Nel mondo urbex ci sono storie che sembrano essere interessanti, storie di recupero, storie che qualche volta portano, aggiungo forse, anche ad un lieto fine. L’istituto Gianotti nacque come casa per la gioventù orfana nel 1854 su proposito di don Giovanni Battista Gorla; in data 10 luglio 1854, con regio decreto, Vittorio Emanuele II ne approvò lo statuto organico. Fra i sostenitori e fondatori dell’istituto il più importante fu il Vescovo di Saluzzo, Mons.Antonio Gianotti, che contribuì generosamente a quest’opera benefica ed educativa e con atto testamentario donò la sua eredità (20000 lire, una cifra molto importante all’epoca) alla struttura che poi prese, in suo onore, il nome di Istituto Gianotti.
Negli anni si perdono le tracce dell’istituto, la storia diventa frammentaria, ma nel dopoguerra, cambiate le esigenze della città, diventa la sede delle scuole artigiane. Parliamo di arte del legno e del restauro dell’Istituto Bertoni, che nel 1990 abbandonò per trasferirsi nella ex caserma Musso e diventare Soleri-Bertoni. In questa scuola si sono formate generazioni di artigiani e falegnami saluzzesi, molti dei quali andati a bottega proprio da Amleto Bertoni, nella sua azienda che allora si trovava di fronte all’istituto.
Nell’ultimo decennio si è parlato molto di recupero, la struttura del Gianotti si trova nel centro storico di Saluzzo e potrebbe diventare un luogo importante di aggregazione. Nel 2021 è stato firmato un accordo fra la fondazione che gestisce lo stabile e la “REAM” di Torino, la società che raggruppa le Fondazioni delle casse di risparmio del Piemonte. Il progetto prevede la riqualificazione della storica sede dell’istituto che verrà trasformato in alloggi riservati a persone che vivono particolari situazioni di fragilità. Dalla firma del contratto alla conclusione dell’iter burocratico, e quindi dei lavori, sicuramente passerà del tempo e al momento in via Griselda tutto tace e nulla si muove. Sono passati quasi tre anni. E questa è la spiegazione del mio forse iniziale.
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Il collegio dei Salesiani di Peveragno nasconde, ma non troppo, un fascino inconfondibile. Per la posizione, per la storia, per i racconti che ho letto in calce al mio primo articolo dedicato. È una storia che si costruisce e cambia punto di vista, di continuo. Sono tornato recentemente per portare un amico e ho scoperto un mondo totalmente diverso: il collegio ha vita propria, si evolve e diventa nuovo ogni volta. I graffiti sono in evoluzione, sempre più belli, sempre più moderni. E niente, ogni volta diventa un’esperienza, ogni volta è diverso.
È più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo.
– Frederic Jameson
Ho deciso di definire questo collegio segreto per un motivo un po’ bizzarro e che forse esula dalle caratteristiche intrinseche della location; perché non è affatto segreto, ma nasconde un’insidia. Prima definiamo la situazione: siamo in un piccolo paese desolato, ma talmente desolato che alla richiesta di un bar per un caffè un local, che girava stancamente in bicicletta in cerchio senza apparente destinazione (noia mortale la domenica), ci ha suggerito di andare nel paese vicino (una roba che a raccontarla adesso mi sembra assurda); che qui i foresti non sono graditi (il corsivo è una mia libera interpretazione). Comunque aveva ragione, di bar aperti nemmeno l’ombra e siamo stati costretti ad avanzare senza caffè (per il giubilo dei miei compagni di avventura).
In questo angusta terra di mezzo sembra tutto abbandonato e non c’è anima viva (a parte il tipo simpatico in bicicletta): riusciamo comunque a trovare il nostro obbiettivo, la porta è aperta, l’entrata è semplice. Andiamo alla ricerca della chiesa, trovata, scopro l’aula di chimica, un altro giro veloce e siamo fuori in circa 30 minuti: un po’ di fretta perché avevo notato (dalla finestra) un tipo sospetto (una seconda anima annoiata) che con il cellulare all’orecchio guardava con insistenza nella nostra direzione.
Perché segreto? Semplice, uscendo andiamo in direzione della macchina (nascosta in un parcheggio vicino) e rimaniamo sorpresi da un gruppo di 4 persone con un’aria tipica, e facilmente riconoscibile, che mangiano in piedi dei panini con il bagagliaio della macchina aperta; con un abbigliamento che non avrei definito della domenica. Un paio di occhiate furtive e viene spontanea la domanda: Urbex? Ovviamente si, ci si conosce tutti, e scatta il racconto della nostra domenica in giro per il mondo abbandonato. Lì abbiamo trovato l’allarme, dall’altra parte c’erano i carabinieri, dall’altra parte ancora hanno chiuso con un lucchetto nuovo e siamo dovuti passare dalla finestra. Questo invece bellissimo, avete visto che meraviglia le stanza affrescate nella parte vecchia? Io e Lorena ci siamo guardati, una riflessione veloce e, nonostante la sua titubanza, ci siamo visti costretti (io ho costretto lei) a rientrare per visitare la parte segreta.
E quindi niente, di nuovo tutta la trafila, ma con le indicazioni passo/passo, da veri urbexer di livello, siamo riusciti anche noi a trovare la zona antica, introvabile e nascosta. A nostra discolpa posso dire che si passava da una scala buia e pericolosa, con anche qualche ragnatela, e le nostre paure ancestrali ci hanno impedito di varcare la soglia: poi c’era anche un canestro da basket rovesciato per terra (si vede bene nell’ultima foto) che impediva l’accesso in modo importante. Ma colpa mia, è nel mio DNA essere sempre un po’ frenetico. Bella comunque, il rientro ha meritato la fatica: era proprio necessario, non mi sarei mai perdonato la mancanza. Poi c’è anche quel discorso della Ferrari, ma è un’altra storia da raccontare…
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Ultimamente quest’aula con la parete dipinta è diventata molto famosa perché appare nel video di Come Pripyat l’ultimo singolo di Capparezza. Tutto il video è ambientato in alcune location urbex italiane e il titolo della canzone credo riesca a spiegare perfettamente il motivo della scelta. Questa scuola si trova in un piccolo piccolo piccolo paesino e da fuori non sembra nemmeno una scuola. Il resto dell’edificio non è degno di nota, anzi, è decisamente anonimo, ma quando si entra in quest’aula non si può che rimanere esterrefatti. Perché probabilmente la decadenza ha aggiunto un fascino nuovo e armonioso a questa bellissima parete che di colpo diventa perfetta per un video musicale sulla decadenza del genere umano. È un periodo storico difficile.
Per questi ragazzi non ci sarà scampo
giocano alla mafia mamma vado in strada sparo
a 30 anni da Capaci vedi Sarà Strano
ma il modello è diventato Genny Savastano […]
– Capparezza
La sensazione entrando in questa minuscola scuola è straniante. La struttura è molto particolare: forse una sola aula, pochissime stanze, un piccolo giardino e un teatro. Si, un teatro, che occupa la parte centrale e più importante del palazzo. Il tutto dà l’idea di cacofonia, come se non ci fosse un senso logico; anche perché la scena è davvero teatrale, con i banchi sistemati in modo simmetrico, qualche libro lasciato a caso ma non troppo, una foto di Ornella Muti (?), il vangelo (??) e delle coppe dozzinali di qualche trofeo di poco conto. Il bello di questo luogo è tutto nell’aula teatro: ho scattato i dettagli con il 50mm a tutta apertura e l’effetto sfuocato sui particolari mi fa ancora e sempre impazzire. E ricordiamoci sempre che il teatro fa bene ai bambini.
Il bambino non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere.
– François Rabelais
Agli inizi del secolo scorso la zona veniva definita il paradiso dei bambini. Siamo sul lago maggiore, al confine fra Piemonte e Lombardia: qui infatti, grazie al clima temperato, numerosissime colonie sorsero tra i monti per ospitare i bambini che, accompagnati dai genitori, venivano in questi luoghi a trascorrere le vacanze. Nel tempo si è persa la tradizione della colonia estiva: alcuni edifici sono stati convertiti, altri sono caduti in disgrazia, abbandonati e inghiottiti dalla vegetazione. Quello che viene definito Red Cross (non ho capito per quale motivo, ma nel mondo urbex il primo che arriva decide il nome) fa parte di questa seconda categoria: dentro è rimasto quasi niente, solo poche tracce del passato che fu. Al centro dello stabile, raggiungibile facilmente da qualsiasi direzione, c’è ancora la cappella. E’ un classico di queste strutture a forte tradizione cattolica: è necessario istruire soprattutto lo spirito, Dio vuole così. Poi è tutto un susseguirsi di stanze da letto, quasi esclusivamente camerate per i piccoli ospiti, aule per lo studio, la cucina e, ovviamente, bagni. L’idea è più quella di una prigione: lo spazio per il divertimento è davvero ridotto, forse qualche gioco all’esterno se il clima lo permette. Le giornate di pioggia dovevano essere una tragedia. Una frase scritta sul muro di una della camerate mi ha colpito molto: Mangia, Caga e Dormi. E’ facile che il nostro writer abbia dimenticato prega, ma cambia poco: rende perfettamente l’idea della situazione delle colonie estive del secolo scorso.
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