Oro, oro, oro
Un diamante per un sì
Oro, oro, oro
Per averti così
Distesa, pura, ma tu ci stai
Perché accetti e ci stai?
– Mango
Il Forte della Madonna degli Angeli è una fortezza ottocentesca costruita intorno al 1881 dai Savoia, si trova su una collina alle immediate spalle del centro di Savona, ad un’altitudine di 232 metri. E’ rimasta attiva sino al 1947, qui è passata la storia e si sono combattute le due guerre mondiali; nella fortezza troviamo una rampa, postazioni di cannoni, torrette telemetriche, porte blindate, cemento armato, ferro battuto, polveriera, un ponte levatoio ormai sparito nel tempo, una lapida in memoria.
Qui il 27 Dicembre 1943 ci fu un’importante rappresaglia nazifascista. Dopo l’attentato del 23 dicembre alla Trattoria della Stazione (luogo di ritrovo, in via XX settembre, di fascisti e tedeschi) che causò 5 morti e 15 feriti (tra questi ultimi uno dei più noti collaborazionisti lo squadrista Bonetto accanito persecutore degli antifascisti savonesi) le autorità germaniche suggerirono l’opportunità di dare un maggior rilievo all’avvenimento con una punizione esemplare che consentisse di approfittare della circostanza per eliminare alcuni tra gli antifascisti di maggior prestigio politico locale.
Cristoforo Astengo avvocato di 56 anni
Renato Willermin avvocato di 47 anni
Francesco Calcagno contadino di 26 anni
Carlo Rebagliati falegname di 47 anni
Arturo Giacosa prima operaio di 38 anni
Amelio Bolognesi soldato di 31 anni
Aniello Savarese soldato di 21 anni
Un lapidain marmo posta sulla parete posteriore del forte, restaurata nel 2018, ricorda il tragico evento. Sul muro sono ancora visibili i fori dei proiettili del fucile mitragliatore che uccise, senza pietà, i 7 antifascisti: sotto il piombo dei traditori eroicamente cadevano.
Credo non ci sia molto da raccontare sulla Cappella della Sacra Sindone, il capolavoro di Guarino Guarini, patrimonio Unesco dal 1997 e riaperta nel 2018 dopo 21 anni di restauro in seguito all’incendio che divampò nella notte fra l’11 e il 12 aprile del 1997. Dopo aver visto diverse immagini volevo provare a scattare una foto zenitale: mi ero portato anche un piccolo treppiedi per riuscire nel mio intento. Poi appena entrato mi sono accorto che sarebbe stato impossibile in quanto il centro della Cappella è occupato da un enorme altare sul quale è vietato salire. Ho quindi dovuto accontentarmi della luminosità del mio 14mm Sigma e ho scattato a mano libera, ma ferma, a f/2.5. Niente facile riuscire a mantenere una prospettiva centrale, ma dopo diversi tentativi credo di essere riuscito a portare a termine l’impresa zenitale con discreto successo.
Ci sono realtà industriali che hanno fatto la storia del nostro paese e poi dal nulla vengono inghiottite dall’oblio in pochi istanti. Le officine di Sordevolo nascono come Stabilimento Meccanico Romano & Pidello nel 1927, fondate, in un periodo storico decisamente complicato, da Luigi Romano, specialista della ricerca e dell’organizzazione tecnica (alcuni brevetti FIAT portano il suo nome) e da Andrea Pidello, uomo brillante e di buona cultura, esperto in organizzazione industriale e commerciale.
La produzione principale si qualificava nel settore automobilistico, in particolare degli ingranaggi, delle coppie pignone-corona, dei cambi di marcia: nell’Agosto del 1933 Sua Altezza Reale Adalberto di Savoia, Duca di Bergamo, venne in visita allo stabilimento e volle provare il cambio Sistema RP: ne fu talmente soddisfatto che decise di montarlo sulla sua vettura personale. In quegli anni la produzione aumentò notevolmente anche grazie agli ordini governativi per le forniture della guerra coloniale di Abissinia; entrò in azienda Costanzo Sormano, molto noto come esponente dell’establishment fascista biellese: la ditta assunse la forma giuridica e la denominazione di “Società Anonima Officine di Sordevolo”. Dopo la crisi della seconda guerra mondiale, e il primo difficile periodo di ricostruzione, le Officine ripresero la lavorare a pieno ritmo anche grazie agli aiuti e alle sovvenzioni del Piano Marshall, provvedimento finanziato dagli Stati Uniti per il sostegno della ripresa dell’economia e del sistema produttivo dell’Europa libera.
Palazzo Bordoni certo non si nasconde: appena si entra in Altare, arrivando dal mare, appare maestoso, in alto, come a dominare il paese e la sottostante via Gramsci. E poi quando arrivi davanti all’entrata un cartello indica che fa parte dell’itinerario Napoleonico come fosse un museo visitabile; ed in effetti è visitabile anche se non c’è nulla: il cancello è aperto, si segue una stradina sterrata dove la vegetazione ha preso il sopravvento e si arriva davanti al portone d’ingresso, ovviamente spalancato. È quasi difficile definirlo urbex, nonostante sia abbandonato da tantissimi anni sembra quasi che dopo gli scalini, sulla destra, possa esserci la biglietteria.
Durante il secondo conflitto mondiale Palazzo Bordoni ospitò il battaglione San Marco che fissò qui il suo quartier generale in quanto Altare era un valico di notevole importanza strategica per l’accesso dalla Liguria verso il Piemonte. Negli ultimi decenni del secolo scorso si parlò ripetutamente di recupero, ma ovviamente furono spese solo parole e nessuna azione concreta. Ad oggi il terzo piano è assolutamente inagibile, il ballatoio inizia a dare segni di cedimento e la meravigliosa scala in marmo verde e ferro battuto è pericolante e pericolosa. Palazzo Bordoni è uno di quei luoghi che non si può nascondere, ma che anzi deve condiviso il più possibile perché non merita di finire nel dimenticatoio.
Non ero convinto ad andare a vedere, nella sala degli Stemmi della Stazione Porta Nuova di Torino, la mostra The World of Banksy – The immersive experience dedicata all’artista sconosciuto più famoso al mondo. Poi ho vinto un paio di biglietti e sono andato. :-) In effetti la prima idea (non andare) non era completamente sbagliata: la mostra è molto bella e contiene spunti interessanti, che portano a pensare, a riflettere. Ma dal punto di vista artistico sono chiaramente riproduzioni di graffiti e per chi conosce la storia e le idee di Banksy non dice nulla di nuovo. Ho comunque scoperto immagini che non conoscevo e ho fotografato: non sono foto artistiche e probabilmente non sono nemmeno valida documentazione. Mi piace però pensare che siano un ricordo, perché la foto può essere anche così e qualche volta ho necessità di tornare al passato, a quando ho iniziato a fotografare per bloccare momenti di vita.
I graffiti sono stati utilizzati per dare inizio a rivoluzioni, fermare le guerre, e in generale sono la voce delle persone che non sono ascoltate.
– Banksy
Se devo scegliere la più pericolosa, tra le tante infiltrazioni urbex degli ultimi anni, il pensiero corre subito alla Chiesa di San Lorenzo, a Zeri, sul confine fra Liguria e Toscana (in realtà anche Villa Wannabe non male). La Chiesa di San Lorenzo è chiusa da più di trent’anni per pericolo di crollo e non sono previste operazioni salvataggio/ristrutturazione e nemmeno di messa in sicurezza: un cartello avvisa del pericolo di crollo, stop.
L’idea che dal tetto possa scendere qualcosa, forse anche tutto, è palpabile e la sensazione di pericolo si respira e si sente: per diversi minuti mi sono guardato intorno sperando che il lampadario non cadesse e ancora adesso mi chiedo quale forza miracolosa gli permetta di rimanere ancorato al soffitto. Ho scattato il più rapidamente possibile, pregando sottovoce, e sono scappato alla velocità della luce dedicandomi alle più tranquille foto in esterno (e con il drone). Sinceramente non so per quanto possa ancora rimanere in piedi, ma sconsiglio fortemente di tentare l’intrusione: è davvero molto pericolante.
Iniziamo subito con il dire che non mi aspettavo di essere circondato da decine di bambini festanti (e urlanti); ma avrei dovuto intuirlo perché la storia di Hercules è mito, leggenda, fantasia, è anche un cartone animato Disney, di domenica pomeriggio: ecco, qualche avvisaglia a dire il vero c’era. Lo spettacolo è stato divertente con picchi di entusiasmo alle apparizioni del simpatico Pegaso, il mitico cavallo alato di Ercole (addirittura ovazione ai saluti finali), ed è stato applaudito anche dagli adulti. Io mi sono divertito e ho apprezzato molto i personaggi maschili che hanno accompagnato l’eroe: Filottete (come ha fatto ad indossare quelle calzature per tutto lo spettacolo rimane un mistero) e Ade, semplicemente perfetti nella loro caratterizzazione. È chiaro che la sceneggiatura viene ricondotta al classico Disney del 1997 e ne ripete fedelmente la trama (e immagino anche qualche battuta, ma ammetto di non aver mai visto il film). Concludo la prima parte del post con i complimenti, sinceri e doverosi, alla compagnia Once upon a time di Carrù: sono giovani, bravi e hanno una passione per il teatro e la recitazione quasi commovente: mi sono piaciuti tantissimo, sia nel backstage che sul palco, e non voglio aggiungere altro per non cadere nella retorica.
Quando Asia mi ha proposto di fotografare a teatro ho accettato con entusiasmo. Perché ADORO fotografare a teatro: è una sfida difficile e complicata, ma i risultati sono quasi sempre interessanti. Nel caso si trattava de “La Leggenda di Hercules” messo in scena al teatro civico Milanollo di Savigliano dalla giovane Compagnia Teatrale Carruccese Once Upon a Time. Ovviamente ho inserito una condizione essenziale e importante: poter fotografare nel backstage almeno un’ora prima della rappresentazione. Perché ritengo che sia fondamentale per la riuscita degli scatti di scena, perché si impara a conoscere gli attori e perché ritengo che, con una buona capacità camaleontica, si possano tirare fuori scatti interessanti. Ne ho scelti 19, trasformati come sempre in bianco e nero (i colori dietro le quinte non sono mai interessanti). Per le foto di Hercules sarà necessario pazientare ancora qualche ora. Stay Tuned.