L’Accademia delle Scienze di Torino nasce nel 1757 per iniziativa del conte Angelo Saluzzo di Monesiglio, del medico Giovanni Francesco Cigna e del matematico Luigi Lagrange. Nel 1783 Vittorio Amedeo III concede le lettere patenti di fondazione della Reale Accademia delle Scienze. Il motto scelto dai Soci Veritas et utilitas esprimeva il duplice impegno dell’Accademia per il progresso della scienza e per la sua finalizzazione a vantaggio della società.
Ci sarebbero un’infinità di storie da raccontare, ma come sempre mi piace dire io faccio foto, mica scrivo. Sul sito dell’Accademia si può leggere la storia di questo luogo che mi ha lasciato delle sensazioni che posso definire da brividi (anche grazie al racconto e alla competenza di Elena Borgi). Dopo la visita ho iniziato ad ascoltare il podcast La Scienza, che storia!, prodotto dall’Accademia (al momento sono 9 puntate) e che parla di divulgazione storico-scientifica in modo semplice e, per certi versi, anche divertente. Ho scelto 20 foto e purtroppo non sono molto soddisfatto: il tempo è stato tiranno e non ha aiutato il compito del povero fotografo. Mi sarebbe piaciuto avere più spazio, più calma e meditare maggiormente prima di premere il pulsante di scatto: ma devo ammettere che quando osservo queste immagini mi tornano bene in mente le sensazioni che ho provato e il profumo della biblioteca.
Il mausoleo di Ciano si trova a Livorno, sulle colline alle spalle della città, in località Monteburrone. Avrebbe dovuto essere la tomba del gerarca fascista Costanzo Ciano, nato appunto a Livorno e morto nel 1939. La costruzione fu affidata allo scultore Arturo Dazzi per la parte statuaria, che a sua volta chiamò Gaetano Rapisardi per la parte architettonica. I lavori iniziarono velocemente, ma furono bloccati dalla caduta del regime fascista alla fine della seconda guerra mondiale.
Attualmente il mausoleo di Ciano giace abbandonato, da oltre 70 anni. Praticamente un enorme monumento, si tratta di un massiccio torrione alto circa 17 metri, dedicato alla caduta del regime fascista. La vista dal tetto (che attualmente è senza protezioni e di facile accesso attraverso una scala esterna) è incredibile, domina tutta Livorno e si estende sino alle isole dell’arcipelago toscano (Capraia, Gorgona, Elba); nelle giornate limpide si può anche ammirare il profilo della Corsica. Recentemente il fumettista Daniele Caluri aveva proposto (a sue spese) di trasformarlo in qualcosa di simile al deposito di Paperon de’ Paperoni e sarebbe stato semplicemente fantastico. Purtroppo l’idea non è andata in porto, davvero un grande peccato: non oso immaginare le orde di turisti in visita (e la strada non è delle più agevoli) ad una delle più curiose attrazioni del mondo.
Questa mattina il mio sindaco mi ha ricordato la giornata della Liberazione con un bellissimo pensiero dedicato a Mario Rosso. Mario Rosso è stato un partigiano trucidato dai nazifascisti il 17 Dicembre 1944: la sua tomba è nel cimitero di Beinette e oggi pomeriggio ho deciso di andare a salutarlo per fargli capire che nonostante siano passati 78 anni non ci siamo dimenticati di lui e di quanti hanno lottato per la nostra libertà sacrificando la propria vita.
“Oggi Cuneo é la vergogna d’Italia”. Così scriveva il 10 marzo del ’44 il giornale fascista “Il Piemonte Repubblicano” per denunciare l’insuccesso del bando per la chiamata alle armi nell’esercito della Repubblica Sociale Italiana. I giovani avevano disertato, non per codardia, ma per unirsi ai gruppi di patrioti che sulle nostre montagne combattevano sognando un’Italia libera e democratica.
Siamo stati la vergogna d’Italia…e ne siamo orgogliosi! Buona Festa della Liberazione a tutti voi!
– Lorenzo Busciglio (Sindaco di Beinette)
Da socio FAI devo e voglio partecipare agli eventi che l’associazione organizza per mostrare al pubblico le meraviglie, magari nascoste, che può vantare il nostro paese; proprio nello scorso fine settimana si sono celebrate le giornate FAI di primavera. E il palazzo della Banca d’Italia di corso Nizza a Cuneo non potevo lasciarmelo sfuggire. Il palazzo fu progettato dall’ingegner Ettore Piacentini, per conto dell’Ufficio Tecnico di Roma della Banca d’Italia. La costruzione, iniziata nel febbraio 1926, venne completata due anni più tardi, il VI anno dell’epoca fascista come viene ricordato dal mosaico che si trova nel pavimento dell’atrio. Oggi il palazzo è sede dell’accademia delle Belle Arti e non è aperto alle visite. Accompagnati da due bravissimi e giovanissimi volontari del FAI abbiamo visitato solamente l’atrio e la sala principale recentemente restaurata e che mantiene ancora gli originali sportelli del pubblico. Avrò visto il palazzo della Banca d’Italia centinaia di volte, ma non mi ero mai soffermato sulla sua storia ed è sempre qualcosa di affascinante studiare e conoscere il proprio passato. Appena entrati nel salone ho notato il meraviglioso soffitto e mi sono piazzato con il treppiede perfettamente al centro della stanza con la macchina fotografica in bolla: ho notato qualche occhiata un po’ strana da parte degli altri visitatori. :-)
ALLE VITTIME DI FATALE DISGRAZIA
IL 1° REGGIMENTO ARTIGLIERIA MONTANA
QUESTO RICORDO ERESSE
GARDETTA – LVGLIO 1926 LVGLIO 1928“non toccate i proietti inesplosi”
Il giardino Ermetico/Esoterico del Senatore Giovan Battista Borrelli è un luogo incantevole, fuori dal mondo. Si trova sulla collina di Mirabello a Boves, poco lontano da Cuneo, non è conosciuto, anzi, si trova fuori dalle rotte turistiche di massa. Eppure è davvero particolare, intriso di storia, di leggenda e di fantasia. Su questa collina si respira, si sente, un’aurea magica. Ci si arriva per una piccola strada sterrata, l’ingresso è un cancello in ferro battuto protetto da due cani guardiani di pietra (decapitati), al suo interno è possibile trovare una torre merlata, un casotto/belvedere, un obelisco, un castelletto gotico-moresco e un meraviglioso tempietto rotondo con la statua della dea Ragione. Il tempo, e qualche atto vandalico, stanno mettendo a dura prova la resistenza dell’opera del Senatore Borrelli ed è un peccato, perché la storia di questo giardino meriterebbe maggiore attenzione. Se capitate per caso dalle parti di via Rana a Boves non esitate a fare questa breve e facile escursione: il gioco vale decisamente la candela.
Voglio immediatamente chiarire che questa non è quel che posso definire una foto straordinaria, è una foto da cestino. Ma oggi è il 5 maggio 2021 e ricorre il duecentesimo anniversario della morte del grande Napoleone Bonaparte. Uno dei personaggi più conosciuti dell’intera storia dell’umanità. E concluderò questo post con la celebre poesia di Alessandro Manzoni del quale ricordo ancora a memoria le prime strofe. Mi sembra quasi doveroso dedicare qualche riga al ricordo del celebre condottiero francese e soprattutto a questo famoso dipinto. Siamo all’Österreichische Galerie Belvedere di Vienna e quando ho ammirato quest’opera di Jacques-Louis David (presumibilmente dipinta tra il 1800 e 1803) non ho dato troppo peso al valore sociale del quadro. Esistono cinque versioni di questo dipinto, la prima prima venne commissionata da Carlo IV, re di Spagna, come mezzo per ottenere la pace con la Repubblica Francese. Le tre versioni successive furono commissionate da Napoleone stesso con fini propagandistici e sono i primi tre ritratti ufficiali di quello che all’epoca era ancora il primo console della Repubblica Francese. L’ultima versione invece non fu richiesta da nessuno e rimase di proprietà dell’autore sino alla sua morte. Dal vivo è semplicemente spettacolare, enorme (264 x 232 cm).
Archetipo del ritratto di propaganda, l’opera è stata riprodotta numerose volte tramite incisioni, dipinta su vasi, sotto forma di puzzle o di francobollo, testimonianza dell’importante fortuna di cui godette presso i posteri.
Io non ho un giudizio storico su Napoleone, sarebbe impossibile, ma sicuramente è stato un grande condottiero, un grande politico, un uomo di guerra, un generale. Napoleone è stato odiato e amato, celebrato come un eroe e detestato come un criminale. Ma se ancora oggi, a 200 anni di distanza, ricordiamo la data della sua morte un motivo dovrà pur esserci.
Ei fu siccome immobile,
Dato il mortal sospiro,
Stette la spoglia immemore
Orba di tanto spiro,
Così percossa, attonita
La terra al nunzio sta,Muta pensando all’ultima
Ora dell’uom fatale;
Nè sa quando una simile
Orma di piè mortale
La sua cruenta polvere
A calpestar verrà. […]
– Alessandro Manzoni
Quando sono andato a Vienna non sono riuscito a resistere alla tentazione di salire in alto: il prezzo, rispetto al London Eye, non è clamoroso e alla portata, credo, di tutte le tasche, quindi anche la mia proverbiale parsimonia ligure ha dovuto cedere il passo. Ovviamente l’adrenalina è un’altra cosa ancora, anzi, come tutte le ruote panoramiche è piuttosto noiosa, ma vale la pensa per l’esperienza (e poter dire ci sono stato) e per il panorama su Vienna e, soprattutto, sul Prater.
Poco distante dal meraviglioso Passo Pordoi si trova un sacrario germanico in memoria dei caduti austro-tedeschi della Grande Guerra. Qui si trovano le spoglie di 454 caduti dell’esercito tedesco e 8.128 di quello austro-ungarico (oltre a 849 soldati appartenuti alla Wehrmacht, l’esercito tedesco nella Seconda Guerra Mondiale). La struttura del Sacrario richiama i tipici Totenburg tedeschi, ovvero le Fortezze dei morti: è di forma circolare (54 metri di diametro), articolato su tre piani e riproduce una sorta di struttura difensiva militare. Nella parte esterna, quella più bassa, si trovano i loculi risalenti alla Seconda guerra Mondiale mentre nei due piani interni, a forma ottagonale, hanno trovato spazio gli altri caduti. All’entrata, appoggiata ad una parete, si trova la “Namenlist” con i nomi di tutti i soldati sepolti, una lampada votiva e diverse statue di soldati sofferenti per la perdita dei loro commilitoni. Ci si arriva percorrendo una piccola strada di montagna, è pochissimo frequentato perché non attira il grande pubblico, ma è un ricordo importante ed è estremamente tedesco. Assolutamente da visitare.
Mondovì è composta da diversi rioni, ma due sono storici e centrali: Breo e Piazza. Breo è la parte in piano, più recente, moderna e commerciale, mentre Piazza, il vero centro storico, si trova sul colle che dà il nome alla città (Mont ëd Vico, dove Vico sta per Vicoforte). Queste due anime sono unite da una bellissima funicolare, rinnovata recentemente e riaperta al pubblico, con due vetture disegnate da Giugiaro, il 16 dicembre 2006. La funicolare è rimasta fuori servizio dal 1975, anno di scadenza della concessione, per addirittura 31 anni. I monregalesi, almeno quelli non più giovanissimi, ricordano con nostalgia le vecchie vetture di colore azzurro che hanno onorato il servizio per ben 34 anni; ma da qualche tempo anche i più giovani possono ammirarne almeno una, perchè dietro la palestra dell’ITIS/LPM, una delle due storiche vetture fa bella mostra di se (dell’altra ignoro la collocazione). Bellissima, fiera, ma tristemente lasciata al suo destino. Ciclicamente a Mondovì si parla di utilizzare questo meraviglioso pezzo di storia, ma non si riesce mai a decidere/trovare una collocazione degna. E se fosse arrivato il momento giusto?
Della Colonia Elioterapica Oreste Martini non rimane quasi più nulla: la struttura a croce e, forse, il ricordo. Si trova a Mondovì, lungo il fiume Ellero vicino a Cascina Nibal, sotto località Beila, è completamente isolata e coperta dalla vegetazione: raggiungerla non è semplice. Fu una struttura attiva durante il ventennio fascista, precisamente dal 1931 al 1943, nel 1936 venne intitolata al compianto Oreste Martini, un giovane soldato italiano che morì, a soli 18 anni, durante la seconda battaglia del Tembien in Africa. Le colonie elioterapiche erano luoghi speciali in cui poter andare a fare i bagni di sole, famosi all’epoca e ritenuti molto salubri. Per tutte le informazioni storiche e la ricostruzione della vita durante l’estate coloniale vi rimando al bellissimo articolo dedicato sul blog Storie&Foto dell’amico Claudio Galli. Io vi lascio alle immagini che ho scattato una sera prima dell’imbrunire: mi hanno accolto con grande felicità, e sopresa, una lepre e un capriolo. Qui la natura si sta riprendendo i suoi territori.
Attraversata la copertura e il piccolo atrio si arriva nello stanzone probabilmente adibito a refettorio o salone per i giochi al coperto. Era decorato con immagini futuristiche e abitanti del mondo, reali o inventati questo non sono riuscito a capirlo. Purtroppo gli affreschi sono ormai quasi completamente distrutti, la parte bassa asportata dalle varie piene del vicino torrente Ellero. Come detto sopra gli affreschi con tema i personaggi del giornaletto “Il corriere dei piccoli” vennero realizzati dall’artista monregalese Nino Fracchia.
Ho scattato queste due foto nel 2003 (solo 16 anni fa) con la Digital Ixus 400, una piccola compatta di Canon dal corpo di acciaio lucido e ben 4 milioni di pixel. Le impostazioni di scatto, a rileggerle oggi, mi fanno venire i brividi: la porta di Brandeburgo è fotografata di notte a ISO 50, mezzo secondo di esposizione e f/2,8. All’epoca utilizzavo un piccolo treppiede da viaggio (di quelli minuscoli) davvero poco stabile. Sono due brutte foto che non avrei pubblicato, non fosse che oggi ricorre il trentesimo anniversario della caduta del muro di Berlino. E’ un giorno davvero importante, un ricordo fondamentale, che ha cambiato la storia dell’umanità. Credo sia giusto festeggiarlo, anche con due immagini che vorrei poter definire giovanili (e di basso livello).
Per quanto sia di mia conoscenza… valgono da subito, senza restrizioni.
– Günter Schabowski
Imperia, la città dove si produce(va) la pasta Agnesi.
Qualche tempo fa, durante una visita al castello del Drosso, mi sono imbattuto in questa bandiera del terzo Reich dipinta su una parete. E’ una discreta rarità nel nostro paese, un reperto storico lasciato dall’occupazione nazista a Torino durante il secondo conflitto mondiale. E’ una pagina storica importante e non troppo conosciuta: in questa stanza la truppe di Hitler avevano approntato il centro di comando delle operazioni nella capitale sabauda. Ho tenuto da parte queste immagini e mi sembra giusto proporle proprio oggi: nel giorno che festeggia l’anniversario della liberazione.
L’ultima pagina della storia del castello risale agli anni Quaranta del XX secolo quando, con l’occupazione nazista, è costretto ad accogliere il comando “Torino Sud” dell’esercito tedesco. La presenza militare ha lasciato diverse tracce sulle rovine del castello: disegni e graffiti, tramezzi e impianti idraulici ed elettrici.