Ci sono esplorazioni che iniziano con uno stato di ansia decisamente alto. Magari per le voci che ti sono arrivate (quasi sempre da decifrare e verificare) oppure per l’ambientazione esterna. Villa Rainbow, che viene definita così per i colori delle vetrate della veranda, fa parte di questa categoria di esplorazioni e ha portato nelle nostre ossa un carico di tensioni decisamente alto. Perché ci avevano parlato di allarme attivo (quando un luogo è abbandonato la prima cosa che viene a mancare è la corrente elettrica) e anche per via di una posizione molto centrale e in vista.
E poi Villa Rainbow è davvero meravigliosa, da lasciare senza parole: la veranda colorata, il salone con il parquet, le bellissime stanze da letto, la scalinata luminosa; è un campionario perfetto della perfetta villa urbex. Non mancano infatti le fotografie in bianco e nero, il pianoforte, i quadri, la poltrona colorata, il vecchio giornale, il vaso di fiori, la giacca appesa al muro, la macchina da cucire (ma non è singer) e, ciliegina sulla torta, non manca nemmeno la stanza bruciata. Servirebbe anche una carrozzina di inizio secolo scorso: qualcuno può portarla?
Questa sera verrà inaugurata la mostra collettiva dei soci di MondovìPhoto; il tema scelto, a Maggio, in assemblea (con qualche sana e costruttiva discussione) è Genius Loci. È già vedo molti dei miei innumerevoli lettori (4) storcere il naso con espressione dubitativa.
Valutando la mia scarsa propensione al metafisico (il Genius Loci nella religione romana è un’entità naturale e soprannaturale legata a un luogo) ho deciso di scegliere un linguaggio molto semplice, quasi formale, un luogo che amo sopra ogni cosa, che mi ha visto prima bambino e poi diventare adulto: la spiaggia della Galeazza. Non sono assolutamente certo di aver colto il Genius Loci della Galeazza, ma in queste immagini sento il rumore delle onde che si infrangono sugli scogli e mi immagino seduto sulle pietre, con le gambe rinchiuse fra le braccia, ad ammirare il paesaggio e deprecare il mio passato. Insieme alle foto verrà esposto un testo che trovate qui. Vi aspetto numerosi, io non ci sarò. :-)
In genere, si può dire che i significati radunati dal luogo costituiscono il suo Genius Loci.
– Christian Norberg-Schulz
Il Mufant è il primo e unico museo italiano dedicato al fantastico ed è l’acronimo di MuseoLab del Fantastico e della Fantascienza. Si trova a Torino, in una zona al momento un po’ angusta (non riuscivo nemmeno a trovare l’entrata), ma che a breve potrebbe diventare importante. Si parla infatti di costruire una statua a grandezza naturale di Goldrake (se così possiamo dire, teoricamente 30 metri di altezza) nel parco antistante al museo: non sono ancora arrivati i permessi e forse non arriveranno mai, ma in futuro chissà, sperare si può.
Essendo confuso, denso di materiale e per certi versi difficile da catalogare, fotografare è molto complicato, riuscire a trovare una linea pulita nell’immagine è difficile. Troppa roba. Mi sono concentrato sui dettagli (e sono tantissimi) e sulle personaggi che rendono il museo un salto indietro fantastico e fantascientifico nel tempo. E per me i robottoni sono sempre qualcosa di malinconico.
Mission: valorizziamo e diffondiamo tutte le espressioni del Fantastico, dalle origini ottocentesche alle moderne declinazioni nei generi fantascienza, horror e fantasy. Ci divertiamo molto!
Il 28 maggio scorso sono salito sul treno storico che viaggiava da Torino a Ormea attraversando la suggestiva Valle del fiume Tanaro. Si trattava di una locomotiva Diesel (quindi storico, ma niente carbone) che portava con se le celebri carrozze Corbellini. Queste carrozze furono costruite tra il 1948 e il 1963 in tre gruppi principali (Tipo 1947, Tipo 1951R e Tipo 1957R) e rimasero in servizio nelle ferrovie dello stato per quarant’anni. Devono al nome al ministro dei trasporti Guido Corbellini che, dopo averle progettate quando era Capo del Servizio Materiale e Trazione delle Ferrovie dello Stato, ne ordino successivamente la costruzione. BON significa Bagnasco, Ormea, Nucetto, cioè i tre paesi della Val Tanaro nel quale il treno si fermava per permettere ai passeggeri di scendere per visitare i borghi e per assistere agli spettacoli in programma durante la giornata. Io sono salito a Ceva e sceso a Bagnasco (dove avevo lasciato la macchina) e poi ho provato ad anticipare il treno all’arrivo ad Ormea senza peraltro riuscirci.
Durante il tragitto in treno non mi sono dedicato certo all’ozio e all’ammirazione del paesaggio, ma ho fotografato. Il mondo del treno storico è variopinto e divertente: si possono incontrare giovani e meno giovani, tutti accomunati dalla voglia di vivere un’esperienza diversa che riporta al secolo scorso. Poi c’è intrattenimento musicale, culturale, storico e questo rende il viaggio diverso, non è un percorso per raggiungere una metà, ma il viaggio stesso diventa il luogo da raggiungere. Potevo forse scriverlo meglio, ma spero si comprenda il concetto. Mi sono dedicato soprattutto al ritratto e ho scelto 22 foto monocromatiche che spero riescano a raccontare l’esperienza del Treno Storico.
Dovessi scegliere una parola che racconta il treno storico che attraversa la Valle Tanaro più che VIAGGIO sceglierei SOGNO.
– Lorena Durante
A inizio luglio mi sono trovato al confine fra le province di Verona e Mantova. Era da poco passato mezzogiorno e il caldo infernale toglieva il respiro. Villa Curtoni Tretti -detta Cortalta- si trova qui, in questa alacre zona d’Italia che si dedica principalmente all’agricoltura intensiva, in piena pianura Padana. Intorno il silenzio, qualche azienda agricola e chilometri di campi coltivati. La Villa è circondata da un fosso, detto Rabbioso, ma si entra facilmente e varcando il cancello si arriva davanti a un’aia immensa: lo sguardo viene subito catturato dall’eccezionale sviluppo del fronte meridionale della villa, lungo ben 140 metri, sul quale si affacciano la casa padronale, al centro, e le due barchesse, ai lati, con due torrioni a chiusura.
Per entrare nella casa padronale è necessario superare il colonnato e varcare quello che rimane della soglia di ingresso: si capisce subito che la situazione strutturale del complesso è davvero drammatica e il rischio crollo imminente. Si entra in una stanza, che può sembrare un salotto, con un camino, due sedie scenografiche e un meraviglioso pupazzo della Pantera Rosa. Non è rimasto molto e pensare che qui, all’inizio degli anni ’60 del secolo scorso, vivevano circa 90 persone. Si passa in un ampio corridoio nel quale rimane solo una credenza con 3 uccelli impagliati, il soffitto è in parte crollato; poi ci sono le scale, si sale con cautela, ma il secondo piano è praticamente inagibile. Qualche foto rapida facendo attenzione a dove si mettono i piedi e poi di nuovo di sotto a salutare la Pantera Rosa, l’ultimo guardiano di questa meravigliosa Villa che ormai non c’è più.
A margine della PhotoMarathon torinese ho scelto di passare un po’ di tempo alla fiera del Disco. È una sorta di
Ero certo che avrei trovato spunti interessanti e magari qualche foto per la competizione fotografica. In realtà nessuna foto si adattava ai temi della maratona (solitamente fotografo prima e poi cerco di comprendere il tema), ma la fiera del disco è stata di grande ispirazione e in pochi minuti sono riuscito a portare a casa tantissimi scatti interessanti. E poi ho osservato e ammirato qualcosa di vero e autentico, e io adoro il sacro fuoco della pazzia che viene alimentato senza interruzione dalla forza della passione. E fra queste bancarelle e fra questi dischi di passione ne ho trovata davvero tantissima.