto grande, il soffitto decorato, i mobili antichi, le poltrone, i quadri meravigliosi, il passeggino e la bambola, la polvere e le ragnatele. Meravigliosa, un sogno nella sua memorabile decadenza.

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La chiesa del Santo con gli stivaletti

POSTED ON 10 Mar 2023 IN Reportage     TAGS: urbex, church

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Che però la statua del Santo con gli stivaletti non c’è più. È sparita, insieme ad altri arredi e decorazioni. Io spero che sia stata spostata in un luogo più sicuro, anche perché credo che nessuno avrebbe l’ardire di rubare una statua di quelle dimensioni e così particolare. Per descrivere questa piccola chiesetta, il vero nome è Chiesa della Santa Croce, vi lascio alle parole di Lorena Durante, nel suo articolo trovate anche le foto del santo.

Questa piccola chiesetta è totalmente immersa e nascosta nel verde in un fitto bosco tra le colline del centro Italia. Non ha nemmeno un piccolo spiazzo davanti e neanche il campanile. La costruzione della chiesa risale al XVII secolo ed è composta da pietre incastonate l’un l’altra, non è più agibile a causa dai danni subiti dall’ultimo terremoto che ha colpito duramente la zona. La facciata non è stuccata eccetto nella parte centrale dove un arco ribassato inquadra il portone. Molto semplice e austera presenta due lesene laterali con capitello e timpano non pronunciato che poggia su una modanatura orizzontale. L’interno è molto semplice, stuccato di bianco, il movimento alle pareti viene affidato a paraste dalla base e dai capitelli semplici che corrono lungo tutte le pareti e da due zone lievemente arretrate chiuse ad arco una delle quali contiene un altare e una nicchia. La volta è a botte con lunette. La chiesa è conosciuta con questo nome per la presenza di una scultura lignea di un santo con ai piedi degli stivali che quando abbiamo fatto questa esplorazione era stato svestito dal mantello e dalla mitra. La chiesa si presenta con un livello alto di degrado, come dicevo all’inizio, proprio a causa di eventi sismici che hanno provocato gravi fessure passanti ed è stata purtroppo abbandonata al suo triste destino.

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Villa Campari -Soffitti Meravigliosi-

POSTED ON 4 Mar 2023 IN Reportage     TAGS: urbex

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Ci sono location urbex dimenticate, cioè talmente conosciute e talmente abbandonate che non rientrano nel grande giro stellato. Per definirle con una terminologia comprensibile sono diventate fuori moda, un po’ come i pantaloni a zampa d’elefante. Il caso di Villa Campari è emblematico. Non sono riuscito a trovare nessun cenno storico e la denominazione Campari è chiaramente un’invenzione di qualche simpaticone per la vicinanza con la fabbrica della celebre bevanda milanese. Purtroppo le sue condizioni sono in avanzato stato di decomposizione e la decrescita infelice è ogni giorno più palpabile.

L’interno è completamente distrutto, della storia e del passato non rimane quasi più niente: l’arredamento è sparito, le porte sono state divelte, le finestre non hanno più i vetri, qualche persiana la si può trovare in terra, anche i pavimenti non hanno resistito a vandali e ladri. Nonostante tutto mantiene ancora un fascino straordinario: il viale d’ingresso conserva tutta la sua importanza, la facciata è maestosa, imponente, e quando si entra non si può far altro che rimanere stupiti dalla bellezza dei soffitti che conservano, in discrete condizioni, gli affreschi (credo) originali.

Villa Campari è in stato di abbandono da tanto tanto tanto tanto tempo, ma nel bene e nel male rimane un luogo non privo di interesse, almeno fotografico. Mentre mi inoltravo al piano superiore (facendo attenzione, molta attenzione) sono rimasto sospeso con lo sguardo rivolto in alto ad ammirare i soffitti sopra la mia testa: non resisteranno ancora a lungo ed è un vero peccato. Perpetriamo il ricordo, almeno noi.

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Ritorno ai Santi in Paradiso

POSTED ON 28 Feb 2023 IN Reportage     TAGS: urbex, superwideangle

Ritorno in Paradiso

Al sottoscritto dell’esplorazione urbana -urbex- importa il giusto, non troppo, il giusto. È importante, ma non è il punto focale, non è quello che mi muove. Quello che mi muove è la fotografia e quando non sono soddisfatto di uno scatto devo rifarlo, è un tarlo che mi bussa nel cervello senza soluzione di continuità. E l’immagine di questa stanza mi ha lasciato decisamente insoddisfatto: troppa gente, confusione, tempi veloci, non sono riuscito a ragionare sulla foto come avrei voluto. Giocoforza mi sono sentito costretto a tornare, a fotografare solo quella stanza: probabilsicuramente ho dei problemi psicologici, ma adesso posso completare l’album Santi in Paradiso. Ho scattato da diverse angolazioni, con diversi obbiettivi, e sono immagini che mi limiterò ad aggiungere all’articolo originale. Per ricordare la mia malattia ho deciso di inserire in questo post, come promemoria, una sola foto, ma particolare: è scattata con un grandangolo estremo che ho aggiunto all’ultimo secondo nello zaino, con aria di sufficienza, quasi per sfizio: è l’Irix 11mm f/4 Firefly. Con tutta la calma del mondo.

Villa Redentore

POSTED ON 23 Feb 2023 IN Reportage     TAGS: urbex

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Villa Redentore fa parte della categoria che io amo definire urbex sociale, anche se quasi sempre fine a se stesso. Si trova nel centro abitato di Vigarolo, nel territorio comunale di Borghetto Lodigiano: è abbandonata da talmente tanto tempo che nemmeno gli abitanti del luogo, coloro che ci passano davanti tutti i giorni, ci fanno più caso. Non c’è molto da tenere segreto.

La Villa fu costruita nel 1849 da Flaminio Ghisalberti, gran ciambellano di Sua Maestà Francesco I, su progetto dell’architetto Afrodisio Truzzi. Il disegno originario della villa presentava una facciata caratterizzata da una sequenza di mezze colonne, mentre l’ala nord, prospiciente il parco, mostrava un portico a cinque arcate con al termine la cappella gentilizia. La villa poi passò in proprietà alla famiglia Nocca di Pavia. Nel 1927 divenne uno stabilimento per la lavorazione della seta. L’attività di questo opificio andò avanti sino agli anni ’40, quando l’immobile diventerà proprietà della Mensa Vescovile di Lodi che lo adibirà a luogo di vacanza per i seminaristi, con l’appellativo di Villa Redentore. Dal 1950, la villa divenne stabilmente sede di un centro di vita missionaria per i seminaristi del Pontificio Istituto Missioni Estere di Milano. In quel periodo l’edificio subì modifiche, che ne stravolsero l’equilibrio architettonico originale. Nell’anno 1978, il Comune decise di acquistare la storica dimora. Qualche anno dopo, l’edificio divenne sede dell’Istituto Professionale di Stato per l’Agricoltura, che formava “Addetti alle industrie molitorie e della panificazione”.

Villa Redentore versa in stato di abbandono da quasi 40 anni. Noi siamo arrivati in una giornata uggiosa e cupa, pioveva. La conformazione della Villa è a forma di U e il parco centrale è sovrastato da una stranissima copertura in vetroresina che dona all’area una forte componente di luce azzurro/verde; le gocce di pioggia cadendo sulla copertura provocavano un rumore fortissimo e tetro. Gli interni sono stati quasi completamente svuotati, l’odore di muffa è forte e persistente. Sono rimasti pochi arredi: una camerata con letti da bambino, dei banchi di scuola, qualche scrivania. È tutto fatiscente e pronto a crollare. Quando siamo usciti, nonostante il freddo, ci siamo voltati un’ultima volta: la pioggia continuava a scendere rumorosa, l’atmosfera era angosciante. Siamo andati via senza troppi rimpianti.

Ora sembra il set di un film horror, ma fino a qualche decennio fa ci giocavano i bambini della colonia estiva di Sant’Angelo e tanti si ricordano gli spazi in qualche modo magici, il bel parco con i laghetti e i ponticelli, la grande veranda. E se gli esterni stanchi e ormai sfatti sono sotto gli occhi di tutti, gli interni di Villa Redentore a Vigarolo (in territorio di Borghetto, ma di proprietà del Comune di Sant’Angelo) sono sconosciuti ai più.

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La Villa delle Incertezze

POSTED ON 17 Feb 2023 IN Reportage     TAGS: urbex

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E’ un periodo di riflessioni importanti e di notizie che tagliano l’aria come un coltello affilato. E riescono a lasciarti senza parole. E quanta saggezza si può trovare in queste immortali parole di Lorenzo il Magnifico? Sicuramente il proprietario di questa incredibile villa abbandonata del Nord Italia conosceva l’importanza e il significato del Trionfo di Bacco e Arianna scritto nel 1490 dal Signore di Firenze in occasione delle celebrazioni del carnevale (ed è proprio il periodo).

Il Carnevale aveva tutto il popolo come attore in una forma di democrazia della felicità che il verso del Magnifico sottolinea e accentua al di là delle reali possibilità dei suoi semplici concittadini. Durante il Carnevale si sospendeva ogni incertezza, ogni dolore e il Carnevale diventava un’allegoria, un non-luogo, dove libertà e ricerca del piacere si prendevano gioco non solo delle difficoltà della vita, ma anche della morale del tempo, con canti che spesso inneggiavano alla pura esaltazione della sessualità come forte energia vitale.

E come nel Carpe Diem di Orazio anche Lorenzo ci invita a cogliere l’attimo: chi vuole essere felice, lo sia adesso perché non è possibile avere certezze sul futuro che ci aspetta. E quando si entra in certe ville lasciate al loro destino non si può che fare riflessioni sulla caducità della vita. E’ un argomento che torna spesso nelle mie esplorazioni urbex perché un velo di malinconia e tristezza è sempre vivo e presente quando si fotografano case e oggetti abbandonati, congelati nel tempo, e non può essere altrimenti. Ricordati di essere felice mi diceva sempre una mia carissima amica, è una frase importante (tanto da averla tatuata sul braccio) e credo che ci sia tanta verità in queste 4 parole. Un po’ come oltre 500 anni fa ci rammentava Lorenzo il Magnifico.

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Grand Hotel Milano

POSTED ON 9 Feb 2023 IN Reportage     TAGS: URBEX, hotel

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Del declino delle stazioni termali nel bel paese ne ho già parlato anche troppo e quindi non credo sia il caso di tornare sull’argomento. Qui siamo di fronte all’ennesimo fallimento, alle speranze terminate, ad una cultura che non esiste più. La decadente bellezza del Grand Hotel Milano si concentra e enfatizza soprattutto nelle sue affinate deviazioni.

Sono rimasto affascinato dal bellissimo e colorato soffitto a scacchi -bianco e rosso- della hall: avrei voluto viverlo almeno una volta. Entrare come ospite e rimanere sorpreso dall’allegria e dalla spensieratezza; questa almeno è l’idea che mi viene regalata dall’abbandono. E poi c’è il piccolo teatro, una struttura sul retro, quasi nascosta, che offre all’improvviso una perla non immaginabile dall’esterno. Perché? Il palco, le pareti affrescate, il soffitto in legno e due panchine che ti guardano come un’installazione di arte moderna non comprensibile. Tutto lascia interdetti come in un vuoto visivo, sospesi come se non potesse esserci una vera logica.

E quando si esce, finalmente con calma, ci si guarda intorno in cerca di un appiglio alla realtà e non si riesce a trovarlo; perché sembra tutto fantastico e surreale, quasi distopico nella sua perfetta composizione impossibile. Una strada, un istituto termale, la vita -rara- che scorre come tutti i giorni di fronte alla decadenza del Grand Hotel che domina la scena come se fosse una scenografia di un film di fantascienza, come un’immagine di Gregory Crewdson. E niente, poi si torna nel mondo di tutti giorni e si fa un passo verso la normalità. Tutto torna come sempre.

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Villa Esperia -Un posto da Sogno-

POSTED ON 5 Feb 2023 IN Reportage     TAGS: urbex

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Villa Esperia fa parte dell’ampio scenario abbandonato di una città che nel tempo ha perso la maggior parte della sua importanza. L’ennesimo centro termale italiano che vive una crisi della vocazione turistica ormai inarrestabile e che probabilmente è destinato all’oblio, a diventare una città dimenticata in preda ai fantasmi e ai nobili ricordi del passato. Con ogni probabilità Villa Esperia, prima dell’abbandono, era una moderna casa di cura per anziani: qui si veniva per le proprietà curative delle acque termali. L’interno è molto desolante dal punto di vista fotografico: una hall elegante e sfarzosa, con al centro un bellissimo divano, e la piccola reception sono le uniche foto interessanti, il resto è una serie di stanze moderne completamente vuote, perché Villa Esperia non ha chiuso i battenti ma si è trasferita fuori dal centro abitato, in un luogo più adatto e tranquillo.

A un certo punto mi sono trovato in un ampio salone. Forse una sala da ballo. Enormi lampadari di gocce di cristallo pendevano dal soffitto decorato con stucchi geometrici.
Era vuoto.
Anzi no. Quasi vuoto.
C’erano un vecchio divano in stile liberty, posto al centro della sala, e una carrozzina, come quelle che usano i vecchi. Avverto una sensazione di abbandono e di angoscia. Una profonda solitudine. Quel salone era stato spogliato del suo passato.
Per questo era vuoto.
Anzi no. Quasi vuoto.
Qualcuno lo aveva liberato delle cose che non servivano più. Ma quel passato si manifestava a ogni angolo vuoto e l’assenza delle cose non faceva che richiamare quelle cose in vita rimettendole idealmente al loro posto… come fanno i vecchi con la loro ostinata memoria.
Erano rimasti un divano e una carrozzina. Forse era tutto quello che serviva.
Perché sono qui?
So che c’è qualcuno con me… sento la sua presenza, ma non so chi sia.
So che mi ha portato qui per lasciarmi.
– Alberto Lovisolo

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Villa Hornet -Chincaglieria Cinese-

POSTED ON 3 Feb 2023 IN Reportage     TAGS: urbex

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Il passaggio nel giardino di Villa Hornet (non conosco l’esegesi del nome) è semplice: si entra da un cancello aperto sul retro, è una piccola via laterale, in strada non c’è nessuno. E’ mezzogiorno, fa caldo, nonostante l’autunno sia già iniziato da tempo. L’erba è gialla, incolta, ha sofferto il grande caldo dell’estate, in casa si entra attraverso una porta/finestra spalancata: sono già passati i ladri, ma siamo sicuri che all’interno non incontreremo nessuno perché il silenzio è ingombrante. Le stanze del piano di sopra sono totalmente a soqquadro, come se fosse passato uno tsunami; il primo piano invece è stranamente in ordine, un ordine anacronistico: statuine di ceramica, pupazzi, fiori finti, bottiglie, ventagli aperti in bella mostra, piatti, tazzine, un vestito da geisha di pizzo rosa appoggiato sulla poltrona, l’album delle fotografie abbandonato sul tavolo come se fosse l’ultimo ricordo da memorizzare prima di andare via. È una situazione strana, confusa, precaria, che mi lascia interdetto e non mi piace.

Perché Chincaglieria Cinese? Per via dell’enorme quantità di oggetti dozzinali e perché devo essere molto sincero: mal sopporto i luoghi confusi, il caos, il disordine incontrollato e fra queste mura non ho trovato l’ispirazione necessaria per trovare scatti interessanti. E trovo fisiologico associare questa sensazione alla poca qualità orientale. Un insieme di pessimo gusto e scelte discutibili che mi hanno lasciato perplesso, che mi hanno condizionato, e osservando le foto le ho trovate poco soddisfacenti da subito, non complete, quasi casuali nel raccontare e descrivere. Se dovessi dare un voto sceglierei la singola stella: il minimo.

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Dodecaedro magico

POSTED ON 30 Gen 2023 IN Reportage     TAGS: urbex, industrial, drone

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Il gasometro di Brescia fu costruito nel 1933; è alto quasi 50 metri ed ha un diametro di 28. Quando in funzione serviva per lo stoccaggio del gas di città, definito illuminante, che nel secolo scorso è stato progressivamente sostituito. Durante la seconda guerra mondiale fu bombardato e seriamente danneggiato in quanto obbiettivo sensibile, nonostante le difficoltà economiche venne ripristinato e tornò in funzione, ma divenne presto obsoleto per l’arrivo del gas metano; fu utilizzato solo parzialmente fino alla dismissione definitiva avvenuta nel 1989.

Negli ultimi 30 anni sono stati presentati diversi progetti per un’utilizzo alternativo: ci fu anche un concorso nazionale, nessun progetto risultò fattibile e convincente. L’architetto Gino Bozzetti, noto per i recuperi realizzati in centro città, ebbe l’idea di trasformare il gasometro in un ambiente per mostre, gli architetti Annalisa Taurchini e Roberto Spinoni, laureatisi con una tesi proprio sul gasometro di Brescia come reperto di archeologia industriale, proposero di farne un archivio, fu anche proposto di collocare nel gasometro un museo della tecnica, ma nessuna di queste proposte ha avuto un riscontro positivo. Ad oggi il gasometro è un oggetto di archeologia industriale in attesa che si riesca a trovare una nuova destinazione d’uso.

Mi piace definirlo dodecaedro magico perché da fuori è interessante, ma quando entri dentro è magia pura, come essere protagonisti di un film di fantascienza: il suono che arriva ovattato dall’esterno, la luminosità decisamente scarsa e particolare, la forma a 12 lati, i colori attenuati, tutto contribuisce a creare un’aura davvero emozionante che sembra portarti in un mondo parallelo. Sarebbe bello fosse rimesso a lucido, in sicurezza e utilizzato come monumento visitabile: un retaggio, diversamente bello, del nostro passato.

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La Grande Bellezza -Ca’ Damiani-

POSTED ON 20 Gen 2023 IN Reportage     TAGS: urbex, monument

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Ca’ Damiani è probabilmente una delle più grandi meraviglie del mondo urbex italiano. Quando si entra nelle stanze affrescate di questo palazzo del XVII Secolo non si può che rimanere estasiati dalla grande bellezza che ci circonda completamente: gli affreschi, che andrebbero restaurati, sono stati dipinti nel 1795 dal celebre pittore Niccolò Contestabili. La stanza più importante porta ad essere completamente immersi nella favola di Niobe e della sua superbia: si tratta di un paesaggio a fresco, uno stile molto in voga all’epoca, che occupa tutto lo spazio della stanza, da terra al soffitto e intorno alle pareti senza soluzioni di continuità né cesure.

Niobe aveva sposato Anfione, re di Tebe, e aveva avuto sette forti e robusti figli e sette bellissime figlie. Ne era così orgogliosa tanto da affermare di essere più feconda di Leto, che aveva avuto solo due figli Artemide e Apollo, e pretendeva che a lei e non a Leto spettassero gli onori divini. La storia arrivò alle orecchie di Apollo e Artemide che vollero punire Niobe per l’oltraggio fatto alla madre. Un giorno che i figli di Niobe erano a caccia, Apollo col suo arco d’argento li fece cadere tutti morti. Dopo questo dura punizione Niobe non si arrese anzi nonostante la perdita, continuava a vantarsi in quanto le rimanevano comunque ben sette figlie femmine; era ancora lei a vincere sulla madre di Apollo e Artemide. Questa volta toccò ad Artemide vendicarsi della madre, e ad una ad una con le sue frecce, uccise le sette figlie di Niobe. La sventurata madre accorse sulle pendici del monte dove erano le quattordici salme dei suoi figli, e davanti a quella scena si arrese e pianse, pianse tanto da scongiurare Zeus di tramutarla in roccia. Dopo un lungo vagabondare, Niobe capitò in Lidia dove, come suo volere, fu tramutata in roccia conservando la sua forma; tuttora continua a piangere tanto che da quella pietra colano incessantemente gocce d’acqua.

Il palazzo fu costruito da una importante e ricchissima dinastia di mercanti e banchieri, oltre che appassionati committenti d’arte, che da metà Seicento a fine Settecento, tra Pontremoli, Livorno, Pisa e Firenze crearono un immenso patrimonio. Ca’ Damiani è una struttura molto articolata e complessa: circa 1000 metri quadri, con tre corti, giardino centrale, due scale monumentali di cui una meravigliosa in marmo, vani per depositi di merci, spazi commerciali, piano nobile e un numero considerevole di ambienti. L’intero palazzo, nonostante il vincolo diretto d’interesse architettonico apposto dalla Soprintendenza competente nel 1982, è rimasto nella totale incuria. Conseguentemente il degrado dei paramenti, degli intonaci, modanature e decorazioni esterni e interni, nonché strutturale, a causa della forte umidità di risalita dal terreno che ha intaccato profondamente le murature a piano terra, è proseguito inesorabile fino a oggi.

Ci troviamo di fronte ad un esempio perfetto di decadenza, il palazzo che fu costruito per lo splendore di una famiglia e della sua nobile città, resta in silenzio, morente, in attesa di un’opportunità di rinascita che forse non arriverà mai. (Lorena Durante)

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Villa Azzurra -Il manicomio dei bambini-

POSTED ON 18 Gen 2023 IN Reportage     TAGS: urbex, asylum

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Villa Azzurra, il manicomio dei bambini di Grugliasco, è un luogo di sofferenza; il dolore trasuda dalle pareti, ma si possono solo immaginare le atrocità che si sono compiute fra queste mura.

Un vero e proprio lager chiuso definitivamente nel 1979, ma l’imponente Villa Azzurra esiste ancora e versa in uno stato di abbandono. Si trova al confine fra Grugliasco e Collegno, in fondo alla via Lombroso a Torino e per tanto tempo è stato un luogo macabro che non somigliava né a una villa e né rimandava alle fiabe.

La storia del manicomio Vittorio Emanuele III (questo il nome dell’intera struttura) è lunga è travagliata: venne costruito in epoca fascista, dopo la guerra fu utilizzato come ospedale, ricovero, campo di concentramento per ebrei e ospitò gli sfollati dell’alluvione del Polesine nel 1951 e 1952; tornò alla sua funzione originaria solo nel 1960 e riprese ad ospitare i piccoli malati. Da quel momento iniziò l’epoca più buia e terribile di Villa Azzurra: nel 1964 divenne vice direttore e medico responsabile della struttura il professor Giorgio Coda, psichiatra, meglio conosciuto come l’elettricista per via della sua propensione ad utilizzare l’elettroshock che lui definiva elettromassaggio. I piccoli ricoverati venivano legati ai letti, ai termosifoni, per giorni interi senza possibilità di muoversi e sottoposti a trattamenti atroci.

Nel 1970 il fotografo Mauro Vallinotto riuscì ad entrare con un sotterfugio nella palazzina B dove erano ricoverati i bambini e salì nei dormitori. Travestito da medico scattò una serie di fotografie che fecero scalpore: bambini legati mani e piedi ai letti, ricoperti di mosche, impossibilitati a muoversi, alcuni giacevano con i loro escrementi; ma la foto che fece più scalpore fu quella definita crocefissione di Maria nella quale veniva ritratta una bambina, di circa 6-7 anni, completamente nuda, legata mani e piedi al letto con le braccia divaricate come se fosse crocifissa. Le foto vennero pubblicate il 26 Luglio 1970 sull’Espresso e lo stesso giorno i carabinieri entrarono nella struttura. Da quel momento iniziò la fine del manicomio dei bambini: nel 1974 Giorgio Coda venne condannato a 5 anni di reclusione, ma per un cavillo legale non scontò mai la pena.

Il 2 dicembre 1977, alle 18.30, quattro uomini facenti parte dell’organizzazione armata di estrema sinistra Prima Linea penetrano nell’appartamento dove Coda fa visite private sito in via Casalis 39 nel quartiere “bene” di Cit Turin e, dopo averlo sottoposto a un breve processo e legato ad un termosifone, gli sparano alle spalle e alle gambe. Sul corpo esanime gli attaccano un cartello con su scritto: “Le vittime del proletariato non perdonano i loro torturatori“.

C’è un bellissimo articolo di Michele Smargiassi su Fotocrazia, la rubrica di Repubblica, dedicato alla Crocefissione di Maria. È un racconto vero, intenso, che fa riflettere sul potere della fotografia e sulla storia di Villa Azzurra. Da leggere.

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Il sanatorio -maledetto- di Bioglio

POSTED ON 9 Gen 2023 IN Reportage     TAGS: urbex, hospital

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Quello che viene definito Sanatorio Maledetto si trova a Bioglio, un piccolo paese di nemmeno 1000 anime in provincia di Biella. La lussuosa villa con parco botanico costruita nel 1879 da Giovanni Battista Sella fu donata, tramite la federazione fascista biellese, al Duce che realizzò, come si usava all’epoca, un sanatorio per i malati di tubercolosi e fu inaugurato nel 1931. Bioglio venne scelto per l’aria buona, per la sua posizione collinare esposta a Sud ai piedi delle Alpi, ma al riparo dai venti. Alla fine della guerra passò allo Stato Italiano che dopo il 1962, tramite l’INPS, lo trasformò in casa di cura e prese il nome di Madonna Dorotea. Si racconta che il sanatorio sia maledetto tanto da portare a Bioglio medium ed esperti di paranormale.

Già gli antefatti rendono il luogo particolarmente pregno, in quanto il proprietario Giovanni Battista Sella, deputato nel corso del 1800 e cugino di Quintino Sella, lì si suicidò nel 1902 lanciandosi da una finestra dopo la morte prematura dei due figli (di cui la figlia diciassettenne Ida anch’essa suicida) e della moglie Elena Mathieu. Occorre ricordare inoltre che poco tempo prima proprio la moglie, disperata per la scomparsa dei figli, si era messa in contatto con alcuni medium che convocati dal senatore Federico Rosazza tennero alcune sedute spiritiche, fatto assai usuale in quegli anni.

Negli ultimi anni le testimonianze di strani accadimenti, al limite dell’incredibile, all’interno del Sanatorio sono tantissime: l’apparizione di uomo con un mantello nero ed un cappello di foggia antica davanti agli occhi di un’operatrice, voci in lingua strana, un giovane biondo vestito di bianco che si aggira per i locali, ascensori che si muovono da soli, telefoni che squillano di notte, una voce che recita un rosario, oggetti che spariscono, figure e ombre, porte che si chiudono da sole e infine il più sconcertante: la presenza di una donna bionda che indicando alcune pazienti (tre i casi: Felicina, Artemia e Velina) ne annunciava la morte, realmente avvenuta di lì a poco. Se ne parlò molto sui giornali e in televisione, il noto presentatore Giancarlo Magalli durante una trasmissione che parlava del caso disse: “Possibile che si sbaglino tutti?”. Venne creata anche un’apposita commissione per studiare il caso Bioglio al quale prese parte il noto studioso biellese di parapsicologia Alberto Serena.

Attualmente il sanatorio di Bioglio è in stato di apparente abbandono. È completamente vuoto, ma di proprietà dell’ASL di Biella. È stato chiuso il 30 settembre 2013, all’epoca della chiusura si pensava dovesse diventare un REMS -residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza- cioè una struttura sanitaria di accoglienza per gli autori di reato affetti da disturbi mentali e socialmente pericolosi. Sembrava tutto pronto, ma i tempi si sono dilatati e la necessità di un’ulteriore REMS in Piemonte è venuta a mancare: al momento non è possibile sapere la destinazione futura della struttura. Questi sono i fatti e la storia di una residenza storica che ancora oggi mantiene intatto un fascino incredibile. Appena entrato sono rimasto meravigliato dall’incredibile lucernario che domina dall’alto l’enorme atrio centrale: praticamente non sono riuscito a staccargli l’obbiettivo di dosso.

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Teatro Fascista in 14mm

POSTED ON 4 Gen 2023 IN Reportage     TAGS: urbex, theater

Teatro Fascista in 14mm /08

Sono tornato, quasi per caso, al celeberrimo Teatro Fascista. Non ero molto intenzionato a scattare, ma il tempo in qualche modo va utilizzato e con la fotografia non è mai sprecato: ho deciso quindi di diventare specialistico e di fotografare solo con il Sigma 14mm, un obbiettivo che all’epoca della prima infiltrazione non avevo nello zaino. E da quella esplorazione nel teatro diverse cose sono cambiate: un’insegna è sparita, un’altra è stata spostata all’ultimo piano, è stata eseguita una pulizia poco accurata. Ho cercato delle simmetrie perfette, il tempo a disposizione non mi è mancato, e ho lavorato di precisione con la testa micrometrica per ottenere la perfetta centratura del quadrato. E sono riuscito ad ottenere un reportage, ovviamente solo parziale, ma che trovo decisamente interessante.

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La scala rossa -degli infami-

POSTED ON 3 Gen 2023 IN Reportage     TAGS: urbex

La scala rossa -degli infami- /41

Sarebbe più semplicemente La Scala Rossa (ma anche Villa Keiko, il vero nome), una sorta di Red Carpet del mondo urbex. E devo ammettere che non ho capito il concetto di infami, ci dev’essere qualche faida nascosta; ma il suono mi attirava, era melodioso e poi l’ho sempre definita così, era giusto conservare il titolo.

Questa villa tende a ridefinire il concetto di meraviglia, almeno per quanto riguarda l’esplorazione urbana: si entra dal seminterrato passando da quello che una volta doveva essere un giardino lussureggiante e che invece adesso è ricoperto di foglie secche. Il racconto fotografico è invertito rispetto all’entrata. Nel seminterrato si trova una zona svago, con ping pong, calciobalilla, cantina e zona bar/taverna. Poi si salgono le scale, si arriva all’ingresso e non si può che rimanere estasiati dalla sala da pranzo, dal salone e soprattutto dall’ingresso dominato da una meravigliosa scala in legno ricoperta dal celebre tappeto rosso.

Chiaramente non è finita perché ci sono ancora due piani e la musica non cambia; in tema di musica, nel piano ammezzato trova spazio un pianoforte ormai distrutto dai stralci di soffitto che stanno cadendo sul pavimento. Al secondo e terzo piano si trovano le stanze, lo studio, le camere da letto (ho perso il conto) e sinceramente spero di essere riuscito a raccontare la bellezza attraverso le immagini, perché con le parole è troppo difficile, per me impossibile. Tutto in questa villa è concepito nel lusso e nell’eleganza, non manca davvero nulla: e questo aumenta la sensazione di tristezza e di malinconia. Non ci sono spiegazioni, non ci sono motivazioni comprensibili. Rimangono solo le tantissime bambole, in attesa, nella speranza che un giorno fra queste pareti si possa tornare ad ascoltare risate e vita.

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Natività e Toscanelli

POSTED ON 24 Dic 2022 IN Details     TAGS: urbex, xmas, 50ne

Natività e Toscanelli

Prosegue imperterrita, e senza soluzione di continuità, la tradizione del post natalizio. Ed è il terzo anno consecutivo che riesco a trovare la foto in anticipo e sempre in tema urbex; ma d’altronde capita con un certa frequenza di imbattermi in segni natalizi in location abbandonate. Questa volta non è un albero addobbato e nemmeno un Babbo Natale, ma addirittura un presepe alla moda di Gip: nel televisore. C’è anche un pacchetto quasi intonso di Toscanelli. E il mio più sincero augurio per un bellissimo e felice Natale.

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