
Raccontare e descrivere Villa dei Ventagli non è affatto semplice, perché si tratta di un’esperienza unica, come direbbe Battisti, un tuffo dove l’acqua è più blu, un viaggio che ti porta in un luogo anche più affascinante del solito. Non voglio soffermarmi troppo sulle circostanze del perché, voglio partire subito con la storia. Sono arrivato al mattino presto, il tempo a mia disposizione era pochissimo. Alle 6.30 ero davanti al cancello, e alle 8 avrei dovuto essere già fuori. Il tempo è tiranno, la sicurezza una priorità: il luogo è controllato e molto in vista, l’esplorazione deve essere discreta, quasi invisibile. Il giardino è completamente incolto, e già da fuori si capisce che la casa è in stato di abbandono almeno apparente. L’ingresso non è semplice, si scavalca un cancello alto, ma con velocità di esecuzione e un po’ di coraggio, in pochi secondi, sono all’interno.
Una volta dentro, mi dirigo subito
verso la stanza principale, la sala padronale, e il suo fascino mi rapisce. È proprio
come l’avevo immaginata, come l’avevo vista nelle foto. Fuori è ancora buio, l’alba si sta facendo strada, e mi rendo conto che la luce cambierà rapidamente, diventando più intensa di almeno due stop. Scatto alcune foto di sicurezza per non perdere nulla, e salgo le scale. Arrivato al secondo piano, mi accorgo subito che la luce è più forte. Il sole è uscito, e la stanza appare con una chiarezza che mi permette di notare ogni dettaglio. La prima cosa che cattura la mia attenzione è
uno studio, un po’ disordinato: sul tavolo c’è un
catalogo di figurine Liebig. Si tratta di una raccolta storica, pubblicata ininterrottamente dal 1872 al 1975: non ne avevo mai viste così tante insieme, una meraviglia. E poi quella scimmia, non ho parole per descriverla.
Le stanza da letto è altrettanto affascinante, forse anche di più, e il volto di un felino su un tappeto mi osserva dalla balaustra delle scale. Ridiscendo, fermandomi a fotografare una mensola con un coniglio che sembra quasi reale. Arrivo all’ingresso, dove la porta principale è sprangata. Fotografo i quadri con i ventagli appesi alle pareti: ventagli d’epoca, molto probabilmente, con solo il pavese dentro una cornice. Una statua in legno, di provenienza esotica, mi osserva con un ghigno di disprezzo, scatto una foto alla veranda, i cui colori sono caldi, dolci e intensi grazie alla luce dell’alba che sta ormai filtrando dalle vetrate. C’è anche un bagno curioso, con un lavandino verde e uno stanzino con il telefono, dove probabilmente la padrona di casa, alla fine del secolo scorso, trascorreva molto tempo attaccata alla cornetta.
Il cuore pulsante della villa, però, è senza dubbio la sala. Addirittura cinque grandi finestre illuminano la stanza, e ovunque ci sono ventagli: appesi alle pareti, in vetrina, sopra un tavolo, attorno al caminetto, sulle sedie; al centro della stanza un mobiletto con le ruote, pieno di alcolici, attira la mia attenzione (non potrebbe essere altrimenti). Mi concentro e scatto quante più foto possibili, anche troppe, cercando di catturare ogni particolare e ogni ventaglio. Il tempo scorre veloce, il limite orario si avvicina, devo andare. Non sono del tutto soddisfatto delle foto, ma mi accontento della luce che sono riuscito a sfruttare e dei colori che ho catturato. Ho fretta.
Prima di uscire, noto una tartaruga sotto una sedia, apparentemente a riposo, ma con uno sguardo di sfida, sfrontato, fastidioso. Sposto leggermente la sedia, la fotografo, e poi fotografo nuovamente la stanza, un’ultima volta. Finalmente, lascio la villa, esco dall’algoritmo. Sono fuori in giardino, non c’è nessuno. Scavalco nuovamente il cancello e, mentre mi allontano, vedo un signore che mi saluta gentilmente. Ricambio il saluto, buongiorno, e salgo in macchina. E’ stata un’esplorazione breve, ma intensa, emozionante e affascinante. La villa racconta la storia di una persona, una collezionista, che per la sua passione avrebbe fatto qualsiasi cosa: figurine, ventagli, bamboline strane, oggetti di ogni tipo. Una persona che amava raccogliere e custodire, che amava il bello. Mi allontano, sperando che questa villa, come tante altre, non finisca nell’oblio dei famigerati urbexer e nelle mani di chi, purtroppo, cercherà di rubare e distruggere. Ad Maiora.








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