POSTED ON 15 Feb 2025 IN
Reportage
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URBEX

Nella mia carriera da urbexer c’era una macchia, una fastidiosa e persistente macchia che non riuscivo a cancellare. Un fastidio che mi tormentava, e che sembrava non voler andare via. Durante l’esplorazione a Villa Ferrari nel 2023, avevo commesso un errore: avevo mancato una stanza. Non una stanza qualsiasi, ma quella che rappresentava l’anima stessa della villa: la sala con la famosa Ferrari giocattolo, che dava il nome alla villa. Ogni volta che guardavo immagini o foto di quella Ferrari, una tremenda fitta al cuore, il mio disagio cresceva e la macchia sembrava allargarsi. La Villa, intanto, non dava buone notizie: era stata chiusa, blindata, sigillata. E, a complicare le cose, la distanza geografica rendeva quasi impossibile un ritorno. Le possibilità di completare il mio reportage erano ormai ridotte al lumicino.
Poi, come un colpo di fortuna, arrivò una voce, un suggerimento: la Ferrari era di nuovo visitabile. Senza pensarci troppo, ho deciso di partire. Una sorta di bisogno interiore di sistemare le cose, di togliere quella macchia dalla mia coscienza. Una volta arrivato sul posto, mi sono subito diretto alla caccia della stanza mancante. Dopo una ricerca spasmodica e qualche momento di confusione e smarrimento, l’ho trovata. Era nascosta, bellissima e maledetta, sfuggita alla mia vista nella fretta della prima esplorazione. Ma la Ferrari? Nemmeno l’ombra. Qualcuno l’aveva spostata, portandola al piano superiore, nella camera da letto.
Non potevo permetterlo. Ho preso il bolide e l’ho riportato nella posizione originaria, nel suo luogo di appartenenza. Ho dedicato a quella Ferrari ogni mia attenzione, ammirandola nella sua bellezza, nella sua eleganza senza tempo. Era rossa, polverosa, perfetta. E finalmente, quella macchia fastidiosa, che mi aveva perseguitato a lungo, è scomparsa. Ho aggiunto le foto al post originale: il reportage era completo, la coscienza finalmente pulita.











POSTED ON 14 Feb 2025 IN
Reportage
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URBEX,
church

Questa chiesa abbandonata e sconsacrata si trova ai margini di un cimitero in un piccolo paese di montagna. Le sue dimensioni, ridotte, la fanno sembrare più una cappella che un vero e proprio luogo di culto. Per accedervi è necessario attraversare il campo santo, dirigersi verso la parte più a nord e scavalcare un piccolo cancello. Nonostante l’ambiente circostante sembri ancora vivo, scusate la metafora incongruente, appena varcata la soglia della chiesa ci si imbatte nel più completo abbandono. La porta, in pessime condizioni, è solo un piccolo anticipo, il preludio di ciò che si troverà all’interno: polvere, muffa, umidità e detriti.
Ma quello che mi ha colpito maggiormente è la sorprendente vivacità dei colori. Il rosso, il verde, il giallo si stagliano in modo intenso e quasi surreale, effetto particolarmente strano per un luogo dedicato al silenzio e alla preghiera. Questi colori, vivi e reali, sembrano voler raccontare una storia diversa, una storia di decadenza certo, ma anche di bellezza tangibile. Dopo qualche scatto rapido, senza restare troppo a lungo per evitare rischi, esco, lasciando dietro di me questa chiesa che conserva ancora un fascino triste, ma vivace.





POSTED ON 13 Feb 2025 IN
Reportage
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URBEX


Qualche tempo fa avevo parlato delle verifiche disattese, ma a volte ci si imbatte in luoghi abbandonati che non hanno nulla di affascinante, solo distruzione e desolazione. Questo è esattamente il caso che mi trovo a raccontare. Da fuori la struttura sembrava anche interessante, ma una volta varcato il suo ingresso, ci siamo trovati di fronte a un luogo privo di qualsiasi caratteristica degna di nota. Abbiamo trovato qualche mobile sparso che ci ha costretto a trasformarci in arredatori, poca roba, nulla che potesse suscitare la nostra curiosità. Nonostante questa pochezza ho deciso di scattare qualche foto, anche se più per l’esigenza di non uscire a mani vuote che per la bellezza del posto.
La cosa che mi ha colpito di più, forse per la sua stranezza, è stata
una porta con la scritta studio, che ho scelto di utilizzare come titolo, anche se non sono riuscito a capire di quale tipologia di studio si trattasse. Un vecchio calendario del 2010, un camino smurato, due poltrone malconce e uno specchio rovinato erano gli unici elementi a caratterizzare l’ambiente.
Un angolo di noia e tristezza (e di guano di piccioni), che tuttavia mi ha lasciato qualche foto da aggiungere
alla mia galleria. Nulla di speciale, ma
è parte del gioco dell’urbex: la necessità di trovare bellezza anche e soprattutto
nei luoghi più dimenticati.






POSTED ON 12 Feb 2025 IN
Reportage
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URBEX

Chi aveva esplorato prima di me mi aveva descritto una situazione drammatica: salire al secondo piano era già stato un azzardo nel 2020, davvero troppo pericoloso. In effetti, il Castello di Castiglione, conosciuto come Castello di Carta, è famoso anche per le sue condizioni precarie. Di carta perché sembra proprio sul punto di collassare da un momento all’altro, come uno di quei castelli che i bambini (ma non solo) costruiscono con le carte da gioco.
Non mi sono arreso, però, e appena ho avuto l’occasione, non mi sono lasciato fermare dalla minaccia di un possibile crollo. Per arrivare al castello, si percorre una salita di circa 400 metri, nel mezzo di un’erba alta e fitta. Il cielo era grigio, minaccioso, e sembrava non promettere nulla di buono. Non appena ho varcato la soglia ho capito che la situazione descritta non era affatto un’esagerazione. Salire al secondo piano per fotografare quel bagno rosa così particolare mi ha lasciato una leggera sensazione di ansia, che è evidente nelle immagini (che sono di pessima qualità). Ma quando stavo per uscire, il cielo ha ceduto: è iniziato un violento temporale estivo.
Nel tentativo di ripararmi ho notato uno squarcio nel muro e, quasi per caso, mi sono infilato dentro. Un colpo di fortuna: ho trovato la chiesa del castello. Non era prevista e non ci speravo: avrebbe dovuto essere murata. Ho sperato che la pioggia smettesse, ma niente da fare, e avevo anche poco tempo. Ho attraversato a tutta velocità il complicato giardino e, con il battito cardiaco a mille, mi sono lanciato sotto la pioggia battente giù per la strada sterrata, la stessa che avevo percorso in salita. Sono arrivato alla macchina completamente fradicio. Ma è stata un’esperienza unica: prima il rischio di crollare dentro un castello ormai dimenticato e poi uscire sotto un temporale improvviso. Un’avventura che valeva la pena vivere, era obbligatorio recuperare!










POSTED ON 11 Feb 2025 IN
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museum

Villa Grock di Imperia è uno dei luoghi più affascinanti e singolari della Riviera Ligure, un piccolo angolo di storia e arte. La Villa in origine si chiamava Villa Bianca e fu ideata e costruita da Adrien Wettach, in arte Grock, consacrato Re dei clown all’Olympia di Parigi nel 1919: Grock fu una vera e propria star internazionale dall’inizio del novecento fino al suo addio alle scene nel 1954. Artista straordinario: parlava 8 lingue, giocoliere, equilibrista, acrobata, in grado di suonare 14 strumenti musicali, ammaliò il pubblico di tutto il mondo trasformando il suo rotondo nome d’arte in autentica leggenda. La villa, che fu costruita nel 1927, si erge su una collina con una vista mozzafiato sul mare. Il suo ideatore scelse personalmente il terreno e progettò gran parte della tenuta, supportato dal geometra Armando Brignole.
Grock, che aveva conosciuto e si era innamorato di Imperia e del suo territorio grazie ai suoceri originari di Garessio, aveva deciso di rendere la villa un riflesso della sua personalità unica, tanto che la sua abitazione diventò una vera e propria espressione del suo genio artistico. Il parco che circonda la villa è ricco di invenzioni stilistiche e decorative, cariche di simbolismi circensi ed esoterici, tra cui spiccano tre fontane (la grande Peschiera, la fontana dell’Arancio e Per Aspera ad Astra), un suggestivo laghetto con gloriette e un ponticello che conferiscono al giardino una straordinaria atmosfera fiabesca. Ogni angolo della villa sembra raccontare una storia, un mondo lontano che ancora oggi affascina chi lo osservo da lontano e chi ha la fortuna di visitarlo.
La villa fu la casa di Grock fino alla sua morte nel 1959 e, negli anni successivi, la proprietà passò attraverso varie vicissitudini. Negli ultimi decenni del secolo scorso, Villa Grock fu lasciata in stato di abbandono e divenne una sorta di rifugio per chi cercava di scoprirne il passato. Fu proprio durante quegli anni che iniziai a visitarla di nascosto. Mi sentivo attratto dal suo fascino decadente, dalle stanze vuote e dalle antiche strutture che portavano con sé il peso del tempo: era un urbex d’avanguardia, ma ancora non lo sapevo. Ogni angolo sembrava racchiudere un pezzo della vita dell’artista, un ricordo che si stava lentamente dissolvendo. Era una villa che parlava di solitudine, ma anche di un genio che l’aveva abitata, che l’aveva popolata di colori, suoni, risate e magia.
Nel 2002, la Provincia di Imperia acquistò la villa per 1,5 milioni di euro, e in seguito fu avviato un lungo processo di recupero e restauro. Il parco fu riaperto nel 2006, la villa fu riaperta nel 2010, dopo un accurato lavoro di ristrutturazione. La rinnovata Villa Grock non è solo una dimora storica, ma è anche un
punto di riferimento culturale per la città. Nel 2013, infatti, venne inaugurato il
Museo del Clown all’interno della villa, un museo interattivo che celebra il mondo circense, di cui Grock è stato uno dei protagonisti indiscussi.
Non saprei dire quante volte ho visto Villa Grock, per gli Imperiesi è un punto di riferimento. La sua imponente presenza sulla collina delle Cascine regala quasi una senso di sicurezza. Sono tornato a visitarla, pagando il biglietto, dopo almeno 25 anni, e sono rimasto meravigliato da come il restauro, soprattutto del parco, abbia restituito al pubblico e alla città un angolo di storia che non solo onora la memoria di Grock, ma racconta anche la bellezza di un luogo che ha continuato nel tempo a esercitare un irresistibile fascino su chi, come me, ha avuto la fortuna di vivere la sua storia, la sua bellezza e il suo mistero.
Io sono il risultato di mezzo secolo di osservazione e di ostinazione, del desiderio di perfezionare ciò che era già perfetto. Sono convinto di esserci riuscito.
– Grock











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POSTED ON 9 Feb 2025 IN
Reportage
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URBEX

La Casa del Pilota Decorato vive nel ricordo del coraggio, quello del pilota che, morto per un incidente nel 1940, aveva ricevuto due medaglie d’argento al valor militare. La casa è immersa nel silenzio, l’unico rumore che interrompe la quiete è il mio respiro e il leggero scricchiolio dei pavimenti sotto i miei passi. Non ho ancora iniziato a fotografare, fuori dalla finestra vedo passare un ciclista, ma è concentrato sulla strada e non si accorge del sottoscritto. Il luogo ha un’atmosfera sospesa, quasi irreale, come se il tempo si fosse fermato. Qui, un eroe di guerra ha lasciato tracce indelebili, e con lui, la sua famiglia ha continuato a vivere nel ricordo, per tanti anni, dopo la sua morte.
La sala è la stanza più bella e importante: mi colpisce subito l’imponenza del quadro che rappresenta Gesù Cristo, appoggiato su una poltrona consunta. Probabilmente è stato appeso a lungo in passato, ma il tempo e l’abbandono hanno trasformato anche quest’immagine sacra in qualcosa di più simile a un vecchio ricordo: qualche esploratore l’avrà appoggiato lì per dargli importanza. Accanto al quadro, una bicicletta malandata giace in un angolo, come se la vita di qualcuno si fosse fermata proprio lì. Dall’altra parte delle stanza, un vecchio televisore sembra essere rimasto fermo in un’epoca che non c’è più. Un quadro con una foto del giovane pilota è appoggiato vicino a una macchina da cucire Wertheim. Accanto a questi oggetti, una carrozzina da neonato fa pensare a una vita che è andata avanti, nonostante la tragedia e la perdita.
Salgo le scale e noto un poster davvero strano: è una Porsche Martini Racing, in gara a Digione (il sodalizio Martini Racing e Porsche è iniziato nel 1971 per terminare nel 1980). La presenza di un simile pezzo di quasi modernità in una casa che conserva la memoria di un uomo decorato per il suo valore militare sembra un curioso contrasto, ma anche un segno che la vita, nonostante tutto, andava avanti. A metà delle scale c’è un bagno, e sopra la porta un piccolo spazio dove sono stati sistemati alcuni libri. Sembrano appartenere a una sorta di piccola biblioteca, un angolo di conoscenza e cultura che oserei definire alquanto bizzarro.
Proseguo nell’esplorazione al piano di sopra e arrivo nelle camere da letto, il disordine è totale, ma l’atmosfera religiosa della casa si fa, se possibile, ancora più tangibile. Appesa al muro c’è una foto di Papa Paolo VI, a testimonianza della forte devozione di questa famiglia. Un madonna di Lourdes (un grande classico sempre presente) è appoggiata su una mobile, a poca distanza dall’immagine del sacro cuore di Gesù, dal soffitto spuntano lampadari dal design singolare, oggetti che appartengono a un’altra epoca. Le stanze trasudano un’aria di sacralità e rispetto, ma anche di solitudine, come se il passato non avesse mai davvero abbandonato questo luogo.
La Casa del Pilota Decorato era un monumento alla memoria, ogni angolo è impregnato di storia, di emozioni e di ricordi che raccontano non solo la vita di un eroe, ma anche quella di una famiglia che ha vissuto il lutto, la memoria e il sacrificio per decenni. Nonostante l’abbandono e la polvere che ricopre ogni superficie, la casa mantiene viva la memoria del pilota e della sua famiglia, una testimonianza di coraggio, amore e devozione che spero non sarà mai dimenticata.







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