Oggi mi è capitata una di quelle storie che vale la pena raccontare. Ero alla foce del Torrente Impero alla ricerca di qualche scatto interessante per la sera (poi l’ho trovato) quando nelle acque del torrente (ma praticamente sul mare) ho intravisto il cadavere di un uccello. Mi sono avvicinato e appena ha sentito la mia presenza ha iniziato a muoversi in modo compulsivo: non era morto, ma ho subito notato un’esca da pesca con 4 ami di acciaio (quella che viene comunemente definita Rapala); uno degli ami trapassava il becco da parte a parte e la lenza di nylon (lunga circa 2 metri) impediva all’uccello di volare. Ho iniziato ad avvicinarmi piano piano e sono riuscito a bloccarlo nel tentativo di rimuovere l’amo. Impresa impossibile, d’altronde i maledetti Rapala sono fatti proprio per questo scopo. Mi sono limitato a liberarlo dal filo di nylon; mi faceva una pena e una tenerezza incredibili. Il becco era rotto e si vedeva l’amo uscire dalla parte opposta. Non sapendo cosa fare ho chiamato la Lipu e dopo un paio di telefonate sono arrivato a Roberta, volontaria di Imperia: mi ha detto di resistere che sarebbe arrivata il prima possibile per aiutarmi. Ho cercato di calmare il mio nuovo amico in difficoltà: per impedirgli di volare l’ho bloccato grazie alla lenza. Mi fissava con una tristezza infinita negli occhi. Dopo 15 minuti è arrivata Roberta munita di tronchesino: mi ha spiegato che si trattava di un giovane esemplare di gabbiano reale e con maestria l’ha bloccato e tranquillizzato. Dopo un paio di tentativi sono riusciuto a spaccare l’acciaio dell’esca, Roberta ha allargato il becco e ha estratto l’amo. Qualche carezza di conforto e Bartolomeo (ho deciso di chiamarlo così) ci ha ringraziato correndo felice sulla spiaggia. Mi è scesa anche una lacrima di gioia. Roberta mi ha detto che capita spesso e che per questo motivo ha sempre il tronchesino in borsa. Finisco qui la storia, ognuno tragga le sue conclusioni.
Domenica scorsa, dopo qualche tentativo andato a vuoto, ho passato la mattina al centro Uomini e Lupi di Entracque.
Il Centro Uomini e Lupi comprende un recinto di circa otto ettari al cui interno sono ospitati alcuni esemplari di Canis lupus italicus. Si tratta esclusivamente di animali che non potrebbero vivere in libertà: o perché vittima di gravi incidenti, o in quanto già nati in condizioni di cattività.
Ad aspettarmi ho trovato una discreta quantità di fotografi muniti di attrezzatura di un certo rilievo. Non sono un vero appassionato di questo tipo di fotografia, ma mi sono comunque divertito. Certo, complice la poca esperienza, la scarsa attrezzatura (70/200 moltiplicato 1.4) e il poco tempo a disposizione (ok, le scuse sono finite) non sono riuscito a riprendere il lupo come avrei voluto.
Al centro dell’area si alza una torretta di tre piani da cui è possibile osservare una larga porzione dello spazio recintato. Se in natura l’avvistamento di un lupo è evento quanto mai raro e fortuito, va sottolineato che anche all’interno del centro faunistico l’osservazione del lupo non è un evento scontato.
E’ stata comunque un’esperienza interessante: non capita tutti i giorni di poter osservare il lupo così da vicino. Mi piacerebbe tornarci, magari con qualche ora in più a disposizione.
Non sono sicuro che un giorno troverò le capacità per appassionarmi alla fotografia macro. Certamente è un mondo affascinante, ma anche decisamente difficile. Ed io sono un po’ troppo scheggia impazzita, un po’ troppo agitato per questo tipo di pazienza. Ho scattato questa foto poco dopo mezzogiorno, nel parco di un ristorante; avevo con me l’obbiettivo macro quasi per caso. Fotografare una lucertola in pieno sole è un’impresa: si muovono in continuazione ed è quasi impossibile avvicinarsi senza farle scappare. Probabilmente non era abituata alla presenza dell’uomo, ha esitato un attimo e sono riuscito a scattare. Questa posso definirla la mia prima foto macro (1:1). Non credo sarà l’ultima.
E’ appena terminato il workshop di fotografia Macro (e naturalistica) con Alberto Ghizzi Panizza. Decisamente molto interessante: vedere e capire come si realizzano certe immagini sul campo è un’esperienza fondamentale per qualsiasi aspirante fotografo. Soprattutto se il maestro ha capacità e conoscenze di un certo livello come Alberto. La fotografia macro probabilmente non è nelle mie corde: troppa pazienza, troppa meticolosità. Ero convinto che fosse sufficiente utilizzare un obbiettivo adatto (1:1) ed inseguire farfalle, lucertole e lumache (?) in mezzo alla natura; purtroppo non è così. E’ necessario aspettare, costruire, conoscere e magari alzarsi all’alba (ma perché sempre all’alba??). Certo, è anche possibile limitarsi ad inseguire e sperare nel colpo di fortuna: è il caso di questa foto. La farfalla era lì, tranquilla e ferma ad attendere il tramonto. L’abbiamo anche spostata da un filo d’erba ad un fiore (senza sfiorarla) per rendere l’immagine più intrigante. Poi con l’aiuto di Alberto sono riuscito a fotografarla completamente a fuoco, in manuale. Pensavo ci fosse più post-produzione, chissà quali ottiche e tecniche fotografiche. Invece è solo questione di conoscenze, capacità tecniche, fantasia, passione e anche attrezzatura. Forse dopo il workshop di oggi ho qualche conoscenza e una minima percentuale di passione. Mi manca tutto il resto. ;-)
Benjamin, detto Benji, è un cane di San Bernardo. Non ha la fiaschetta di grappa (almeno non in quel momento) ed è l’animale più docile del mondo. E’ un molosso di quasi 90 chili. Impressionante. E mentre lo fotografavo con il 24mm (quindi a meno di un metro di distanza) è rimasto impassibile e calmo, come se il fotografo nemmeno esistesse. Per questo ritratto ho utilizzato un fotoritocco leggero: una schiarita ai toni della pelle e il timbro clone per eliminare occhiaie e rughe.
Dal 21 ottobre scorso sono diventato proprietario di Shiva, una piccola femmina di Chow Chow. Non ero intenzionato ad adottare (non nel breve periodo almeno) un cane ma, non so come e non so perché, è capitato. Pagando anche una discreta sommetta. E dopo 20 giorni di convivenza con questo piccolo animale peloso (molto peloso) posso dirmi molto contento della scelta fatta. Il Chow Chow è un cane molto particolare: è tranquillo, silenzioso, abbaia molto raramente e solo in caso di necessità, mangia qualsiasi cosa, resiste molto bene al freddo inverno piemontese. E’ affettuoso (ma non in modo eccessivo) con il padrone ma molto restio a concedersi alle amicizie occasionali. Un cane perfetto insomma. Dopo qualche giorno di studio è diventata (è una femmina) molto vivace e rallegra le nostre giornate; certo costa un po’ di fatica riuscire a stargli dietro, ma in alcuni atteggiamenti è davvero divertente e il suo affetto incondizionato ricompensa le nostre fatiche.
Mi piace fotografare gli animali. E’ difficile, sia chiaro, ci vuole tempo, pazienza e voglia di aspettare lo scatto giusto. Immaginate un prato verde e tre splendidi cuccioli di gatto impauriti: lontani per la prima volta dalla loro mamma e dal granaio, la loro prima casa. E immaginate un cane curioso che si diverte a giocare con loro, a stuzzicarli e a scappare impaurito quando i tre cuccioli rizzano il pelo e si posizionano per l’attacco. Divertente. E poi c’è il fotografo: sdraiato a filo d’erba, dito pronto sul pulsante di scatto, senza macchia e senza paura. In attesa. In attesa che i gattini escano dal guscio e provino ad avventurarsi nel mondo circostante. In fondo non è così male, le reazioni dei cuccioli sono curiose, si nascondono, si guardano in giro, sono esploratori. Dopo un’ora di giochi e di scatti è tempo di tornare dalla mamma, di tornare a casa. In attesa di trovare un nuovo padrone che gli voglia davvero bene.
Sono tornato. Dalla Svizzera; la febbre di inizio vacanza mi ha debilitato ma grazie al cioccolato mi sono ripreso agevolmente ed in tempi rapidi. E voglio subito parlare di un qualcosa che ho visto in Svizzera e che molto mi ha fatto riflettere: gli Orsi di Berna. Per chi non lo sapesse l’orso è il simbolo della capitale Elvetica dal 1191 anno della sua fondazione; il nome della città deriva proprio da ‘baar’ che significa, appunto, orso, in onore dell’animale che Berthold V di Zaahringen uccise proprio sulla sponda del fiume Aare. Al centro della città, poco oltre il ponte Nydeggbrucke, si trova una grossa fossa, chiamata Baarengraben (fossa degli orsi) a forma di cerchio. In questa fossa vivono due orsi: Pedro e Tana. E’ molto divertente giocare con loro, lanciare cibo, fotografarli e riprenderli mentre si divertono a scherzare con i turisti. In Italia una situazione del genere provocherebbe manifestazioni degli animalisti tutti i giorni. Non è tanto la cattività a rendere triste la situazione ma bensì la posizione degli orsi che guardano tutti dal basso verso l’altro, peggio della peggiore attrazione turistica. Dalla modernissima Svizzera non mi aspettavo certo una prigione simile.
Ci sono soggetti difficili da fotografare: tramonti, la luna, lo sport. Poi ci sono soggetti praticamente impossibili: bambini e animali. Nella categoria animali, rimanendo nei domestici, sicuramente il gatto occupa una posizione di rilievo; mi sono messo in testa di fotografare il mio gatto. E’ stata un’impresa dura e complicata, al limite delle possibilità umane (forse esagero). Ma ci sono, circa, riuscito.
Ci sono tante cose che mi hanno colpito dell’Irlanda; forse però la più incredibile, quella che si nota, la più caratterizzante è certamente l’incredibile quantità di pecore che si incontrano lungo la strada. Si trovano praticamente ovunque: nei prati, in montagna, in città, sulle spiagge, nei luoghi turistici. I negozi di souvenir sono pieni di ogni rappresentazione della pecora: maglie, sciarpe, magliette con le pecore, pigiami con le pecore (un classico), peluches, salvadanai, marionette. Per l’Irlanda le pecore sono come il Colosseo per Roma, come la Torre Pendente per Pisa.
Il cielo d’Irlanda si sfama di muschio e di lana
il cielo d’Irlanda si spulcia i capelli alla luna
il cielo d’Irlanda è un gregge che pascola in cielo
si ubriaca di stelle di notte e il mattino è leggero
si ubriaca di stelle e il mattino è leggero