PHOTOSNEVERSLEEP di SAMUELE SILVA - Fotografia Urbex, Ritratto e Reportage

La chiesa del muschio verde

POSTED ON 23 Mag 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, church

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La Chiesa del muschio verde (nome decisamente evocativo e, al tempo stesso, descrittivo) è immersa nel silenzio della pianura padana. Siamo entrati dalla finestra sul lato sinistro, con un po’ di fatica e qualche scricchiolio sospetto (delle mie ossa). Dentro, l’atmosfera era surreale: una piccola chiesa abbandonata, ma ancora in piedi, come se stesse aspettando qualcuno da anni. Il pavimento era completamente coperto da un muschio verde acceso, talmente uniforme da sembrare quasi messo lì apposta per fare scena. Maledetti urbexer arredatori.

Le panche, tutte in legno scuro, sono ancora allineate con ordine, anche se traballanti e sporche. Camminarci in mezzo fa uno strano effetto, come se il muschio avesse inghiottito il tempo. Ai lati dell’altare, due statue ci osservavano in silenzio: da una parte San Giuseppe con Gesù bambino in braccio, dall’altra la Madonna. Sono della stessa altezza e sembrano ancora più solenni in mezzo a tutto questo degrado. La pittura alle loro spalle si sta staccando, le pareti sono piene di infiltrazioni, ma loro due resistono, quasi ignari di tutto.

Sulle pareti laterali le stazioni della Via Crucis sono ancora tutte al loro posto, leggermente storte, incorniciate da strati di muffa e intonaco che si sfalda. Il fonte battesimale, vicino all’ingresso, è danneggiato: il bordo è spezzato e l’interno è pieno di foglie secche. L’acqua benedetta è solo un ricordo. Eppure è ancora lì, stabile, come se potesse servire ancora. Abbiamo osservato con calma, senza parlare, cercando di non lasciare tracce. Il verde brillante del pavimento contrastava con le ragnatele alle finestre e il silenzio era rotto solo dal rumore ovattato dei nostri passi sul muschio. Poi siamo usciti da dove eravamo entrati, lasciandoci dietro una chiesa abbandonata, triste e meravigliosa, che, nonostante tutto, sembra ancora in attesa.

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La Villa dei Drappi Rossi

POSTED ON 20 Mag 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, mansion

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Ci sono esplorazioni che colpiscono subito, altre invece si lasciano capire e apprezzare solo con il tempo. Quella che viene soprannominata Villa dei Drappi Rossi appartiene, senza ombra di dubbio, alla seconda categoria. Avevo sentito parlare di questa casa per merito di una figura abusiva che, a quanto pare, la abita ancora – o almeno la controlla – durante il giorno. Per evitare incontri spiacevoli abbiamo scelto di arrivare all’alba. Nessuna presenza, nessun ostacolo. L’ingresso è stato persino più semplice del previsto. La vera difficoltà è iniziata dentro. Fotografare, più che entrare, è stato il vero problema. Trovare un senso, una logica, in quel caos. La luce era brutale: tagli netti, forti contrasti, ombre complicate. In certi ambienti sembrava impossibile trovare un equilibrio tra ciò che il mio occhio vedeva e ciò che la macchina era in grado di capire. Colpa mia ovviamente.

La stanza più famosa, quella dei drappi rossi, è scenografica, ma tutt’altro che semplice da fotografare. Una tenda di tessuto bordeaux e oro pende dal soffitto come un baldacchino teatrale. Sotto, un lampadario di cristallo ancora intatto domina il centro della scena. Le pareti sono rivestite di velluto rosso, i mobili distribuiti con una cura che sembra quasi recente: una poltrona, un tavolo da gioco coperto da una bandiera italiana, una lampada vintage, una valigia ai piedi del tavolo. Sul fondo, un armadio e un attaccapanni con un cappello ancora appeso, come se qualcuno dovesse rientrare a momenti. Perfino il tappeto sembrava ancora al suo posto.

Eppure, tutto questo equilibrio visivo non riuscivo a metterlo insieme: la luce delle finestre era troppo intensa, il rosso troppo potente. Serviva un’inquadratura centrale, pulita. E serviva calma, e quella, guarda la combinazione, mi mancava. Alla fine mi sono steso a terra per allineare il lampadario con la simmetria del soffitto e trovare il mio zenit. Ho scattato con calma, senza ansia, cercando la quadratura del cerchio: quella perfetta. Quello scatto, e forse solo quello, mi piace davvero: è l’unica immagine che mi regala una certa soddisfazione. Il resto della villa non mi ha restituito lo stesso impatto. Alcuni ambienti erano spogli, altri semplicemente troppo bui e caotici. Ma a volte una sola stanza basta, certe volte anche una sola foto, per salvare un’intera esplorazione.

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La Villa dei Rombi

POSTED ON 18 Mag 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, mansion

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Chi frequenta il mondo dell’esplorazione urbana lo sa: alcuni posti non ti colpiscono subito, ma per qualche motivo restano impressi. La Villa dei Rombi è uno di questi. Una villa piuttosto semplice, con poche stanze e niente di eclatante, ma con un dettaglio che la rende inconfondibile: una porta con vetri a forma di rombo, colorati di rosso e arancione.

Quella porta – ancora sorprendentemente intatta – conduce a una sala che sembra rimasta in attesa. C’è un vaso su un tavolo, alcune poltrone disposte con un certo ordine, uno specchio inclinato che riflette frammenti sparsi della stanza. Sotto lo specchio, su un mobile, spunta la vera protagonista non dichiarata dell’arredamento post-abbandono: la madonnina con l’acqua di Lourdes. A giudicare da quante ne ho viste in giro, pare che mezza Italia abbia fatto il pellegrinaggio. Io faccio parte dell’altra metà ovviamente. Sul camino, un crocifisso (manca mai) dall’aria un po’ inquietante affiancato da un quadro. Anche qui, come spesso succede, tutto sembra sistemato apposta per raccontare qualcosa, anche se non è chiaro cosa. Più banalmente per costruire una foto che possa risultare instagrammabile.

Tre scalini in legno portano a un curioso piano rialzato, quasi una soffitta a vista. È uno spazio luminoso grazie a una grande porta-finestra, con un pavimento in legno, che potrei definire vissuto e che scricchiola al minimo passo. Al centro, quasi in posa, una vecchia valigia, di quelle di cartone, coperta di polvere: sembra dimenticata, più probabilmente lasciata lì apposta per far scena. Le camere da letto sono ormai vuote, spoglie. Ma nel bagno c’è un dettaglio che fa sorridere: un flacone di Paperino’s, il celebre dentifricio anni ’70 e ’80 al gusto di fragola, banana o chewing gum. Un prodotto così dolce che le mamme temevano che i figli lo mangiassero a cucchiaiate, più che usarlo per lavarsi i denti (anche mia mamma). Trovarlo lì, dopo decenni, è come scoprire un souvenir di un’epoca in cui anche l’igiene orale aveva un sapore più divertente.

All’esterno, la natura si sta riprendendo tutto. Le piante si arrampicano ovunque, invadono il giardino, spingono verso il cielo. La villa resiste, anche se a fatica. Non è una location particolarmente interessante, anzi: se non fosse per quella porta con i vetri a rombo, sarebbe probabilmente già finita nel dimenticatoio. Ma basta varcarla una volta per ricordarsela a lungo.

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Villa Bellavista -dei Pappagalli-

POSTED ON 15 Mag 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, mansion

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Villa Bellavista si trova in Toscana, anche se oggi di bella ha poco e di vista ancora meno: tutto attorno crescono piante che sembrano decise a riprendersi ogni metro. Il nome vero è scritto sopra la porta d’ingresso, in ferro battuto, ma nel mondo urbex è nota come Villa dei Pappagalli, per via dei volatili dipinti sul soffitto della stanza principale. Un dettaglio curioso, quasi fuori posto, come se qualcuno avesse voluto dare un tocco esotico a un edificio che oggi è in grave stato di abbandono.

Siamo entrati in un pomeriggio caldo, di quelli che forse sarebbe meglio passare in spiaggia, e subito l’aria stagnante ci si è appiccicata addosso. L’ingresso è silenzioso, rotto solo dai vetri sotto le scarpe. La stanza centrale è l’unica vera protagonista di tutta la villa. Ampia, con pareti dipinte a trompe-l’oeil e un soffitto decorato da rami intrecciati, che culminano in quegli strani pappagalli sospesi tra cielo e fantasia. L’effetto è ancora sorprendente, nonostante lo stato generale: qui il tempo ha colpito duro, ma non ha cancellato.

Sul pavimento un disastro, ma anche qualche residuo di storia. Una macchina da cucire Atlas, distrutta e ormai irriconoscibile, si contrappone ad una sedia che sembra essere uscita direttamente dal Castello di Re Artù. In un altro contesto sarebbe tutto pittoresco. Qui è solo fragile, distrutto, decadente. Le stanze successive raccontano meno. Pareti scrostate, infissi che pendono, pavimenti ricoperti di polvere, quando non sono crollati, e nessun dettaglio da descrivere. Non c’è nulla di particolarmente interessante, e forse è anche meglio così. In una stanza spicca un graffito: la parola LOVE scritta in grande, in rosso ovviamente, e alzando lo sguardo non si può fare a meno di ammirare il soffitto. Non si sa se sia un messaggio ironico, un tentativo di lasciare un segno o solo un atto di un’anima ottimista. In ogni caso, non sembra appartenere alla casa, e proprio per questo risalta. Quando siamo usciti mi ha pervaso un senso di delusione e fastidio.

Villa Bellavista non ha più molto da dire, ma i suoi pappagalli, in un certo senso, parlano ancora.

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La villa del medico condotto

POSTED ON 14 Mag 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, mansion

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La villa del medico condotto è una delle esplorazioni urbex che mi ricorderò con più chiarezza, non tanto per l’edificio in sé, quanto per un episodio particolare che è accaduto durante la visita. Era molto presto, intorno alle 5:30 del mattino, primavera inoltrata, e il sole si affacciava appena oltre le colline. Avevo deciso di arrivare sul posto alle prime luci dell’alba, per sfruttare la tranquillità e la luce favorevole. L’accesso alla villa, infatti, si trova in pieno centro abitato e non è particolarmente discreto, quindi era importante evitare orari troppo frequentati.

A pochi chilometri dal mio pin, mentre percorrevo una strada di campagna, ho notato davanti a me un’auto che procedeva molto lentamente.

Pensavo al solito vecchietto lento, poi mi sono avvicinato per superare e ho visto che davanti alla macchina c’era un gruppo numeroso di persone che camminavano. Alcune avevano in mano delle torce e l’uomo al volante mi ha fatto segno di rallentare, dicendo semplicemente: “È una processione, vada piano”. Ho proseguito lentamente, ho superato il gruppo (capeggiato da un enorme croce) con cautela e sono arrivato alla villa. Ho parcheggiato, sono entrato e ho iniziato la mia esplorazione. Mentre ero al secondo piano, ho sentito un fortissimo brusio, delle voci provenire dall’esterno. Mi sono affacciato a una finestra e ho visto che la processione stava passando proprio sotto la villa. Era un gruppo molto numeroso – direi alcune centinaia di persone – che camminavano per le vie del paese recitando preghiere. È stato un momento piuttosto insolito: mentre scattavo le foto all’interno di una casa abbandonata, in evidente stato di degrado, fuori si svolgeva una cerimonia religiosa di grandissima partecipazione; erano da poco passate le 6 del mattino. Ho scattato due foto di nascosto per congelare il momento e sono tornato in veranda.

La villa del medico condotto è un luogo affascinante, intriso di storia e di memorie. Ovunque si posi lo sguardo, ci sono oggetti che raccontano una vita intera, dettagli che restituiscono un mondo ormai scomparso. Sapevo della presenza di una veranda splendida, e così, appena entrato sono salito al secondo piano, l’ho cercata subito. Era presto, la luce del mattino iniziava appena a filtrare: quando entro in un luogo all’alba, cerco sempre di cominciare dagli spazi più luminosi. E anche stavolta non sono rimasto deluso. La veranda era avvolta in un’atmosfera poetica, attraversata da una luce delicata e dorata. Mi sono concentrato per non sbagliare quella che sapevo sarebbe stata la foto più importante.

Poi ho continuato l’esplorazione, stanza dopo stanza. Un bagno incredibilmente stretto, quasi verticale, incassato nella scala. Una vecchia carrozzina in soffitta, che sembrava arrivare da un altro secolo. Il fasciatoio di marmo, le saponette dell’Olio Carli, da Imperia, conservate con cura e ancora nella scatola originale. Un vaso da notte a forma di papera, buffo e surreale. Occhiali, una dentiera, piccoli oggetti quotidiani. Le ciliegie al liquore Fabbri, sempre presenti anche in casa mia, del quale ricordo perfettamente il sapore forte e dolciastro. E, immancabile, quasi attesa: la statuetta dell’Acqua di Lourdes, con la classica forma della Madonna.

Le due stanze più significative erano sullo stesso piano. La sala da pranzo, bellissima, illuminata da una terrazza che lasciava entrare una luce calda e radente. La tavola ancora apparecchiata, un divanetto giallo, un sofà in stile inglese, il caminetto maestoso: tutto fermo, immobile, cristallizzato in un tempo che non scorre più. Accanto, quello che doveva essere l’ambulatorio del medico: un lavabo per lavarsi le mani, volumi di medicina in libreria, e sul banco, ancora lì, gli strumenti del mestiere. Nessun segno di vita recente, solo silenzio, confusione e polvere.

E poi c’è una foto che ho voluto e che mi piace particolarmente. In quello che ho immaginato fosse un piccolo tinello, o forse un’antisala, la luce colpiva direttamente l’obiettivo da una finestra proprio di fronte. Non riuscivo a domarla: era troppo forte, troppo netta. Allora ho deciso di farmela amica. Ho tolto il paraluce e ho sfruttato una delle piccole debolezze della mia lente: la sua fragilità in forte controluce. Quello che era un limite è diventato parte dell’immagine. Alla fine, anche le imperfezioni raccontano qualcosa. Forse proprio quelle rendono certi luoghi ancora più veri.

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La Chiesa di Sant’Ambrogio

POSTED ON 11 Mag 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, church

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Questa piccola chiesa è stata una vera sorpresa. Dalle mappe sembra essere dedicata a Sant’Ambrogio e si trova al confine di una proprietà privata, in Lombardia ovviamente. La mia destinazione principale era in realtà la casa vicino, ma una volta arrivato la chiesetta ha subito attirato la mia attenzione. Di fronte all’entrata c’era una colonna di pietra che ostruiva parzialmente l’accesso, seguita da una grata, poi una seconda grata, e infine la porta d’ingresso, che sembrava chiusa.

Provando a infilare le mani tra le due grate ho scoperto che la porta era in realtà solo accostata: guardando all’interno ho capito subito che ne valeva la pena, da fuori l’ambiente sembrava essere molto bello, intrigante, con un dipinto enorme sopra l’altare. Con un po’ di fatica sono riuscito a spostare la grata esterna (era pesante, ma solo appoggiata) e ad aprire leggermente la porta in modo da passare senza forzature e senza danni (al sottoscritto).

L’interno è composto da una navata unica, stretta, con pareti spoglie segnate dal tempo e dall’umidità. Le sedie in legno sono disposte in modo disordinato, ma ancora rivolte verso l’altare. Il pavimento è coperto da foglie secche e polvere, e al centro spicca un vecchio tappeto, sporco e consumato. Dietro l’altare, una grande pala raffigura la Crocifissione, incorniciata da due finestre con vetri colorati che filtrano una luce tenue e fredda. Nonostante lo stato di abbandono si percepisce ancora un’idea di ordine, come se il tempo si fosse fermato, ma con austerità.

Dopo aver scattato le foto sono uscito strisciando e ho rimesso tutto al proprio posto: la grata, la porta e ogni cosa esattamente com’era quando sono arrivato. L’atmosfera della chiesetta era semplice, ma al tempo stesso sofisticata. Forse proprio perché è stata una scoperta del tutto inaspettata, l’ho trovata ancora più affascinante di quanto sia in realtà.

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