Mi sembra corretto e giusto chiudere la serie di fotografie dedicate a Parigi con la Gioconda di Leonardo. In questi giorni in tanti mi hanno chiesto se fossi a Parigi, ma non è che se pubblico le foto di una città significa che io sia in quella città. La vacanza nella capitale francese risale al Giugno 2023 ed in effetti forse sono un po’ in ritardo; mi piace far riposare le foto e di media, fra scatto e pubblicazione, trascorrono almeno 4 mesi (sempre che non si tratti di un evento e nel caso magari posso concedere un’eccezione).
Qualche anno fa scrivevo che ritenevo
assurdo fotografare un’opera d’arte senza un contesto, e invece sono caduto anche io nella trappola. In realtà in queste 3 immagini ho inserito un po’ di
base narrativa, ma il concetto fondamentale è che la Gioconda di Leonardo
è un’opera d’arte talmente universale e importante che può giustificare (unico caso al mondo) la semplice e banale foto didascalica. Qualche anno fa ho dormito
nell’albergo di Firenze dove venne nascosta la Gioconda nel 1913, proprio nella stanza dove dormì il ladro patriota Vincenzo Peruggia, ma non ero mai stato al cospetto di quello che forse è
il più famoso e discusso quadro del mondo: e devo ammettere che
il sorriso enigmatico della Monnalisa è qualcosa di importante. Non sono un esperto d’arte, ma trovarsi lì davanti, ad osservare quella tela del quale si sente parlare da quando si è bambini, del quale si vedono riproduzioni ovunque, è stato davvero emozionante.
Avevo già provato a fotografare il Louvre e la celebre piramide con risultati pessimi, ma ero giovane ed inesperto. L’estate scorsa, mentre aspettavo di entrare nel museo, ho intuito le potenzialità di questa composizione: sicuramente non si tratta di una foto innovativa, è una foto da turista, ma trovo decisamente gradevoli le linee create dal vetro e metallo che nascondono parzialmente la vista del Louvre. Taaac, pubblicare.
Un paio di settimane fa, con il gruppo vacanze MondovìPhoto, siamo andati a Camera, Torino, per visitare le mostre di Gerda Taro/Robert Capa e del mio quasi concittadino Michele Pellegrino. Michele abita a Chiusa Pesio e mi ricordo, qualche anno fa, di aver avuto l’onore di accompagnarlo a casa dopo un pomeriggio trascorso insieme: lui era l’ospite d’onore per l’apertura della collettiva del nostro gruppo fotografico e mi chiese uno strappo per tornare dalla moglie. E quindi mi pare corretto dedicare due foto alla mostra del fotografo più conosciuto della nostra provincia: rigorosamente in bianco e nero. La mostra è aperta sino al 14 Aprile, da non perdere.
All’interno del cimitero monumentale di Staglieno si trovano due tombe molto celebri, utilizzate dai Joy Division (gruppo musicale post-punk britannico) come copertine dei loro dischi. Ovviamente da appassionato di musica sono andato alla ricerca di questi luoghi di culto laico e, non senza fatica fatica, sono riuscito a trovarli. La Tomba Appiani, opera dello scultore Demetrio Paernio (1910) che rappresenta il compianto delle pie donne e utilizzata per l’album CLOSER (pubblicato postumo nel 1980 dopo il suicidio di Ian Curtis), si trova nel porticato sud. Mentre il bellissimo Angelo della Tomba Ribaudo, opera dello scultore Onorato Toso (1910) e cover del singolo LOVE WILL TEAR US APART (pubblicato nel 1980), si trova nel Portico Trasversale (porticato semicircolare). Assolutamente da non perdere.
Quando si varca la soglia del cimitero Monumentale di Staglieno si entra in mondo completamente avulso dal sistema; è un luogo che nasconde un fascino e una magia che sono impossibili da descrivere. E ammetto che anche la fotografia non riesce a spiegare l’atmosfera e l’arte che si svelano dietro ogni arco, lungo i corridoi, nei porticati, nei sotterranei. Esistono molteplici anime a Staglieno e raccontarle tutte in poche parole non è possibile: ci sarebbe da scrivere un libro (e infatti ne hanno scritti diversi). È un luogo immenso nel quale perdersi: ho girato quasi un giorno intero e non sono riuscito a visitarlo tutto. Si cammina, senza sosta, con la mappa e dietro ogni angolo c’è qualcosa da fotografare che sorprende e lascia stupefatti.
Durante il corso della sua storia, il cimitero non è stato solo luogo di sepoltura, ma anche meta delle visite di artisti e letterati giunti da ogni dove. Tra questi, il celebre scrittore Ernest Hemingway che definì Staglieno “una delle meraviglie del mondo”.
Ho scattato un’infinità di fotografie, perché la resistenza è futile. Alcune di queste immagini sono decisamente conosciute: la Tomba Oneto, di Giulio Monteverde (1882), la statua di Caterina Campodonico, la venditrice di noccioline (1881), opera dello scultore Lorenzo Orengo, capolavoro del realismo borghese, ma anche dramma eterno (1893), altra opera meravigliosa di Giulio Monteverde, che rappresenta il drammatico contrasto tra la sensuale giovane figura femminile e l’impassibile personificazione della morte che sta per ghermirla. Potrei anche parlare di musica, magari un’altra volta: ho pubblicato 70 foto e adesso osservatele e provate ad immergervi con me nella magia meravigliosa del Cimitero di Staglieno.
Vi sono monumenti, tombe, figure scolpite squisitamente lavorate, tutte grazia e bellezza. Sono nuove, nivee; ogni lineamento è perfetto, ogni tratto esente da mutilazioni, imperfezioni o difetti.
– Mark Twain
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Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori.
– Fabrizio De André