POSTED ON 4 Gen 2023 IN
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Sono tornato, quasi per caso, al celeberrimo Teatro Fascista. Non ero molto intenzionato a scattare, ma il tempo in qualche modo va utilizzato e con la fotografia non è mai sprecato: ho deciso quindi di diventare specialistico e di fotografare solo con il Sigma 14mm, un obbiettivo che all’epoca della prima infiltrazione non avevo nello zaino. E da quella esplorazione nel teatro diverse cose sono cambiate: un’insegna è sparita, un’altra è stata spostata all’ultimo piano, è stata eseguita una pulizia poco accurata. Ho cercato delle simmetrie perfette, il tempo a disposizione non mi è mancato, e ho lavorato di precisione con la testa micrometrica per ottenere la perfetta centratura del quadrato. E sono riuscito ad ottenere un reportage, ovviamente solo parziale, ma che trovo decisamente interessante.







POSTED ON 3 Gen 2023 IN
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urbex

Sarebbe più semplicemente La Scala Rossa (ma anche Villa Keiko, il vero nome), una sorta di Red Carpet del mondo urbex. E devo ammettere che non ho capito il concetto di infami, ci dev’essere qualche faida nascosta; ma il suono mi attirava, era melodioso e poi l’ho sempre definita così, era giusto conservare il titolo.
Questa villa tende a ridefinire il concetto di meraviglia, almeno per quanto riguarda l’esplorazione urbana: si entra dal seminterrato passando da quello che una volta doveva essere un giardino lussureggiante e che invece adesso è ricoperto di foglie secche. Il racconto fotografico è invertito rispetto all’entrata. Nel seminterrato si trova una zona svago, con ping pong, calciobalilla, cantina e zona bar/taverna. Poi si salgono le scale, si arriva all’ingresso e non si può che rimanere estasiati dalla sala da pranzo, dal salone e soprattutto dall’ingresso dominato da una meravigliosa scala in legno ricoperta dal celebre tappeto rosso.
Chiaramente non è finita perché ci sono ancora due piani e la musica non cambia; in tema di musica, nel piano ammezzato trova spazio un pianoforte ormai distrutto dai stralci di soffitto che stanno cadendo sul pavimento. Al secondo e terzo piano si trovano le stanze, lo studio, le camere da letto (ho perso il conto) e sinceramente spero di essere riuscito a raccontare la bellezza attraverso le immagini, perché con le parole è troppo difficile, per me impossibile. Tutto in questa villa è concepito nel lusso e nell’eleganza, non manca davvero nulla: e questo aumenta la sensazione di tristezza e di malinconia. Non ci sono spiegazioni, non ci sono motivazioni comprensibili. Rimangono solo le tantissime bambole, in attesa, nella speranza che un giorno fra queste pareti si possa tornare ad ascoltare risate e vita.










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POSTED ON 28 Dic 2022 IN
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Dopo 4 anni sono tornato al presepe vivente di Bagnasco. Questa volta in assoluta solitaria, una toccata e fuga degna del miglior Johann Sebastian: sono arrivato all’ingresso poco dopo le 20 e sono riuscito a terminare il giro fotografico del presepe circa 90 minuti dopo, ma prima dell’inizio della rappresentazione (non potevo farcela). Devo ammettere che fotografare, bene, il presepe di Bagnasco è una di quelle imprese possibili solo con ottiche decisamente luminose: non esiste illuminazione (all’epoca Alessandro Volta non era ancora nato), è tutto al buio più assoluto alla luce di candele e falò. Si potrebbe utilizzare il flash on camera, ma è chiaro che il rischio di rovinare l’atmosfera sarebbe molto elevato; per risolvere l’arcano ho sempre utilizzato 3200 ISO e aperture di focale non superiore a f/2. Non è un reportage in senso stretto, è più una raccolta disordinata di ritratti e ambientazioni; non ho avuto l’ispirazione per creare una storia vera e rigorosa, anche perché l’ordine degli attori è quasi casuale (e poco attinente alla storicità dell’evento). Spero si riesca ugualmente a percepire l’essenza della volontà e della passione che gli abitanti di Bagnasco dedicano al loro meraviglioso presepe.








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POSTED ON 27 Dic 2022 IN
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Anche quest’anno, per la seconda volta, è tornato il Mapping Natalizio a Mondovì Piazza. E’ meno brillante e colorato, si è preferito un tema invernale, delicato, ma l’atmosfera non è cambiata ed è sempre molto immersiva e sofisticata. A differenza dell’anno passato ho fotografato con il Sigma 14mm Art che avendo un’apertura minima di f/1.8 mi ha permesso di recuperare un paio di stop e di tenere basso il numero ISO (quindi meno rumore e maggiore qualità). E’ un grande vantaggio perché per evitare il mosso artistico (le immagini si muovono) è necessario un tempo di almeno 1/15 e purtroppo non è possibile sfruttare l’arma della lunga esposizione.



POSTED ON 22 Dic 2022 IN
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Abbiamo deciso di chiamarlo Circolo dei Ciclisti perché in epoca recente, e prima del definitivo abbandono, con ogni probabilità aveva ospitato un’associazione sportiva: in alcune stanze (e all’esterno) abbiamo visto manifesti, locandine e adesivi (ormai consumati dall’umidità) dedicati al ciclismo. Forse una donazione? In precedenza era un’antica villa nobiliare, una residenza di rara bellezza, di proprietà di una delle più famose e ricche famiglie della zona. Non è difficile capirlo anche solo osservando la struttura, quello che rimane: tappezzeria, colonne, camini, soffitti affrescati, piccoli resti di arredo di prestigio, un salone importante su due livelli. Fra quelle colonne si dice ci fosse una libreria enorme e clamorosa: non è rimasto più nulla, purtroppo il tempo e gli agenti atmosferici hanno ormai preso il sopravvento e l’umidità sta minando le fondamenta di questa bellissima villa destinata presto a morire definitivamente.





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POSTED ON 17 Dic 2022 IN
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Quest’anno mi sono messo in testa di realizzare un reportage totale della Fiera del Bue Grasso di Carrù, arrivata ormai alla 112ª edizione. E vero, c’era anche una Maratona Fotografica con un montepremi importante, ma ho preferito comunque concentrarmi sul discorso completo per poi eventualmente estrapolare le 4 foto (pochissime, ho scelto queste: 1–2–3–4) che potessero raccontare almeno parzialmente la manifestazione.
Ho preso accordi con due allevatori della zona e sono andato ad assistere alla preparazione degli animali alle 5 del mattino: al buio e al freddo; ma è stata un’esperienza straordinaria e voglio ringraziare Valter Dogliani e Giovanni Rocca che mi hanno permesso di raccontare una piccolo pezzo della loro vita. È stato emozionante e sono momenti che porterò sempre nel cuore: non capita tutti i giorni.
Poi sono andato in paese, ho osservato una parte della colazione a base di trippe e bollito, salutato l’amico Beppe Cravero del ristorante Vascello D’oro (ho notato, con orgoglio, che conserva una mia foto dello scorso anno all’entrata del ristorante), bevuto un paio di bicchieri di Barbera a stomaco vuoto e quindi sono andato di corsa ad assistere all’arrivo, alla preparazione e alla pesa dei buoi sotto l’ala del mercato di Carrù. Terminate le operazioni di preparazione, e mentre la giuria decideva i vincitori, ho camminato lungo le vie del paese alla ricerca dei famosi suonatori: e qui c’è un mondo di persone allegre che intrattiene gli astanti con canzoni popolari tipiche della zona; non sono un esperto, ma la celebre madonnina dai riccioli d’oro l’ho ascoltata almeno un paio di volte (e da allora non riesco a smettere di cantarla)(d’altronde deve far vincere il Toro). Quindi dopo la colazione (alle 10) sotto il tendone a base di bollito e bagnèt verd con gli amici di Igers Piemonte, sono tornato in centro proprio mentre iniziava a nevicare in modo insistente: questo ha rovinato la premiazione (e il mio rientro a casa), ma un paio di immagini credo sia necessario pubblicarle per completare il reportage che si chiude, ovviamente, con l’addio degli animali e il rientro a casa dei suonatori.
Sono 58 foto, tantine, rigorosamente in silver come richiede il reportage e praticamente senza post-produzione: ho deciso di scattare in JPG eliminando i colori per entrare al massimo nel mood del progetto. Ho utilizzato, lungo tutto l’arco della giornata, esclusivamente due obbiettivi fissi: 35mm e 85mm quasi sempre con diaframmi inferiori a f/2. C’è anche il vezzo del fish-eye, ma una sola immagine: ci stava direbbero i giovani. Le foto sono in rigoroso ordine cronologico e raccontano una giornata vissuta ad alta velocità, nel freddo e nella neve, in compagnia del mio -autoprodotto- vin brulè. L’idea era quella di portarVi con me alla Fiera del Bue Grasso: spero di esserci riuscito.






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POSTED ON 10 Dic 2022 IN
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Il Teatro Carlo Bernasconi (dedicato al celebre produttore scomparso nel 2001) è stato per tanti anni un mondo intenso e feroce. Faceva parte, anzi, era il cuore pulsante, degli studios di Telecittà a San Giorgio Canavese: oltre 100mila metri quadri che comprendevano diversi teatri di posa, due set esterni e circa 6mila metri di uffici, camerini, saloni per il trucco, regie di produzione e montaggio e un’ ampia area, altamente tecnologica, per la post-produzione e la computer-grafica. Inoltre l’area poteva permettersi due hotel a 4 stelle, due ristoranti (fra cui il celebre Copacabana) e un enorme parcheggio, il tutto a soli quindici minuti d’auto dall’ aeroporto di Caselle e a quarantacinque dalla Barriera di Milano.
Lo svincolo autostradale di San Giorgio è stato il polmone del dopo Olivetti. In un reticolo di pochi chilometri – stretti stretti tra rotonde e bianche costruzioni – si è concentrata un’alternativa a quel lutto insostenibile segnato dalla scomparsa della “cara azienda”, una via di fuga nel materiale e nell’immaginario. Da un lato, Pininfarina, il suo ramo produttivo chiuso lo scorso ottobre; dall’altro – lungo le evocative via Federico Fellini e via Anna Magnani – Telecittà Studios, la Hollywood piemontese, a San Giusto Canavese
In questo teatro, dal 2000 al 2016, hanno lavorato sino a 1300 persone e sono state girate le puntate di Vivere e Centovetrine, le due soap opera italiane, prodotte da Mediaset, di maggior successo degli anni 2000. Poi la crisi, la cancellazione di Vivere nel 2008 e infine la chiusura di Centovetrine nel 2012 (nonostante ascolti di ottimo livello). Una vertenza sindacale, le proteste di artisti, lavoratori e telespettatori, un piccolo segnale di ripresa, un colpo di coda veloce che non ha impedito la fine di tutto il 13 marzo 2015 con il comunicato di Mediaset che annunciava la cancellazione ufficiale dai palinsesti. Un colpo pesantissimo per il Canavese già duramente provato dalla chiusura di Olivetti e Pininfarina. La situazione oggi è di completo degrado, tutto è abbandonato, l’insegna Teatro Carlo Bernasconi è stata coperta da teli di plastica: la sindaca di San Giorgio Canavese ha rivolto più volte appelli alla proprietà, ma al momento sono lettera morta. Esiste un futuro per la Hollywood del Canavese?







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POSTED ON 9 Dic 2022 IN
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Al complesso monumentale di San Francesco di Cuneo sono esposte 5 meravigliose pale d’altare di tre grandi maestri del rinascimento veneto: Tiziano Vecellio, Jacopo Robusti detto il Tintoretto e Paolo Caliari detto il Veronese. La mostra, a cura di don Gianmatteo Caputo e di Giovanni Carlo Federico Villa con il supporto organizzativo di MondoMostre, è allestita in modo elegante, maestoso e completo, è un progetto espositivo di Fondazione CRC e Intesa Sanpaolo ed è completamente gratuita. Assolutamente da visitare.
Apre la mostra l’“Annunciazione” (1563-1565) di Tiziano proveniente dalla Chiesa di San Salvador. Del Veronese vengono presentate il “Battesimo di Cristo” (1560-1561) dalla Chiesa del Redentore e la “Resurrezione di Cristo” (1560 circa) dalla Chiesa di San Francesco della Vigna. Di Tintoretto vengono esposte l’“Ultima Cena” (1561-1566) dalla Chiesa dei Santi Gervasio e Protasio detta San Trovaso e la “Crocifissione” (1560 circa) dalla Chiesa di Santa Maria del Rosario detta dei Gesuati.
Fotografare è consentito, senza treppiede, ma complicato date le condizioni di luce: ho scattato in manuale a tuttaapertura (f/2.8), impostando 1/80 di secondo (forse sfruttando la stabilizzazione avrei potuto osare di più, ma ho preferito non rischiare) e 800 ISO. Non volevo riprodurre il catalogo della mostra, mi interessava però che le opere fossero ben visibili e nitide senza cercare svolazzi ed eventuali velleità artistiche.
POSTED ON 6 Dic 2022 IN
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Entrare nella ThyssenKrupp è stata un’esperienza diversa dalle altre. Raramente, quasi mai, mi capita di sentire paura, ma in questa fabbrica devastata dal ricordo una sensazione di fastidio ha preso il sopravvento: non sono riuscito in nessun modo a fotografare con calma. Un’agitazione strana si è impossessata del mio cervello e ho scattato con un’ansia che non avevo mai provato. La condizione psicologica è stata influenzata, ovviamente, dalle voci che raccontavano di persone poco raccomandabili all’interno e in precedenza io stesso avevo visto un paio di energumeni aggirarsi per capannoni in modo sospetto, ma la tentazione è stata troppo forte e sono dovuto tornare.
Nella notte fra il 5 e il 6 dicembre 2007 gli addetti alla linea 5 dello stabilimento di Torino erano in attesa di riavviare l’impianto dopo un fermo tecnico per manutenzione. Trentacinque minuti dopo la mezzanotte l’impianto venne riavviato. In prossimità della raddrizzatrice, un irregolare scorrimento del nastro contro la carpenteria metallica (causato da una non precisa centratura del nastro stesso) produsse un forte attrito che innescò prima delle scintille e quindi un incendio dovuto principalmente alla presenza di carta intrisa di olio. L’addetto alla linea, rendendosi conto delle fiamme, si recò di corsa verso la sala di controllo per dare l’allarme: tutto il personale si precipitò quindi a tentare di spegnere l’incendio. Vennero prelevati gli estintori presenti lungo la linea, ma il loro impiego non riuscì a domare le fiamme; l’incendio si stava alimentando a causa della carta intrisa d’olio, della segatura, utilizzata sempre per assorbire l’olio, e di altra sporcizia. Si pensò allora di servirsi delle manichette antincendio e, mentre l’unico sopravvissuto era in attesa del nulla osta per poter aprire l’acqua, le fiamme danneggiarono un tubo flessibile dell’impianto idraulico oleodinamico da cui fuoriuscì dell’olio ad alta pressione nebulizzato, che immediatamente si incendiò come una grande nube (fenomeno del flash fire) investendo sette lavoratori.
Era mezzanotte e 53 minuti del 6 dicembre 2007: sono passati 15 anni da quella terribile notte, ma il ricordo è ancora vivo e non dovrà morire mai. Voglio ricordare i nomi delle 7 persone che hanno perso la vita cercando di domare l’incendio che divampò alla linea 5: Antonio Schiavone, 36 anni, Roberto Scola, 32 anni, Angelo Laurino, 43 anni, Bruno Santino, 26 anni, Rocco Marzo, 54 anni, Rosario Rodinò, 26 anni, Giuseppe Demasi, 26 anni. In Italia le statistiche delle cosiddette morti bianche sono in miglioramento costante, ma comunque ancora oggi muoiono circa 700 lavoratori all’anno e probabilmente i dati non sono precisi, ma leggermente sottostimati. Non conosco nessuna ricetta per fermare questa guerra, ma credo che ricordare e non dimenticare tragedie come l’incidente della ThyssenKrupp possa permettere di tenere alta l’attenzione e salvare vite umane. Non dimenticare.







[…] i caduti sul lavoro non sono una sorpresa, la ThyssenKrupp con il suo interminabile elenco di morti, l’ultimo proprio oggi, è solo l’ennesimo episodio. Le pene vanno fortemente inasprite e gli ispettori vanno aumentati. Chi fa morire per incuria un operaio deve finire in galera senza nessuno sconto e senza nessun indulto.
– Antonio Di Pietro







POSTED ON 3 Dic 2022 IN
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Alla Villa del Levriero si giunge attraverso un piccolo parco: la vegetazione è cresciuta in modo incontrollato, si capisce che sono anni che non viene fatta manutenzione, si avanza con difficoltà. Arrivati davanti alla casa la prima cosa che si nota è la maestosità: le finestre del secondo piano sono enormi, è il tramonto e capiamo che i calcoli sulla possibilità di sfruttare la luce radente del sole erano corretti. La porta è aperta, entriamo dentro un enorme salone dalle pareti bianche, molto asettico, con un camino e un gigantesco divano in velluto verde. Le stanze sono tantissime, si susseguono una dopo l’altra: notiamo un altro camino, un divano a motivi floreali, un tavolo in vetro, ragnatele; frontalmente all’entrata si trova la meravigliosa cucina con un la vetrata che prende luce dalla parte posteriore del parco, l’angolo televisione e le stoviglie in disordine sul tavolo. Il lampadario, in vetro, attira subito la mia attenzione.
La
Villa prende il nome da una
strana statua in ceramica posta davanti all’ingresso, a guisa di
cane da guardia. Purtroppo il Levriero è sparito, probabilmente rubato. Quando abbiamo varcato la porta d’ingresso
Lorena mi ha subito fatto notare (con voce dimessa): “
Non c’è più il levriero“. Un
dispetto, non certo un furto per necessità: chi ha portato via la statua voleva semplicemente impedire ad altri di fotografarlo, non esistono spiegazioni logiche diverse da questa.
Il punto forte della villa però si trova al secondo piano: al culmine delle scale ci accoglie un enorme salone illuminato dai raggi del tramonto. La libreria copre tutta la parete, c’è un angolo bar, un altro divano e un meraviglioso biliardo. Siamo sbalorditi davanti a tutta questa bellezza. Al piano ci sono anche le stanza da letto e una strana lampada a forma di papero. La Villa del Levriero è una di quelle location urbex che ti apre il cuore: tutto è rimasto quasi come l’ultimo giorno, è sparito il levriero, ma si è aggiunta la polvere a coprire e nascondere.








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POSTED ON 2 Dic 2022 IN
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POSTED ON 29 Nov 2022 IN
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Se devo trovare un aggettivo per definire questa esplorazione scelgo triste: perché l’aria che ho respirato fra queste mura è stata strana, malinconica, deviante. Non ho visto un motivo, un filo conduttore: tutto mi è sembrato essere in disordine, alla rinfusa, senza una logica. Una logica, magari non apparente, deve sempre esserci, è fuori discussione, ma in questo caso ho trovato un senso poco coerente e mesto, confuso come la nebbia che in queste zone conoscono molto bene. Alpine è un nome di fantasia e trova la sua spiegazione nella bellissima e fiammante Renault Alpine rossa nascosta in garage. Diciamo quel poco che ne rimane, ma anche questa senza una logica apparente rispetto al resto.
La
Alpine GTA è un’autovettura sportiva gran turismo prodotta dal 1984 al 1991 dalla casa automobilistica francese Alpine. La GTA (acronimo di Grand Tourisme Alpine), altrimenti chiamata Renault Alpine GTA, fu introdotta all’inizio del 1985 per sostituire la A310. La presentazione avvenne nel marzo al Salone dell’automobile di Ginevra del 1985. La carrozzeria, in plastica e poliestere, riprendeva grosso modo le forme della A310, ma ristilizzata in chiave più moderna, grazie alla matita di Heuliez, l’autore del restyling: nuovi erano per esempio i paraurti integrati nella scocca.
Ho scattato quello che mi sembrava interessante, molto poco, e ho lasciato da parte il resto. Non sono riuscito a trovare nulla che potesse fornirmi una svolta positiva, qualcosa che mi dicesse vale la pena. Sono uscito in fretta e furia con un velo di paura e tristezza nelle ossa: come se la mancanza di una regola certificasse un fastidio immenso.








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POSTED ON 20 Nov 2022 IN
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Sulla strada provinciale che collega Pinerolo a Carmagnola, fra Vigone e Pancalieri, non è difficile notare una strana gabbia ricoperta di piante. È una sorta di sarcofago, una rete metallica costruita attorno a quella che viene definita la Chiesa delle Tre Croci. La Chiesa è in avanzato stato di decomposizione, il tetto è parzialmente crollato, la natura ha preso il sopravvento e la struttura è destinata a crollare in tempi molto rapidi. L’entrata è complicata: si passa attraverso un piccolo buco nella rete che la circonda, quindi è necessario superare una specie di foresta amazzonica, e infine, quando si riesce finalmente ad entrare, si cammina su un tappeto di guano e carcasse di piccioni. Un’esperienza non proprio gradevole. I resti dell’altare sono ancora interessanti, ma anche di quello è rimasto pochissimo, giusto l’idea. Qualche foto veloce e poi fuori, che arriva il tramonto.













POSTED ON 17 Nov 2022 IN
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A prima vista la Chiesa di San Fiorenzo non sembra particolarmente interessante: dall’esterno è quasi banale nella sua semplicità; costruita a pianta rettangolare, ha un’entrata sacrificata, intima, chiusa, quasi nascosta alla vista. La facciata frontale esterna è molto semplice, decorata con un rosone e una lunetta centrale affrescata che rappresenta la madonna con il bambino, San Fiorenzo e San Giovanni Battista. Ma quando si entra inizia la magia e si viene subito sorpresi dai colori e dalla quantità di affreschi dipinti sui muri: ogni singolo centimetro delle pareti laterali e del presbiterio ne è ricoperto con scene della storia di Gesù e dei Santi risalenti al XIV secolo.
Ubicata accanto al cimitero di Bastia, poco lontano da Mondovì, nelle basse langhe del cuneese, un tempo era una semplice cappella e segnava uno dei crocevia delle strade romane: la via romana detta Sonia, tra Vado e Bene Vagienna, e la via dell’alta langa verso Alba Pompeia, l’odierna Alba. Era consuetudine, infatti, collocare chiesette, edicole e cappelle nelle biforcazioni, negli incroci e nei lunghi tratti, per aiutare il viandante nella scelta del percorso corretto e per dargli ristoro. La scelta di edificare San Fiorenzo in questo luogo, però, è legata anche al culto popolare. Nei secoli è stata tramandata la credenza che la chiesa fosse stata costruita sul tumulo che conteneva le spoglie di Fiorenzo. Questi era un ufficiale della Legione Tebea, vittima della persecuzione perpetrata da Diocleziano. Risalente agli inizi dell’anno 1000, nei secoli la chiesa ha subito diversi rimaneggiamenti, tra cui un ampliamento per accogliere sempre più numerosi fedeli, la costruzione di un portico successivamente rimosso, il campanile e soprattutto i magnifici affreschi.
Non ho nessuna intenzione di descrivere nel dettaglio gli affreschi, anche perché potete trovarli sui libri dedicati a San Fiorenzo oppure sul bellissimo articolo scritto da Barbara Tonin e Lorena Durante su Giroinfoto dal quale ho rubato alcuni versi e, soprattutto, il bellissimo titolo (e ci sono anche le mie fotografie); basti sapere che San Fiorenzo custodisce al suo interno uno dei più importanti cicli pittorici tardo-gotici del Piemonte, datati 1472. Mi sembra doveroso però ricordare che nel 1999 si sono conclusi gli ultimi restauri ed è nata l’associazione San Fiorenzo che si occupa, attraverso alcuni volontari e senza fine di lucro, delle aperture e delle visite guidate.
Fra le iniziative vorrei citare
“Le Cappelle del Tanaro sulle vie dei Pellegrini e del Sale” che si propone di valorizzare le
nove chiese disseminate fra le colline e le borgate del Tanaro: non ricordo il risultato personale, ma nel 2018 partecipai ad un
concorso fotografico dedicato a questa iniziativa anche con alcune immagini proprio di San Fiorenzo.
Le foto della Chiesa di San Fiorenzo sono scattate in momenti e giornate diverse, un progetto che durava da oltre un anno, ma osservandole mi sono reso conto di non essere riuscito a dare un’idea, nemmeno lontana, del senso di meraviglia che si prova varcando la soglia d’ingresso: se passate da queste parti tra Aprile e fine Ottobre non perdetevi la visita guidata gratuita, ne vale veramente la pena.








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POSTED ON 15 Nov 2022 IN
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E’ una semplice affermazione, un classico che mi perseguita: “Qui ci sono solo due foto da fare, facciamo presto”. Un mantra ossessivo che quasi mai corrisponde al vero. Perché solitamente si finisce con il trovare posti incredibili e le foto diventano decine. Nel caso di Villa Extravaganza abbiamo davvero superato il limite della decenza, perché secondo le mappe non era nemmeno da prendere in considerazione: e invece sono clamorosamente spuntati 3 piani di delicata bellezza, di colori, di stravaganze assortite, di stupore e di lusso. Si, perché fra queste pareti non mancava davvero nulla: ho finito per perdere il conto dei servizi igienici a disposizione di ospiti e titolari, quasi uno per ogni stanza da letto. Tappezzeria eccentrica nelle camere, una cucina che definire pittoresca è forse riduttivo e bagni con rivestimenti al limite dell’effetto ottico. E poi un biliardo, fortunatamente dal tappeto verde, con 6 buche e decine di palline da golf: che io sinceramente non avevo mai visto utilizzare in tal senso e del quale non capisco la peculiarità. E poi quelle porte colorate, impilate nell’angolo senza apparente motivo. Zoccoli olandesi in Vibram, un orso, Kermit la rana, una madonnina delicata, bottiglie di alcolici in tutti gli anfratti, un sirio. Definire tutto questo stravagante è troppo poco: parliamo di EXTRAvagante e forse anche qualcosa di più.







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POSTED ON 15 Nov 2022 IN
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L’immaginazione quasi sempre supera la realtà e la realtà diventa fantasia perché ci sono idee che non riusciamo a percepire come possibili e rimaniamo incantati dal genio, dalla confusione, dall’eccentrico. Non esiste una spiegazione per certi fenomeni che colpiscono la nostra mente e quando sono passato dalla finestra per entrare in quello che, con davvero poca immaginazione, posso definire l’atelier della Volpe, ho intuito subito di essere in un luogo fuori dal tempo e dal mondo. Perché qui finisce la razionalità e si percepisce un mondo parallelo, un bellissimo universo di colori, immagini, idee, arte, pittura, storia e voli pindarici che non hanno ragione di esistere. Non è quantificabile, non si può catalogare un’esperienza di questo tipo perché è fuori dai ranghi dell’essere comune; e non posso fare che altro che strabuzzare gli occhi, fotografare, ricordare, fare un inchino e ringraziare l’uomo, il pittore e l’artista che hanno creato questo mondo straordinario e immaginifico. È un sogno che non diventerà mai realtà.







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