La Chiesa del muschio verde (nome decisamente evocativo e, al tempo stesso, descrittivo) è immersa nel silenzio della pianura padana. Siamo entrati dalla finestra sul lato sinistro, con un po’ di fatica e qualche scricchiolio sospetto (delle mie ossa). Dentro, l’atmosfera era surreale: una piccola chiesa abbandonata, ma ancora in piedi, come se stesse aspettando qualcuno da anni. Il pavimento era completamente coperto da un muschio verde acceso, talmente uniforme da sembrare quasi messo lì apposta per fare scena. Maledetti urbexer arredatori.
Sulle pareti laterali le stazioni della Via Crucis sono ancora tutte al loro posto, leggermente storte, incorniciate da strati di muffa e intonaco che si sfalda. Il fonte battesimale, vicino all’ingresso, è danneggiato: il bordo è spezzato e l’interno è pieno di foglie secche. L’acqua benedetta è solo un ricordo. Eppure è ancora lì, stabile, come se potesse servire ancora. Abbiamo osservato con calma, senza parlare, cercando di non lasciare tracce. Il verde brillante del pavimento contrastava con le ragnatele alle finestre e il silenzio era rotto solo dal rumore ovattato dei nostri passi sul muschio. Poi siamo usciti da dove eravamo entrati, lasciandoci dietro una chiesa abbandonata, triste e meravigliosa, che, nonostante tutto, sembra ancora in attesa.
Ci sono esplorazioni che colpiscono subito, altre invece si lasciano capire e apprezzare solo con il tempo. Quella che viene soprannominata Villa dei Drappi Rossi appartiene, senza ombra di dubbio, alla seconda categoria. Avevo sentito parlare di questa casa per merito di una figura abusiva che, a quanto pare, la abita ancora – o almeno la controlla – durante il giorno. Per evitare incontri spiacevoli abbiamo scelto di arrivare all’alba. Nessuna presenza, nessun ostacolo. L’ingresso è stato persino più semplice del previsto. La vera difficoltà è iniziata dentro. Fotografare, più che entrare, è stato il vero problema. Trovare un senso, una logica, in quel caos. La luce era brutale: tagli netti, forti contrasti, ombre complicate. In certi ambienti sembrava impossibile trovare un equilibrio tra ciò che il mio occhio vedeva e ciò che la macchina era in grado di capire. Colpa mia ovviamente.
Eppure, tutto questo equilibrio visivo non riuscivo a metterlo insieme: la luce delle finestre era troppo intensa, il rosso troppo potente. Serviva un’inquadratura centrale, pulita. E serviva calma, e quella, guarda la combinazione, mi mancava. Alla fine mi sono steso a terra per allineare il lampadario con la simmetria del soffitto e trovare il mio zenit. Ho scattato con calma, senza ansia, cercando la quadratura del cerchio: quella perfetta. Quello scatto, e forse solo quello, mi piace davvero: è l’unica immagine che mi regala una certa soddisfazione. Il resto della villa non mi ha restituito lo stesso impatto. Alcuni ambienti erano spogli, altri semplicemente troppo bui e caotici. Ma a volte una sola stanza basta, certe volte anche una sola foto, per salvare un’intera esplorazione.