Il Santuario di Santa Lucia si trova nel comune di Villanova Mondovì, abbarbicato in cima alla montagna sulla strada che porta verso Roccaforte. Si tratta di un antico ospizio costruito fra il 1500 e il 1800 aggrappato alle pendici del Monte Calvario, a strapiombo sul torrente Ellero. La sua particolarità è la Chiesa principale ricavata all’interno di una grotta nel quale è conservata la statua di Santa Lucia; questa caratteristica inserisce Santa Lucia in una rete di spettacolari santuari incastonati nella roccia e che comprende, fra gli altri, il Santuario Madonna della Corona a Verona e il Santuario di Rocamadour in Francia.
Il Santuario fu molto importante durante la resistenza partigiana fra il 1943 e il 1945. Qui veniva stampato clandestinamente la Rinascita d’Italia, curato dal prof. Giovanni Bessone. Nel sottotetto, nascosti e protetti dalla suore e da don Pietro Servetti arciprete della parrocchia di Santa Caterina di Villanova, trovarono rifugio molti partigiani tra cui il frabosano don Giuseppe Bruno, soprannominato “il prete dei Partigiani”, che fondò il gruppo “Azione e ordine”.
L’Accademia delle Scienze di Torino nasce nel 1757 per iniziativa del conte Angelo Saluzzo di Monesiglio, del medico Giovanni Francesco Cigna e del matematico Luigi Lagrange. Nel 1783 Vittorio Amedeo III concede le lettere patenti di fondazione della Reale Accademia delle Scienze. Il motto scelto dai Soci Veritas et utilitas esprimeva il duplice impegno dell’Accademia per il progresso della scienza e per la sua finalizzazione a vantaggio della società.
Ci sarebbero un’infinità di storie da raccontare, ma come sempre mi piace dire io faccio foto, mica scrivo. Sul sito dell’Accademia si può leggere la storia di questo luogo che mi ha lasciato delle sensazioni che posso definire da brividi (anche grazie al racconto e alla competenza di Elena Borgi). Dopo la visita ho iniziato ad ascoltare il podcast La Scienza, che storia!, prodotto dall’Accademia (al momento sono 9 puntate) e che parla di divulgazione storico-scientifica in modo semplice e, per certi versi, anche divertente. Ho scelto 20 foto e purtroppo non sono molto soddisfatto: il tempo è stato tiranno e non ha aiutato il compito del povero fotografo. Mi sarebbe piaciuto avere più spazio, più calma e meditare maggiormente prima di premere il pulsante di scatto: ma devo ammettere che quando osservo queste immagini mi tornano bene in mente le sensazioni che ho provato e il profumo della biblioteca.
La Villa della Regina è una villa seicentesca situata sulla collina di Torino e costruita per volere di Maurizio di Savoia, prima cardinale e poi, dal 1641, principe d’Oneglia, e passata poi a sua moglie Ludovica di Savoia. Il Cardinal Maurizio, come veniva chiamato, affidò, nel 1615, il progetto all’architetto Ascanio Vitozzi e, dopo la morte di quest’ultimo, a Carlo e Amedeo di Castellamonte. Secondo il progetto originale la villa avrebbe dovuto assumere le sembianze di una sontuosa residenza di campagna, con tanto di vigneti. Oggi, difatti rimane visibile all’esterno della villa la Vigna della Regina, unico esempio di vigneto urbano di Torino.
Nel 1865, Vittorio Emanuele II ne fece dono all’Istituto per le Figlie dei Militari. Purtroppo, il complesso fu pesantemente danneggiato durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e in seguito cadde in stato di abbandono. Bisognerà attendere il 1994, anno in cui la villa diviene proprietà dei beni artistici dello Stato, per far sì che abbia inizio il progetto di recupero e restauro dell’edificio.
All’interno della residenza si trovano affreschi e quadri di Giovanni Battista Crosato, Daniel Seiter e Corrado Giaquinto, posti nel grande salone principale. Nelle sale adiacenti sono notevoli i quattro Gabinetti Cinesi in raffinato legno laccato e dorato. Gran parte degli stucchi, fra i quali le decorazioni dell’anticamera con soffitto verde e della sala di Anna Maria di Orléans, sono opera di Pietro Somazzi.
Villa della Regina è un piccolo/grande gioiello barocco della collina torinese, costituisce il fondale scenografico oltre il Po, e merita assolutamente una visita. Nell’articolo trovate 52 immagini, ovviamente tutte scattate dal sottoscritto con grandangolo, normale 50mm e, le ultime, con il drone. Non sono riuscito ad affrontare tutti gli ambienti della Villa, ma credo che in queste foto si riesca a comprendere la maestosità di questo straordinario capolavoro.
Il parco archeologico di Brescia romana è parte del corridoio Unesco che comprende, dal 2011, anche il complesso monastico di San Salvatore e Santa Giulia. Prima che diventasse sito Unesco avevo già visitato il parco, ma devo ammettere che negli ultimi anni sono stati svolti lavori importanti che hanno trasformato l’intera zona in qualcosa di meraviglioso.
L’altro pezzo da novanta dell’area archeologica è la Vittoria Alata, ma il motivo di tale importanza è possibile comprenderlo solo osservandola da vicino: i dettagli, i particolari, l’impatto visivo. È ritornata a Brescia dopo due anni di restauro condotto dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, è un pezzo unico per composizione, materiale e conservazione, e uno dei pochi bronzi romani proveniente da scavo giunti fino a noi. Dal vivo è bellissima. Sentire la sua storia riporta indietro nel passato e permette di riflettere, comprendere al meglio la qualità e il tempo che serve per il recupero e la manutenzione di questi straordinari manufatti
Il museo di Santa Giulia è il museo più importante di Brescia, si trova in via dei Musei (buona idea) ed è ospitato all’interno del monastero di Santa Giulia, fatto erigere nel 753, in epoca Longobarda, da Re Desiderio e da sua moglie Ansa. Il sito fa parte di una serie di monumenti che comprendono monasteri, chiese e fortezze e che sono divenuti un sito UNESCO seriale nel giugno 2011, perché testimoniano il ruolo significativo del popolo longobardo per lo sviluppo spirituale e culturale dell’Europa nella transizione fra la Classicità e il Medioevo.
Abbiamo ammirato la Chiesa di San Salvatore, il rilievo di Pavone, il coro delle Monache -WOW-, la cripta, l’armonium delle allodole impazzite (opera moderna dell’artista Emilio Isgrò) e la chiesa di Santa Maria in Solario -WOW- composta da due sale e che conserva due dei reperti più importanti del museo: la lipsanoteca e la croce di San Desiderio. All’uscita ho anche fotografato il tempio capitolino nell’area archeologica: esula un po’ dal contesto di questo racconto fotografico, ma non ho resistito alla tentazione.
Quando mi è stato detto che il luogo di ritrovo sarebbe stato sotto il rinoceronte appeso mi sono immaginato un modo di dire tipicamente bresciano. E invece no, nel quadriportico (si chiama così) del centro città, a due passi da piazza della Vittoria, si può ammirare veramente un rinoceronte (a dimensioni reali) appeso sopra la testa dei passanti. È un’opera dell’artista Stefano Bombardieri, non nuovo a creazioni del genere, dal titolo “Il peso del tempo sospeso”. È stata installata all’antivigilia di Natale del 2020 e sarebbe dovuta rimanere esposta per due anni ma, sfruttando la nomina di Brescia capitale della cultura, è ancora lì, a sorprendere i passanti, in attesa di trovare un tempo definitivo. Sembra vero.
Quando siamo entrati nel foyer del teatro Grande di Brescia la nostra guida, Armando Pederzoli (celebre accompagnatore della Pimpa), mi ha detto: “Preaparati al Wow!“. È un modo di dire che lui usa molto molto di frequente e che ho imparato a conoscere in questa due giorni bresciana. E infatti appena entrati in teatro sono rimasto di stucco: perché il Grande è qualcosa di strepitoso in ogni angolo e in ogni soffitto. Il nome “il Grande” (un po’ strano) venne scelto in onore di Napoleone Bonaparte, ma quando questi decise di non presentarsi all’inaugurazione i Bresciani, feriti nell’orgoglio, cambiarono la denominazione togliendo l’articolo in modo che non fosse più dedicato al grande condottiere francese; piccole curiosità che ho imparato durante la visita guidata con Laura Castelletti, vicesindaca di Brescia, e con Umberto Angelini, soprintendente del Teatro. Non ho realizzato un vero reportage fotografico, ma ho semplicemente scelto le immagini che mi hanno colpito di più: il caffè del Teatro è semplicemente favoloso.
Ca’ Damiani è probabilmente una delle più grandi meraviglie del mondo urbex italiano. Quando si entra nelle stanze affrescate di questo palazzo del XVII Secolo non si può che rimanere estasiati dalla grande bellezza che ci circonda completamente: gli affreschi, che andrebbero restaurati, sono stati dipinti nel 1795 dal celebre pittore Niccolò Contestabili. La stanza più importante porta ad essere completamente immersi nella favola di Niobe e della sua superbia: si tratta di un paesaggio a fresco, uno stile molto in voga all’epoca, che occupa tutto lo spazio della stanza, da terra al soffitto e intorno alle pareti senza soluzioni di continuità né cesure.
Il palazzo fu costruito da una importante e ricchissima dinastia di mercanti e banchieri, oltre che appassionati committenti d’arte, che da metà Seicento a fine Settecento, tra Pontremoli, Livorno, Pisa e Firenze crearono un immenso patrimonio. Ca’ Damiani è una struttura molto articolata e complessa: circa 1000 metri quadri, con tre corti, giardino centrale, due scale monumentali di cui una meravigliosa in marmo, vani per depositi di merci, spazi commerciali, piano nobile e un numero considerevole di ambienti. L’intero palazzo, nonostante il vincolo diretto d’interesse architettonico apposto dalla Soprintendenza competente nel 1982, è rimasto nella totale incuria. Conseguentemente il degrado dei paramenti, degli intonaci, modanature e decorazioni esterni e interni, nonché strutturale, a causa della forte umidità di risalita dal terreno che ha intaccato profondamente le murature a piano terra, è proseguito inesorabile fino a oggi.
Il Santuario di Vicoforte, noto anche come basilica della Natività di Maria Santissima, è uno dei monumenti più importanti della provincia Granda ed è celebre per essere la cupola ellittica più grande del mondo (asse maggiore 37 metri, asse minore 25 metri). Da tempo avevo in testa l’idea di scattare qualche foto all’interno e domenica scorsa, di passaggio, ho deciso di dedicarle qualche minuto. Ero in realtà già stato ospite dell’inaugurazione del Magnificat nel 2015, ma mai mi ero fermato a fotografare la cupola dal basso. Purtroppo il tempo a mia disposizione era pochissimo, ma voglio e devo tornare: infatti -start- perchè voglio che questa sia una sorta di partenza, la prima foto vera che scatto alla straordinaria opera di Francesco Gallo
Siamo ormai vicini all’inverno e io torno a parlare della Giornate FAI di Primavera. Mi sembra giusto, anche se sono costretto a tornare indietro nel tempo sino al marzo scorso: questo perché, insieme alla delegazione del Fondo per l’ambiente Italiano (del quale sono socio), ho visitato la meravigliosa Villa Parea a Cuneo. Sinceramente non ero nemmeno a conoscenza dell’esistenza di questa villa, inserita perfettamente nel contesto urbano della città, e non sapevo cosa aspettarmi, anche perché sul web non si trova praticamente nulla di veramente esplicativo.
Durante la visita abbiamo scoperto un mondo pazzesco di stucchi, pitture, arte. Ad accompagnarci sono stati gli Apprendisti Ciceroni, giovani studenti del Liceo Classico e Scientifico “Pellico-Peano”, appositamente formati e davvero molto bravi. Con loro due suore che ci hanno raccontato la vita all’interno del palazzo e aggiunto qualche doverosa correzione. Mi fa sempre strano scoprire che dietro casa esistono luoghi bellissimi senza che io ne sia a conoscenza.
Dovrei descrivere e raccontare una tre giorni davvero strana all’isola d’Elba, ma non voglio tediare nessuno con storie lunghe di amicizia e di incontri; credo basti sapere che dal 14 al 16 ottobre si è tenuta, sull’isola del ferro, l’assemblea annuale di #IgersItalia e ho partecipato per la prima volta in qualità di local (si chiamano così) di #IgersCuneo (seguiteci).
Fra le escursioni previste dal programma al sottoscritto è capitata la più impegnativa dal punto di vista fisico: un trekking abbastanza complicato (a parole, poi in realtà relativamente semplice) per giungere al Castello del Volterraio, la più antica fortificazione dell’isola d’Elba. Un luogo meraviglioso dal quale si può ammirare in tutta la sua bellezza il golfo di Portoferraio. La scelta delle immagini non è molto razionale, ho deciso per una sorta di ordine cronologico per raccontare il Castello e l’ascesa alla vetta; non è un vero e proprio reportage, ma un insieme di immagini singole, direi quasi una raccolta di foto da instagrammare. Ma d’altronde il focus della giornata era proprio quello.
…esso vi appare fosco tra le nuvole, misterioso sotto il sole, maschio e solitario come un guerriero che attenda sempre, da sempre e per sempre nella sua armatura di roccia la chiamata a strenue difese. Non è soltanto bello, il Volterraio è fascinoso, arcano, potente; vive in un suo segreto profondo, al di sopra delle sventure umane e degli stessi eventi di cui è stato protagonista.
– Gin Racheli, “Le isole del Ferro”
All’inizio dell’Estate, complice l’entusiasmo per l’arrivo della bella stagione, una domenica mattina ho deciso di alzarmi alle 5 e sono partito alla volta di Castelmagno. L’idea era quella di riuscire a fotografare il bellissimo Santuario dedicato a San Magno subito dopo l’alba per evitare la folla di pellegrini (e curiosi) che tutti i giorni visita il celebre luogo di culto. Impresa perfettamente riuscita: levataccia assurda, viaggio interminabile, ma alle 6 del mattino l’unica anima di fronte all’entrata del Santuario era il sottoscritto. Ho scattato con il grandangolo (sempre su treppiede) e con il drone per togliermi lo sfizio delle foto dall’alto. Temperatura esterna fresca e inferiore ai 10 gradi centigradi. Adesso mi piacerebbe tornare e riuscire a fotografare l’interno, che a quell’ora il Signore non si è degnato di aprirmi. Dormiva pure lui.
Sono stato per la prima volta alla Venaria Reale nel Novembre 2007. In questi quasi 15 anni, nonostante mi sia trasferito in Piemonte, non mi era mai capitata l’occasione di tornare. Questo sino a sabato scorso quando grazie all’organizzazione di Igers Piemonte e del sempreattivo Tommaso Agate sono stato invitato a fotografare le Sere d’Estate e #PlayVenaria, una straordinaria mostra che indaga i videogiochi come decima forma d’arte praticata da 3 miliardi di persone nel mondo.
Ho scelto 44 foto pubblicate rigorosamente in ordine cronologico: la Galleria Grande, la mostra #PlayVenaria, gli interni della Reggia al tramonto, il giardino durante le sere d’Estate e infine l’evento notturno: il Venaria Light Show. Un gioco di interazione e cooperazione creativa che permette ai visitatori (soprattutto i più giovani, fra cui mia figlia) attraverso una tastiera gigante di 4 metri di agire sull’intera facciata della Galleria Grande trasformandola in un teatro, con effetti di luci e scenografie sempre diverse. Un fantastico, emozionante videogioco reale, prosecuzione ideale della mostra Play – videogames, arte e oltre, allestita nelle Sale delle Arti della Reggia. Le foto rendono solo parzialmente un’idea della bellezza e delle emozioni che può regalare la Venaria al calar della sera: in Italia è praticamente impossibile trovare un luogo d’arte aperto oltre il tramonto e sino a sera inoltrata, ma credo che sia un esperimento e un’idea da seguire con coraggio e convinzione.