POSTED ON 11 Gen 2025 IN
Reportage
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URBEX
In questo palazzo, un tempo molto lontano, vivevano gli Dei dell’Olimpo. Potrebbe essere l’incipit di una bella storia, una storia mitologica con la nostra Pollon protagonista indiscussa, ma in realtà fra queste mura di divino c’è davvero ben poco: è una quelle strutture enormi di cui è difficile comprendere il significato e l’utilizzo. Ma nonostante tutto nasconde e mostra un fascino fuori dal tempo, che non sono riuscito a catalogare a livello temporale.
Dall’esterno si capisce immediatamente che il palazzo è abbandonato. Il giardino è incolto, il cancello aperto e arrugginito, si entra facilmente nella piccola corte e quindi si intravede la porta di accesso spalancata. Sono tre piani, enormi, vuoti, bellissimi. Ho girato per le varie stanze cercando di trovare spunti fotografici e prospettive alternative: ho giocoforza limitato l’uso del normale/macro e ho preferito giocare con il grandangolo con qualche divagazione sul tema grazie al fish-eye (che in spazi di questo di questo tipo diventa un’alternativa molto interessante.)
E poi quando mi stavo preparando ad uscire, poso la macchina fotografica, chiudo il treppiede, alzo lo sguardo e vedo una porta che mi era sfuggita. Stancamente spingo verso l’interno e scopro una piccola chiesetta dimenticata: un altare e una finestra rotonda a due colori. Si chiude un cerchio, nel centro rimane l’Olimpo con le sue divinità.
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POSTED ON 8 Gen 2025 IN
Reportage
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URBEX
La casa del viaggiatore è un luogo mancato e quando ci penso mi viene da imprecare; perché ero già stato in questo paese, e proprio nella stessa strada, per un’altra esplorazione e non mi ero accorto che anche un’altra casa, quasi confinante, era in totale stato di abbandono. Sarebbe bastato drizzare le antenne e fare attenzione, ma quando si torna nel mondo libero e termina l’apnea urbex capita di essere deconcentrati. Sul nome ho qualche perplessità perché di primo acchito l’avrei chiamata del tifoso granata per via di una foto autografata del Toro stagione 1986/87 e proprio in quell’annata, per certi versi maledetta, feci il mio esordio all’allora stadio Comunale: Torino-Tirol Innsbruck 0-0. Era la squadra di Junior e Dossena, con Zaccarelli, Cravero e Giacomo Ferri. Al ritorno in Austria fummo sconfitti 2-1 dall’arbitro Erik Fredriksson, ma è un’altra storia. Ho scoperto recentemente che altri l’hanno definita del viaggiatore e pur non avendo notato questa enorme quantità di appunti di viaggio ho optato per il nome più comune.
Entriamo in questa casa quasi per caso ed iniziamo ad esplorare, ci sono tanti oggetti che arrivano dai posti più disparati, souvenir di viaggi oppure regali oppure ancora acquistati per collezione da mercatini? Chi può saperlo, sicuramente un urbex intrigante.
Una delle stanze più belle della casa del viaggiatore è sicuramente la camera da letto al piano superiore: ci sono diversi oggetti interessanti, un quadro stranissimo, un calzatura tipicamente orientale e un particolare copriletto di lana: avevo già visto altre foto di questa stanza, ma con il materasso in vista. Qualche arredatore deve aver controllato nel baule e, trovato il copriletto, ha deciso di utilizzarlo per rendere più affascinante l’ambiente. Non escludo che anche altri oggetti siano stati inseriti in modo strategico a scopo fotografico: non sarebbe la prima volta, il rutilante mondo della scenografia è giunto anche in queste lande desolate.
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POSTED ON 2 Gen 2025 IN
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church
La passione per l’urbex raccoglie sempre più persone: amanti del rischio e del vietato, curiosi, rigattieri, sceriffi, pornostar, videomaker, pazzi e fotografi. Di quest’ultima categoria siamo rimasti in pochi, mosche bianche a rischio estinzione. Fra questi fotografi ho incontrato, fra le pieghe del dark web, un simpatico e attempato toscano: lui sostiene che il suo gruppo urbex sia il più anziano d’Italia e forse non ha tutti i torti. Domenica scorsa ha lasciato momentaneamente la sua Livorno e il personale medico della casa di riposo per un giro in Piemonte: quando ho saputo la notizia sono partito, con il respiratore, alla volta del Monferrato. Ci siamo dati appuntamento in un piccolo paese e l’ho accompagnato a visitare una devastata, ma bellissima chiesa abbandonata. Si è appoggiato alla mia spalla e con fatica abbiamo varcato la soglia del giubileo: ho fotografato prima io (ho sempre fretta) e poi con calma l’ho lasciato al treppiede (che utilizza anche come bastone da passeggio) e alle sue meravigliose interpretazioni. Dopo le foto ci siamo fermati qualche minuto in piazza, mi ha spiegato i suoi problemi di prostata, sciatica, renali e di respirazione e mi ha raccontato di quando da giovane fotografava la Terrazza Mascagni. Ci siamo lasciati con la speranza di incontrarci nuovamente (con il permesso del medico ovviamente).
Concludo questo post con le parole dell’amico Rick: lui è urbexer, esperto di uccelli e anche poeta.
Sono rimasto ad ascoltarla, immobile e silenzioso, fino a quando i suoi soffitti e le sue volte si sono riempiti di una luce onirica che mi sussurrava “svegliati sono qui per te, prendimi e vai avanti…”. Solo allora ho impugnato la macchina fotografica ed ho guardato dentro il mirino. Grazie Chiesa di Pietra per avermi cercato.
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POSTED ON 27 Dic 2024 IN
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URBEX
Devo ammettere che l’esplorazione della Villa del Marmista ha dei connotati un po’ diversi dal solito. L’entrata non è banale, il posto è molto in vista ed è proprio di fronte ad una strada a grande scorrimento: introdursi senza dare nell’occhio non è stato semplice. Dopo qualche valutazione ci siamo accorti che l’enorme cancello elettrico in realtà era superabile senza grosse difficoltà e, con passo felino, siamo riusciti ad entrare. Per l’occasione ero in compagnia del cowboy dello spazio, un personaggio che oserei definire borderline, con due caratteristiche che trovo intriganti: puntuale e senza paura. Inoltre si respirava l’aria triste e fredda tipica della pianura padana in inverno: e io non sono adatto a queste lande brulle, inospitali e sconsolate.
L’esplorazione si può dividere in due sezioni facilmente identificabili: la villa, tanto moderna/razionale, e l’azienda che regala il nome alla location. Perché qui si lavorava il marmo e non solo: negli uffici si possono trovare numerosi riconoscimenti e premi, si trattava di una realtà molto importante della zona. Il tutto è sobrio, freddo, quasi impersonale: nella sala da pranzo qualcuno si è divertito a disporre le carte dal gioco sul tavolo, mentre i pochi addobbi natalizi credo siano originali: c’è polvere e sono presenti anche all’esterno. Non si tratta quindi di un set costruito rovistando in cantina/mansarda, ma l’abbandono si può far risalire al periodo fra dicembre e inizio gennaio. L’azienda invece è ferma, congelata, come se da un giorno all’altro avessero chiuso senza mai più tornare: non sono riuscito a capire le motivazioni, ma sono presenti computer, macchinari, automezzi, le foto sul muro sono ingiallite dal passare degli anni e questo fa intuire che anche qui il tempo è andato avanti inesorabile.
Quando siamo usciti, con molta più leggerezza, non mi sentivo soddisfatto. Non è stata un’esplorazione di quelle affascinanti: forse per la modernità degli ambienti, forse per via del razionalismo della villa, della combo con l’azienda. Anche la zona, che potrei definire industriale, non regalava vibrazioni intriganti. La sensazione è stata quella di visitare qualcosa di vissuto, ma al tempo stesso impersonale. E non è questo l’urbex che voglio raccontare.
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POSTED ON 24 Dic 2024 IN
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xmas
Prosegue imperterrita, e senza soluzione di continuità, la tradizione del post natalizio. Per il 2024 ho deciso di tornare nel mondo urbex, complice la recente scoperta di questo piccolo presepe circondato dalle ragnatele (e sovrastato dall’albero, ma è un’altra storia). Solitamente sono gli arredatori che si occupano di svuotare la soffitta e creare la scenografia natalizia; nel caso invece credo che l’abbandono sia proprio avvenuto durante le feste: gli indizi in questa direzione sono molteplici. È un po’ triste, ma per tante persone le feste di Natale sono un momento di riflessione, di ricordo e quest’anno mi sembra giusto dedicare un pensiero anche a loro. E il mio più sincero augurio per un bellissimo e felice Natale.
POSTED ON 19 Dic 2024 IN
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URBEX
Ci sono storie che arrivano da lontano e raccontano di caldo, dispetti, avventure, emozioni, distanza geografica e tante altre cose. Torno indietro nel tempo, era la metà di luglio del 2022, una delle estati più calde di sempre e ricordo ancora il fastidio, la tremenda afa che mi attanagliava nel parcheggio di quel supermercato mentre, con il drone, sorvolavo da lontano Villa Grazia. Che poi l’ho sempre chiamata così, non so per quale motivo, ma in realtà il vero nome è Villa Sebregondi, detta La Macciasca. Si tratta di una meravigliosa dimora storica, costruita alla fine del 1700 e che oggi giace vuota, silenziosa, immobile e bellissima.
La famiglia Sebregondi è originaria di Domaso, sul Lago di Como e le prime notizie certe risalgono al 1220, quando Gherardino Sebregondi svolgeva il ruolo di giudice a Colico. Un suo discendente, Giacomo Antonio (1642-1718), figlio di Giambattista (1566-1667), podestà di Colico, si trasferì a Como dove fece costruire il palazzo di San Bartolomeo e accumulò un ingente capitale. La famiglia era une delle più ricche ricche e influenti della zona e nel 1788 il pronipote di Giambattista, Giacomo Antonio Sebregondi (1760-1849), fu riconosciuto nobile dall’Imperial Regio Tribunale Araldico Lombardo. Negli ultimi anni del 18° secolo, Giacomo Antonio fece erigere una villa dove risiedere con la famiglia a Maccio, allora Comune, accorpato nel 1928 a Villa Guardia. La villa, il cui interno era riccamente affrescato e ornato in ogni locale, era chiamata “La Macciasca” dal nome del paese, aveva una scalinata a doppia rampa all’ingresso, tre piani più uno seminterrato, oltre a una piccola corte con una cappella gentilizia.
La villa è ormai vuota, depredata degli arredi, ma custodisce una storia importante e rappresenta quella sensazione di decay che per il sottoscritto è l’Urbex con la lettera iniziale maiuscola. È tutto un susseguirsi di stanze e di colori che permettono di fotografare con razionalità e pulizia, e poi quel divanetto, ormai diventato il simbolo della villa, che è tutto quello che si può chiedere alla fotografia di luoghi abbandonati. Avrei voluto tornare a Villa Grazia, ho provato un paio di volte senza riuscire e alla fine mi sono dovuto arrendere all’evidenza. Villa Grazia è diventata, suo malgrado, un simbolo di tutto quel che dovrebbe essere e che mai diventerà. Salvo complicazioni.
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