PHOTOSNEVERSLEEP di SAMUELE SILVA - Fotografia Urbex, Ritratto e Reportage

La Villa dei Rombi

POSTED ON 18 Mag 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, mansion

La Villa dei Rombi /09

Chi frequenta il mondo dell’esplorazione urbana lo sa: alcuni posti non ti colpiscono subito, ma per qualche motivo restano impressi. La Villa dei Rombi è uno di questi. Una villa piuttosto semplice, con poche stanze e niente di eclatante, ma con un dettaglio che la rende inconfondibile: una porta con vetri a forma di rombo, colorati di rosso e arancione.

Quella porta – ancora sorprendentemente intatta – conduce a una sala che sembra rimasta in attesa. C’è un vaso su un tavolo, alcune poltrone disposte con un certo ordine, uno specchio inclinato che riflette frammenti sparsi della stanza. Sotto lo specchio, su un mobile, spunta la vera protagonista non dichiarata dell’arredamento post-abbandono: la madonnina con l’acqua di Lourdes. A giudicare da quante ne ho viste in giro, pare che mezza Italia abbia fatto il pellegrinaggio. Io faccio parte dell’altra metà ovviamente. Sul camino, un crocifisso (manca mai) dall’aria un po’ inquietante affiancato da un quadro. Anche qui, come spesso succede, tutto sembra sistemato apposta per raccontare qualcosa, anche se non è chiaro cosa. Più banalmente per costruire una foto che possa risultare instagrammabile.

Tre scalini in legno portano a un curioso piano rialzato, quasi una soffitta a vista. È uno spazio luminoso grazie a una grande porta-finestra, con un pavimento in legno, che potrei definire vissuto e che scricchiola al minimo passo. Al centro, quasi in posa, una vecchia valigia, di quelle di cartone, coperta di polvere: sembra dimenticata, più probabilmente lasciata lì apposta per far scena. Le camere da letto sono ormai vuote, spoglie. Ma nel bagno c’è un dettaglio che fa sorridere: un flacone di Paperino’s, il celebre dentifricio anni ’70 e ’80 al gusto di fragola, banana o chewing gum. Un prodotto così dolce che le mamme temevano che i figli lo mangiassero a cucchiaiate, più che usarlo per lavarsi i denti (anche mia mamma). Trovarlo lì, dopo decenni, è come scoprire un souvenir di un’epoca in cui anche l’igiene orale aveva un sapore più divertente.

All’esterno, la natura si sta riprendendo tutto. Le piante si arrampicano ovunque, invadono il giardino, spingono verso il cielo. La villa resiste, anche se a fatica. Non è una location particolarmente interessante, anzi: se non fosse per quella porta con i vetri a rombo, sarebbe probabilmente già finita nel dimenticatoio. Ma basta varcarla una volta per ricordarsela a lungo.

La Villa dei Rombi /10La Villa dei Rombi /12

La Villa dei Rombi /15La Villa dei Rombi /16La Villa dei Rombi /17

Golden Wait

POSTED ON 17 Mag 2025 IN Street     TAGS: EVENT, museum, gold

Golden Moments

Nel mondo della street photography è noto che spesso gli scatti più riusciti nascono da lunghe attese. Tanti fotografi raccontano di aver trascorso ore in un punto preciso, aspettando la combinazione perfetta di luce e soggetto. All’ingresso della mostra Typologien alla Fondazione Prada, ho notato una parete dorata che catturava la luce in modo molto particolare; moderna e fotogenica al punto giusto. All’andata (perdonatemi il termine calcistico) non sono riuscito a ottenere uno scatto soddisfacente: avevo la mia solita fretta e mancava il soggetto giusto.

All’uscita ero più concentrato, ho scelto il punto di ripresa e mi sono posizionato in modo discreto con la macchina fotografica pronta. Diversi passanti sono entrati nel mio campo di foto, anche troppi e spesso contemporaneamente, ma nessuno sembrava completare la scena come avevo in testa. Doveva essere un solo soggetto ed essere quello giusto.

Dopo circa venti minuti, quando stavo quasi per desistere, è passata una giovane donna con una carrozzina. Senza esitare, ho scattato. L’immagine risultante cattura l’armonia tra la luce dorata della parete e la figura in movimento. Quel momento fugace, impossibile da costruire a tavolino, documenta la realtà e racconta molto più di quanto potessi immaginare: c’è un equilibrio vero tra il soggetto che passeggia e la compostezza dell’ambiente. Forse è proprio questo che cerchiamo nella street photography: un frammento di mondo banale, che per un attimo diventa importante, semplicemente perché abbiamo avuto la pazienza di aspettarlo. Quasi sempre è solo per noi, qualche volta può diventare significativo anche per gli altri.

Villa Bellavista -dei Pappagalli-

POSTED ON 15 Mag 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, mansion

Villa Bellavista /01

Villa Bellavista si trova in Toscana, anche se oggi di bella ha poco e di vista ancora meno: tutto attorno crescono piante che sembrano decise a riprendersi ogni metro. Il nome vero è scritto sopra la porta d’ingresso, in ferro battuto, ma nel mondo urbex è nota come Villa dei Pappagalli, per via dei volatili dipinti sul soffitto della stanza principale. Un dettaglio curioso, quasi fuori posto, come se qualcuno avesse voluto dare un tocco esotico a un edificio che oggi è in grave stato di abbandono.

Siamo entrati in un pomeriggio caldo, di quelli che forse sarebbe meglio passare in spiaggia, e subito l’aria stagnante ci si è appiccicata addosso. L’ingresso è silenzioso, rotto solo dai vetri sotto le scarpe. La stanza centrale è l’unica vera protagonista di tutta la villa. Ampia, con pareti dipinte a trompe-l’oeil e un soffitto decorato da rami intrecciati, che culminano in quegli strani pappagalli sospesi tra cielo e fantasia. L’effetto è ancora sorprendente, nonostante lo stato generale: qui il tempo ha colpito duro, ma non ha cancellato.

Sul pavimento un disastro, ma anche qualche residuo di storia. Una macchina da cucire Atlas, distrutta e ormai irriconoscibile, si contrappone ad una sedia che sembra essere uscita direttamente dal Castello di Re Artù. In un altro contesto sarebbe tutto pittoresco. Qui è solo fragile, distrutto, decadente. Le stanze successive raccontano meno. Pareti scrostate, infissi che pendono, pavimenti ricoperti di polvere, quando non sono crollati, e nessun dettaglio da descrivere. Non c’è nulla di particolarmente interessante, e forse è anche meglio così. In una stanza spicca un graffito: la parola LOVE scritta in grande, in rosso ovviamente, e alzando lo sguardo non si può fare a meno di ammirare il soffitto. Non si sa se sia un messaggio ironico, un tentativo di lasciare un segno o solo un atto di un’anima ottimista. In ogni caso, non sembra appartenere alla casa, e proprio per questo risalta. Quando siamo usciti mi ha pervaso un senso di delusione e fastidio.

Villa Bellavista non ha più molto da dire, ma i suoi pappagalli, in un certo senso, parlano ancora.

Villa Bellavista /14Villa Bellavista /16

Villa Bellavista /10Villa Bellavista /11Villa Bellavista /12

Fondazione Prada

POSTED ON 14 Mag 2025 IN Street     TAGS: museum, minimal

fondazioneprada

Certe foto nascono prima ancora di impugnare la macchina fotografica. Le vedi formarsi all’improvviso, come un lampo nella mente. È successo così anche per questa foto: la scena davanti a me si è trasformata in un’immagine già composta, già mia, prima ancora che potessi pensarci davvero. Lì ho capito che quella era una mia foto, inconfondibile. La scritta in alto, la figura umana perfettamente posizionata, l’equilibrio pulito tra linee e spazi, tutto dentro un’architettura moderna e minimalista. Una sintesi visiva che mi rappresenta, come se il luogo sapesse che sarei passato di lì, in quel preciso momento. Come se mi aspettasse.

Il vero scatto, però, è venuto dopo. E con lui la parte più difficile: trovare l’attimo giusto, quello senza passanti, senza rumore visivo, senza distrazioni. Non volevo/potevo essere visto mentre fotografavo, e non volevo nemmeno che qualcosa rompesse l’equilibrio che avevo immaginato. Ho aspettato, pochi minuti, come in apnea.

Quando la scena si è finalmente svuotata, avevo già la macchina in mano (come sempre), pronta: apertura massima, ISO 400 per non sbagliare, tempi rapidi. In una frazione di secondo ho scattato cinque foto, poi mi ha guardato, come se sapesse. Non credo di aver colto l’espressione perfetta del soggetto, non è mai semplice, ma la geometria sì, quella l’ho presa al volo, anche perché l’avevo già costruita nella mente da qualche minuto. Ed è per questo che la foto mi piace. Perché mi assomiglia: minimale, essenziale, matematica. Ma dietro, un battito veloce, troppo veloce. Alla fine, penso che la fotografia sia proprio questo: un dialogo tra l’immagine che immaginiamo e quella che riusciamo a catturare. A volte ci si avvicina, altre ci si sfiora appena. Ma ciò che resta è sempre un frammento della nostra visione, una traccia di come vediamo il mondo. E in quei pochi secondi, mentre l’otturatore si chiude, c’è sempre un po’ di noi che si ferma, anche se solo per un attimo.

La villa del medico condotto

POSTED ON 14 Mag 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, mansion

La villa del medico condotto /01

La villa del medico condotto è una delle esplorazioni urbex che mi ricorderò con più chiarezza, non tanto per l’edificio in sé, quanto per un episodio particolare che è accaduto durante la visita. Era molto presto, intorno alle 5:30 del mattino, primavera inoltrata, e il sole si affacciava appena oltre le colline. Avevo deciso di arrivare sul posto alle prime luci dell’alba, per sfruttare la tranquillità e la luce favorevole. L’accesso alla villa, infatti, si trova in pieno centro abitato e non è particolarmente discreto, quindi era importante evitare orari troppo frequentati.

A pochi chilometri dal mio pin, mentre percorrevo una strada di campagna, ho notato davanti a me un’auto che procedeva molto lentamente.

Pensavo al solito vecchietto lento, poi mi sono avvicinato per superare e ho visto che davanti alla macchina c’era un gruppo numeroso di persone che camminavano. Alcune avevano in mano delle torce e l’uomo al volante mi ha fatto segno di rallentare, dicendo semplicemente: “È una processione, vada piano”. Ho proseguito lentamente, ho superato il gruppo (capeggiato da un enorme croce) con cautela e sono arrivato alla villa. Ho parcheggiato, sono entrato e ho iniziato la mia esplorazione. Mentre ero al secondo piano, ho sentito un fortissimo brusio, delle voci provenire dall’esterno. Mi sono affacciato a una finestra e ho visto che la processione stava passando proprio sotto la villa. Era un gruppo molto numeroso – direi alcune centinaia di persone – che camminavano per le vie del paese recitando preghiere. È stato un momento piuttosto insolito: mentre scattavo le foto all’interno di una casa abbandonata, in evidente stato di degrado, fuori si svolgeva una cerimonia religiosa di grandissima partecipazione; erano da poco passate le 6 del mattino. Ho scattato due foto di nascosto per congelare il momento e sono tornato in veranda.

La villa del medico condotto è un luogo affascinante, intriso di storia e di memorie. Ovunque si posi lo sguardo, ci sono oggetti che raccontano una vita intera, dettagli che restituiscono un mondo ormai scomparso. Sapevo della presenza di una veranda splendida, e così, appena entrato sono salito al secondo piano, l’ho cercata subito. Era presto, la luce del mattino iniziava appena a filtrare: quando entro in un luogo all’alba, cerco sempre di cominciare dagli spazi più luminosi. E anche stavolta non sono rimasto deluso. La veranda era avvolta in un’atmosfera poetica, attraversata da una luce delicata e dorata. Mi sono concentrato per non sbagliare quella che sapevo sarebbe stata la foto più importante.

Poi ho continuato l’esplorazione, stanza dopo stanza. Un bagno incredibilmente stretto, quasi verticale, incassato nella scala. Una vecchia carrozzina in soffitta, che sembrava arrivare da un altro secolo. Il fasciatoio di marmo, le saponette dell’Olio Carli, da Imperia, conservate con cura e ancora nella scatola originale. Un vaso da notte a forma di papera, buffo e surreale. Occhiali, una dentiera, piccoli oggetti quotidiani. Le ciliegie al liquore Fabbri, sempre presenti anche in casa mia, del quale ricordo perfettamente il sapore forte e dolciastro. E, immancabile, quasi attesa: la statuetta dell’Acqua di Lourdes, con la classica forma della Madonna.

Le due stanze più significative erano sullo stesso piano. La sala da pranzo, bellissima, illuminata da una terrazza che lasciava entrare una luce calda e radente. La tavola ancora apparecchiata, un divanetto giallo, un sofà in stile inglese, il caminetto maestoso: tutto fermo, immobile, cristallizzato in un tempo che non scorre più. Accanto, quello che doveva essere l’ambulatorio del medico: un lavabo per lavarsi le mani, volumi di medicina in libreria, e sul banco, ancora lì, gli strumenti del mestiere. Nessun segno di vita recente, solo silenzio, confusione e polvere.

E poi c’è una foto che ho voluto e che mi piace particolarmente. In quello che ho immaginato fosse un piccolo tinello, o forse un’antisala, la luce colpiva direttamente l’obiettivo da una finestra proprio di fronte. Non riuscivo a domarla: era troppo forte, troppo netta. Allora ho deciso di farmela amica. Ho tolto il paraluce e ho sfruttato una delle piccole debolezze della mia lente: la sua fragilità in forte controluce. Quello che era un limite è diventato parte dell’immagine. Alla fine, anche le imperfezioni raccontano qualcosa. Forse proprio quelle rendono certi luoghi ancora più veri.

La villa del medico condotto /04La villa del medico condotto /05La villa del medico condotto /23

La villa del medico condotto /02La villa del medico condotto /03La villa del medico condotto /06La villa del medico condotto /07

La villa del medico condotto /11

La villa del medico condotto /22La villa del medico condotto /21La villa del medico condotto /20

Typologien – Photography in Germany

POSTED ON 12 Mag 2025 IN Street     TAGS: museum

Typologien /01Typologien /02

Devo ammetterlo: la mostra Typologien, photography in 20th-century Germany, alla Fondazione Prada mi ha lasciato un po’ spiazzato. Una di quelle esperienze in cui esci con sensazioni miste e non sai bene se ti è piaciuto tutto, niente o solo qualcosa nel mezzo. La curatela è firmata da Susanne Pfeffer, storica dell’arte e direttrice del Museum MMK für Moderne Kunst di Francoforte. Curioso: sono rientrato da Francoforte da poche ore, e forse è destino che la città continui a tornare fuori anche dove meno me l’aspetto.

Il progetto applica il principio della tipologia, nato nel XVII e XVIII secolo in botanica per classificare e studiare le piante, sviluppato dalla fotografia dall’inizio del Novecento e affermatosi in quella tedesca nel corso del XX secolo. Paradossalmente il principio formale proposto permette di stabilire analogie inaspettate tra artisti tedeschi di diverse generazioni e al contempo rivelare i singoli approcci alla fotografia.

La mostra raccoglie fotografie di autori tedeschi del secolo scorso. Alcune immagini mi hanno lasciato del tutto indifferente: piatte, fredde, inutili, nessun guizzo. Altre, invece, mi hanno colpito con forza. È quella sensazione tipica di quando passi dieci minuti a guardare qualcosa che non ti dice nulla, poi ti volti e una foto ti aggancia come se ti stesse aspettando.

Conoscevo già August Sander. I suoi ritratti sono sempre solidi, fantastici per certi versi, ma sapevo cosa aspettarmi. Nessuna sorpresa. Stesso discorso per Bernd e Hilla Becher: catalogazione rigorosa, geometrie industriali, tutto perfetto, tutto già visto. Interessante, certo, ma ormai prevedibile come il finale di un film già spoilerato. Poi è arrivato Andreas Gursky, con la sua celebre 99 Cent. All’inizio non l’ho nemmeno riconosciuta, colpa mia. Quando ho realizzato cos’era, mi sono fermato. L’immagine, dal vivo, è quasi allucinante: iperreale, simmetrica, piena di dettagli che non finiscono mai. E poi il prezzo della stampa: oltre 3 milioni di euro. Sarà anche arte concettuale, ma sapere che sto guardando qualcosa che vale più di quanto io posso anche solo immaginare rende l’esperienza decisamente… interessante.

La vera sorpresa, però, è stata Thomas Ruff. Nome sconosciuto, almeno per me. In mostra c’erano quattro suoi ritratti in fila, dimensioni decisamente importanti (e questo aiuta). Sembravano fototessere: sfondo neutro, volto frontale, espressione piatta. Eppure non riuscivo a staccare gli occhi. Li ho guardati a lungo, cercando di capire cosa mi tenesse lì impalato. Non erano tecnicamente sorprendenti (ma comunque perfetti), né particolarmente creativi. Ma c’era qualcosa, una strana intensità. Forse la forza era proprio nell’assenza di tutto il resto. Ho poi scoperto che gran parte del lavoro di Ruff segue questa linea: minimalismo estremo, frontalità, niente fronzoli. Una fotografia che non urla, ma dimostra con fermezza. E che funziona. Almeno con me.

Alla fine, non so bene perché certi scatti mi abbiano colpito così tanto. Ma forse è proprio questo il punto: la fotografia non deve sempre spiegarsi. A volte ti arriva addosso senza un motivo, e va bene così.

Typologien /05

Typologien /03Typologien /04