Devo ammetterlo: la mostra Typologien, photography in 20th-century Germany, alla Fondazione Prada mi ha lasciato un po’ spiazzato. Una di quelle esperienze in cui esci con sensazioni miste e non sai bene se ti è piaciuto tutto, niente o solo qualcosa nel mezzo. La curatela è firmata da Susanne Pfeffer, storica dell’arte e direttrice del Museum MMK für Moderne Kunst di Francoforte. Curioso: sono rientrato da Francoforte da poche ore, e forse è destino che la città continui a tornare fuori anche dove meno me l’aspetto.
La mostra raccoglie fotografie di autori tedeschi del secolo scorso. Alcune immagini mi hanno lasciato del tutto indifferente: piatte, fredde, inutili, nessun guizzo. Altre, invece, mi hanno colpito con forza. È quella sensazione tipica di quando passi dieci minuti a guardare qualcosa che non ti dice nulla, poi ti volti e una foto ti aggancia come se ti stesse aspettando.
La vera sorpresa, però, è stata Thomas Ruff. Nome sconosciuto, almeno per me. In mostra c’erano quattro suoi ritratti in fila, dimensioni decisamente importanti (e questo aiuta). Sembravano fototessere: sfondo neutro, volto frontale, espressione piatta. Eppure non riuscivo a staccare gli occhi. Li ho guardati a lungo, cercando di capire cosa mi tenesse lì impalato. Non erano tecnicamente sorprendenti (ma comunque perfetti), né particolarmente creativi. Ma c’era qualcosa, una strana intensità. Forse la forza era proprio nell’assenza di tutto il resto. Ho poi scoperto che gran parte del lavoro di Ruff segue questa linea: minimalismo estremo, frontalità, niente fronzoli. Una fotografia che non urla, ma dimostra con fermezza. E che funziona. Almeno con me.