Nel mondo della street photography è noto che spesso gli scatti più riusciti nascono da lunghe attese. Tanti fotografi raccontano di aver trascorso ore in un punto preciso, aspettando la combinazione perfetta di luce e soggetto. All’ingresso della mostra Typologien alla Fondazione Prada, ho notato una parete dorata che catturava la luce in modo molto particolare; moderna e fotogenica al punto giusto. All’andata (perdonatemi il termine calcistico) non sono riuscito a ottenere uno scatto soddisfacente: avevo la mia solita fretta e mancava il soggetto giusto.
Dopo circa venti minuti, quando stavo quasi per desistere, è passata una giovane donna con una carrozzina. Senza esitare, ho scattato. L’immagine risultante cattura l’armonia tra la luce dorata della parete e la figura in movimento. Quel momento fugace, impossibile da costruire a tavolino, documenta la realtà e racconta molto più di quanto potessi immaginare: c’è un equilibrio vero tra il soggetto che passeggia e la compostezza dell’ambiente. Forse è proprio questo che cerchiamo nella street photography: un frammento di mondo banale, che per un attimo diventa importante, semplicemente perché abbiamo avuto la pazienza di aspettarlo. Quasi sempre è solo per noi, qualche volta può diventare significativo anche per gli altri.
Certe foto nascono prima ancora di impugnare la macchina fotografica. Le vedi formarsi all’improvviso, come un lampo nella mente. È successo così anche per questa foto: la scena davanti a me si è trasformata in un’immagine già composta, già mia, prima ancora che potessi pensarci davvero. Lì ho capito che quella era una mia foto, inconfondibile. La scritta in alto, la figura umana perfettamente posizionata, l’equilibrio pulito tra linee e spazi, tutto dentro un’architettura moderna e minimalista. Una sintesi visiva che mi rappresenta, come se il luogo sapesse che sarei passato di lì, in quel preciso momento. Come se mi aspettasse.
Quando la scena si è finalmente svuotata, avevo già la macchina in mano (come sempre), pronta: apertura massima, ISO 400 per non sbagliare, tempi rapidi. In una frazione di secondo ho scattato cinque foto, poi mi ha guardato, come se sapesse. Non credo di aver colto l’espressione perfetta del soggetto, non è mai semplice, ma la geometria sì, quella l’ho presa al volo, anche perché l’avevo già costruita nella mente da qualche minuto. Ed è per questo che la foto mi piace. Perché mi assomiglia: minimale, essenziale, matematica. Ma dietro, un battito veloce, troppo veloce. Alla fine, penso che la fotografia sia proprio questo: un dialogo tra l’immagine che immaginiamo e quella che riusciamo a catturare. A volte ci si avvicina, altre ci si sfiora appena. Ma ciò che resta è sempre un frammento della nostra visione, una traccia di come vediamo il mondo. E in quei pochi secondi, mentre l’otturatore si chiude, c’è sempre un po’ di noi che si ferma, anche se solo per un attimo.
Ultimamente mi sto specializzando in un genere fotografico tanto inaspettato quanto ambizioso: fotografare le mostre di fotografia. Sì, avete capito bene. Vado a vedere le mostre… e finisco per fotografare la mostra stessa. È praticamente diventata una consuetudine.
Quel corridoio, però, era così perfetto nelle sue linee, nei vuoti bianchi e nei contrasti che creava, che non ho saputo resistere: ho scattato qualche foto, come se quella scena fosse stata pensata per essere fotografata (non sono stato l’unico). A volte, gli allestimenti delle mostre fotografiche sono talmente affascinanti che dimentichi il motivo che ti ha portato in quelle sale e ti ritrovi ad ammirare anche l’ambiente che ti circonda.
Sabato sono stato a Torino per visitare alcune mostre fotografiche (quella di Henri Cartier-Bresson a Camera era davvero stupenda, emozionante, una documentazione straordinaria del nostro paese nel secolo scorso) e, passeggiando in direzione Piazza San Carlo, quasi per caso, sono capitato in via Bruno Buozzi, dove mi sono imbattuto in un’opera davvero molto particolare (e sorprendente): due mani bianche che sorreggono un pianeta rosso… Marte.
Questa mostra, ideata dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), offre un’esperienza immersiva che accompagna i visitatori in un viaggio attraverso stelle, galassie, pianeti extrasolari, asteroidi e buchi neri. Un percorso che mescola installazioni interattive, ambientazioni coinvolgenti e videogiochi in stile anni Ottanta, permettendo al pubblico di esplorare la storia dell’Universo grazie alle scoperte scientifiche più recenti.