Quando si visita una villa abbandonata, oppure un’abitazione privata, si capiscono e percepiscono le persone che l’hanno vissuta. Il loro stile di vita, le loro passioni, come si vestivano. È un gioco di ricerca a ritroso nel tempo, è una specie di causa/effetto per molti versi anche intrigante e affascinante. Nell’urbex industriale la partita è completamente diversa, perché sono luoghi meno intimi, il rovescio della medaglia consiste in una ricostruzione più semplice della storia: gli elementi sono pochi e generalmente più basici.
Ma il motoscafo? Cioè, capisco le risaie allagate, ma il motoscafo? Devo ammettere che quando l’ho visto sono rimasto decisamente perplesso; mi sono immaginato l’utilizzo del motoscafo come mezzo per muoversi nelle risaie al fine controllare le piantagioni; ovviamente sto scherzando (meglio dirlo prima che qualcuno mi prenda sul serio), certo una passione per il mare e la motonautica del titolare potrebbe essere. L’unica soluzione plausibile all’indovinello. E niente, ci sto ancora pensando adesso.
Di fronte alla vecchia fabbrica della Ferrania trova spazio una strana palazzina in stile liberty. È la centrale Elettrica SIPE, ormai abbandonata da tempo e vincolata dalla Soprintendenza ligure dal 2016. È bellissima. Costruita nel 1916 su progetto dell’architetto milanese Cesare Mazzocchi mostra ancora la sua antica bellezza, nonostante sia dimenticata da anni, con le meravigliose decorazioni geometriche, gli enormi finestroni e il ferro battuto. I disegni originali del progetto -studiati da Alberto Manzini- sono conservati presso l’archivio del Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto (MART) e riprodotti presso il Ferrania Film Museum.
La storia della Ferrania nasce nel secolo scorso e si dipana in quasi 100 anni di storia. Sulla pellicola prodotta in questo stabilimento della Valle Bormida è scritta la storia d’Italia: La ciociara, Mamma Roma, Roma città aperta hanno in comune non solo l’ambientazione romana, ma sono tre capolavori del cinema italiano uniti anche dalla pellicola che porta il nome del piccolo paese alle spalle di Savona.
Dopo la guerra la produzione fu convertita: la nitrocellulosa, a un grado minore di nitrazione, unita alla canfora come plastificante, da esplosivo diviene pellicola. È la svolta, nacque la Fabbrica italiana lamine Milano (Film) consociata con la Pathé Frères di Vincennes, la maggiore fabbrica francese di materiale sensibile, fondando, nel 1923, quella che poi sarebbe diventata la Ferrania. Nel 1932 venne assorbita la milanese Capelli dando vita alla Film Cappelli–Ferrania, successivamente venne assorbita un’altra azienda milanese, la Tensi, e nel 1938 la ragione sociale venne modificata, diventando semplicemente Ferrania. L’azienda produceva, oltre alla pellicola, anche attrezzatura fotografica tramite la Società Anonima Apparecchi Fotografici Ferrania con il marchio Ferrania-Galileo; alcuni modelli, come la Condor I, o la Elioflex (del 1950), sono diventati iconici e hanno costruito la storia della fotografia italiana (e non solo). L’azienda arrivò anche a pubblicare, dal 1947 al 1967, una rivista, un periodico che si occupava di fotografia e che portava il nome dell’azienda.
Nel 1996 iniziò il declino, 3M smise di produrre materiale fotosensibile e trasferì i settori della pellicola e del magnetico a una nuova compagnia indipendente, con sede americana, che prese il nome di Imation. Ci fu una contrazione degli investimenti con la chiusura di diversi stabilimenti europei. Nel 2004, con 850 dipendenti e 70 milioni di debiti, Ferrania fu posta in amministrazione straordinaria. Ci fu una mobilitazione di massa, ma ormai la strada era tracciata. Nel 2005 la fabbrica venne acquistata all’asta da una cordata di imprenditori genovesi, che diede vita a Ferrania Technologies, per la produzione di pannelli fotovoltaici, intermedi farmaceutici, chimica per imaging. Ma la stagione del fotosensibile, con l’avvento del digitale, era definitivamente terminata. Si cessò la produzione della pellicola e i pochi lavoratori rimasti vennero posti in mobilità, fino alla definitiva chiusura. Nel 2018 è stato inaugurato a Cairo Montenotte il Ferrania Film Museum, che mostra e racconta la storia e le dinamiche socioculturali della Ferrania. Nel 2019 con il forte ritorno della pellicola e del vintage, una nuova azienda, fondata da Nicola Baldini e Marco Pagni, ha ripreso a produrre, nello stabilimento FILM Ferrania di Cairo Montenotte, una nuova versione della celebre P30. Sono piccoli frammenti di memoria, un ritorno al passato, per non dimenticare una storia davvero importante.
Ci sono realtà industriali che hanno fatto la storia del nostro paese e poi dal nulla vengono inghiottite dall’oblio in pochi istanti. Le officine di Sordevolo nascono come Stabilimento Meccanico Romano & Pidello nel 1927, fondate, in un periodo storico decisamente complicato, da Luigi Romano, specialista della ricerca e dell’organizzazione tecnica (alcuni brevetti FIAT portano il suo nome) e da Andrea Pidello, uomo brillante e di buona cultura, esperto in organizzazione industriale e commerciale.
La produzione principale si qualificava nel settore automobilistico, in particolare degli ingranaggi, delle coppie pignone-corona, dei cambi di marcia: nell’Agosto del 1933 Sua Altezza Reale Adalberto di Savoia, Duca di Bergamo, venne in visita allo stabilimento e volle provare il cambio Sistema RP: ne fu talmente soddisfatto che decise di montarlo sulla sua vettura personale. In quegli anni la produzione aumentò notevolmente anche grazie agli ordini governativi per le forniture della guerra coloniale di Abissinia; entrò in azienda Costanzo Sormano, molto noto come esponente dell’establishment fascista biellese: la ditta assunse la forma giuridica e la denominazione di “Società Anonima Officine di Sordevolo”. Dopo la crisi della seconda guerra mondiale, e il primo difficile periodo di ricostruzione, le Officine ripresero la lavorare a pieno ritmo anche grazie agli aiuti e alle sovvenzioni del Piano Marshall, provvedimento finanziato dagli Stati Uniti per il sostegno della ripresa dell’economia e del sistema produttivo dell’Europa libera.
Il gasometro di Brescia fu costruito nel 1933; è alto quasi 50 metri ed ha un diametro di 28. Quando in funzione serviva per lo stoccaggio del gas di città, definito illuminante, che nel secolo scorso è stato progressivamente sostituito. Durante la seconda guerra mondiale fu bombardato e seriamente danneggiato in quanto obbiettivo sensibile, nonostante le difficoltà economiche venne ripristinato e tornò in funzione, ma divenne presto obsoleto per l’arrivo del gas metano; fu utilizzato solo parzialmente fino alla dismissione definitiva avvenuta nel 1989.
Mi piace definirlo dodecaedro magico perché da fuori è interessante, ma quando entri dentro è magia pura, come essere protagonisti di un film di fantascienza: il suono che arriva ovattato dall’esterno, la luminosità decisamente scarsa e particolare, la forma a 12 lati, i colori attenuati, tutto contribuisce a creare un’aura davvero emozionante che sembra portarti in un mondo parallelo. Sarebbe bello fosse rimesso a lucido, in sicurezza e utilizzato come monumento visitabile: un retaggio, diversamente bello, del nostro passato.