Riuscire a spiegare con le immagini e le parole le emozioni che si provano quando si entra in un luogo abbandonato è molto difficile. E se quel luogo esce dalla naturale idea delle cose è davvero complicato. Perché posso comprendere l’abbandono di una casa, di un ospedale, di un’industria, ma riuscire a trovare un senso nell’abbandono di un bar è fottutamente impossibile. Un bar non si abbandona, un bar è per sempre, è un luogo di incontro, di amicizia, di storie, di racconti. È il bar Mario di Ligabue, il bar Necchi di Amici Miei, il Central Perk di Friends, c’è un’atmosfera che rende il bar sempre vivo e sempre presente. Il bar è sacro, intoccabile.
I bar sono luoghi universali, come le chiese, sacri luoghi di ritrovo dell’umanità.
– Iris Murdoch
E quando sono entrato in questo piccolo bar abbandonato all’entrata di un minuscolo paese di provincia ho provato una stretta al cuore. È un locale povero, ma orgoglioso, un locale che racconta la storia di un paese e delle sue persone. Immagino le discussioni al banco, gli aperitivi, cornetto e brioches, il bianco e Campari del sabato sera. È un bar d’antan che mi ricorda quello dove mio nonno giocava interminabili partite a carte con gli amici e il fernet branca, il fumo delle sigarette, la gazzetta aperta sul tavolo vicino. Bellissime le bottiglie in bella vista dietro al bancone, il registratore di cassa, la piccola cucina, il banco dei gelati, il bottiglione di vino sul tavolo. E mi prende la malinconia, per quello che è stato e per quello che non sarà più.
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