PHOTOSNEVERSLEEP di SAMUELE SILVA - Fotografia Urbex, Ritratto e Reportage
POSTED ON 27 Mar 2025 IN
Reportage
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URBEX,
church

Durate il girovagare urbex capita, non di rado, di imbattersi in luoghi intriganti, almeno da lontano. Mentre andavamo alla ricerca di una piccola chiesa abbandonata ci siamo trovati davanti a una costruzione che inizialmente non riuscivamo a identificare. Ci siamo avvicinati e abbiamo scoperto che si trattava di una piccola cappella, chiusa con una porta in metallo e un lucchetto nuovo, segno di un accesso precedente, anche recente. Da fuori, una piccola finestra ci ha permesso di intravedere l’interno della chiesa, e questo ha aumentato il rammarico. Ho comunque deciso di fotografare con l’obiettivo da 14mm, sfruttando un diaframma aperto (comunque con il grandangolo la parte a fuoco è estesa) e alzando gli ISO per compensare la scarsa luce: nessuna intenzione di armeggiare con il treppiede, troppo complicato. Nella foto ho lasciato visibili le sbarre della finestra, per far comprendere che questa bellezza è stata fotografata dall’esterno. La chiesa è dedicata alla Beata Vergine Addolorata, ma viene chiamata in zona Madonna dei Campi. A volte, anche un’esplorazione parziale può raccontare qualcosa, magari solo da lontano.
All’interno della chiesa, gli affreschi sulla parete sinistra mostrano una Madonna in trono con il Bambino, databile al XIV secolo, accanto a un uccellino, inserita in una nicchia con fondo curvo. Più a sinistra, un altro lacerto d’affresco raffigura un frate francescano, il cui busto è stato recentemente strappato. Il presbiterio, sopraelevato rispetto alla navata, ospita un altare barocco con decorazioni in stucco e volute colorate. Dietro l’altare, resta visibile un frammento della Madonna Addolorata. Accanto all’altare, sono dipinti due profeti, identificabili rispettivamente con Davide e Geremia.
POSTED ON 24 Mar 2025 IN
Reportage
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URBEX,
mansion

Il Barbagianni comune (Tyto alba, se vi piace il nome scientifico) è un rapace notturno che potrebbe tranquillamente essere il Batman degli uccelli, se solo avesse una caverna segreta e un mantello. Appartiene alla famiglia dei Titonidi, ma quello che più ci interessa è il suo nome: Barbagianni. Vi siete mai chiesti da dove venga? Bene, barba è una forma settentrionale di zio (molto ligure in effetti), e Gianni… beh, è l’ipocoristico del nome italiano più conosciuto. Quindi, in pratica, è lo zio Giovanni del regno animale, un nome affettuoso che gli è stato dato per la sua reputazione di guardiano, come se fosse il nostro protettore notturno. Quando si avvicina alla sua preda, il Barbagianni ha una tecnica di volo che sembra un’arte marziale: un movimento oscillante che lo rende super discreto. E non solo, il suo volo è il più silenzioso di tutti gli uccelli conosciuti. Immaginatevi un ninja piumato che sorvola il mondo senza fare un rumore, l’incubo dei suoi nemici, il predatore perfetto. La sua struttura fisica è un altro segreto del suo successo: le ali, che sono molto più grandi rispetto al suo corpo, gli permettono di planare senza muovere un muscolo. È come se avesse il suo personalissimo hovercraft per volare senza sforzo. In poche parole, il Barbagianni è il supereroe dei cieli: silenzioso, agile e sempre pronto a sorprenderci.
Per volare verso il suo nido, bisogna essere come il nostro Barbagianni: dei veri e propri
ninja silenziosi. Aprire, sorvolare, scavalcare, camminare, salire, sempre nel massimo silenzio. E poi,
restare sorpresi e affascinati, perché il nostro supereroe
appare come per magia, all’improvviso, fiero e magnifico. È lui
il protagonista indiscusso della nostra esplorazione, e non potrebbe essere altrimenti. Ci osserva, ci scruta e, chissà, forse ci protegge anche. E come succede quando ci troviamo
di fronte a un eroe famoso e indiscutibile, il resto, purtroppo,
non regge il confronto, nonostante la sua straordinarietà e la sua bellezza. La sala che ospita il nostro pennuto è davvero incantevole, con un bellissimo pianoforte, una macchina da scrivere
Remington 12, un modello importato tra le due guerre dal famoso
Cesare Verona. E poi c’è una bottiglia storica di Vermouth Martini, che per un attimo mi ha fatto venire voglia di sedermi davanti alla Remington e lasciarmi trasportare nell’atmosfera di un
classico aperitivo all’italiana.
Potrei continuare a descrivere le meraviglie di questa villa, ma sarebbe inopportuno nei confronti del Barbagianni. Sinceramente non credo di averne la forza, anche se gli Amaretti di Sassello, la Savonarola e quel romantico baule lungo la scala avrebbero meritato almeno una menzione. Prima di uscire mi sono fermato sotto uno strano ed elegante porticato. Smoke ho pensato, ho capito e per un attimo ho sentito il desiderio di accendere una sigaretta, poi mi sono ricordato che quel vizio mi manca. Ho spinto la porta ed è come se fossi uscito in un altro mondo, un mondo che pensavo fosse libero: ho girato lo sguardo e davanti a me una strega, cattiva, forse anche più cattiva di quanto ricordassi. Non si può cambiare, non è un incantesimo, è magia nera, pura, che si aggrappa alle ombre e ti trascina nel baratro.














POSTED ON 23 Mar 2025 IN
Reportage
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URBEX,
mansion

Il mondo dell’urbex è affascinante anche, e soprattutto, per la sua varietà di esperienze, per i luoghi che possiamo scoprire, per le storie che raccontano. Ci sono tre tipologie principali di esplorazioni urbex, ognuna con le sue particolarità e il suo fascino.
La prima tipologia riguarda i luoghi completamente abbandonati e vuoti, quelli che non contengono più nulla. Si tratta di edifici che sono stati lasciati da tanti anni, vuoti e senza vita, ma il loro fascino consiste proprio in quell’atmosfera di abbandono totale, nel senso di nulla. La seconda tipologia è quella degli spazi che sembrano ancora vissuti, ma sono comunque abbandonati. Questi luoghi sono pieni di oggetti, alcuni lasciati in disordine, ma la maggior parte conservati come se fosse stata appena interrotta la vita di tutti i giorni. Non sono vuoti, anzi, e l’aspetto un po’ borderline dell’urbex esplode proprio qui: sembra quasi di intromettersi nella vita di uno sconosciuto, con l’impressione di una fuga improvvisa oppure di qualcuno che stia per tornare, ma non lo farà mai. Infine, la terza tipologia, che considero la più affascinante, riguarda le ville abbandonate da tantissimi anni ma che raccontano una storia dal passato. Si tratta di case che sono rimaste ferme nel tempo, ma che conservano ancora gli oggetti e le tracce di una vita. Questi luoghi sono come una capsula del tempo: muri decrepiti, tappezzeria scollata, finestre rotte, ma all’interno c’è un mondo che racconta di chi ci ha vissuto. La Casa del Maestro è un esempio perfetto di quest’ultimo tipo di esplorazione.
Quando si entra in un posto come questo si capisce subito che si tratta di un luogo abbandonato. Al primo piano l’ambiente è buio e si respira un’odore di muffa pestilenziale, gli oggetti sono ovunque, il disordine regna sovrano, con stanze devastate che parlano di tempo e di oblio: quasi impossibile riuscire a fotografare. Ma poi, salendo al piano superiore, la situazione cambia. Qui si percepisce chiaramente che la persona che viveva in questa casa era molto religiosa. Ovunque ci sono madonne, libri, oggetti di culto, ma anche tracce di una vita quotidiana che non c’è più. Le finestre sono spalancate, il guano di piccioni è visibile, i muri si stanno scolorendo, la tappezzeria è in procinto di staccarsi. Nonostante la confusione, si respira un fascino particolare.
Le stanze da letto sono una successione di camere piene di oggetti disordinati, sporchi e polverosi, ma allo stesso tempo affascinanti nella loro imperfezione. Tra i tanti libri, uno in particolare mi ha colpito: Le mie prigioni di Silvio Pellico. Questo mi ha fatto sorridere, perché proprio quel giorno, passando in una via che portava il nome di uno degli eroi del nostro risorgimento, avevo raccontato la gaffe di un amico su via S.Pellico: lui l’aveva chiamata, con una certa dose di ignoranza, via San Pellico. E quando sono entrato nella casa e ho trovato proprio quel libro, è sembrato quasi un segno del destino, un momento che potrei definire surreale.
Uscendo dalla Casa del Maestro la sensazione che ho avuto è stata quella di bellezza pura. Un’esplorazione che mi ha restituito la vera essenza dell’urbex: un luogo che è ancora tangibile nel suo abbandono, con quell’atmosfera decay davvero irresistibile. Non sono riuscito a capire l’origine del nome, non ho trovato oggetti con possibili riferimenti alla scuola, ma sicuramente qui viveva una persona di grande cultura. L’insieme delle foto è il risultato di due esplorazioni in tempi diversi e si notano le differenze: aguzzate la vista, ma solo per solutori più che abili.


















POSTED ON 21 Mar 2025 IN
Reportage
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URBEX,
church,
fish-eye

Si prega per noi, che ne abbiamo bisogno. Anche se ho l’idea che serva davvero a poco, più probabilmente a niente. Questa affascinante chiesetta, originariamente più grande, ha subito nel corso dei secoli diverse modifiche strutturali. Alcuni documenti storici risalenti al 1590 descrivono l’edificio come composto da due navate, due absidi e due altari. Tuttavia, nel 1681, a causa delle gravi condizioni di degrado, fu intrapreso un restauro radicale che comportò la demolizione della navata laterale e della relativa abside, nonché il consolidamento delle pareti.
L’abside della chiesa, particolarmente affascinante, è ampia e ha un diametro di ben sei metri. È composta da una bellissima volta a cinque spicchi e, contro il muro, l’altare principale è decorato con stucchi in stile tardo-cinquecentesco, risalenti però al 1680. Sotto l’intonaco riemergono frammenti degli antichi affreschi, coperti con l’imbiancatura eseguita nel corso di un restauro settecentesco; un affresco rovinato in più punti che ritrae San Francesco d’Assisi mentre riceve le stimmate si nota ancora vicino alla porta laterale.
La foto che ho scelto come copertina è stata scattata con un obbiettivo fish-eye, il Sigma 15mm, che porto sempre con me (ha sempre uno spazio nello zaino). Devo ammettere però che ultimamente lo sto usando meno, forse anche a causa del tipo di esplorazioni in cui mi sto avventurando. In alcuni ambienti, però, il fish-eye riesce a rendere la scena più affascinante e intrigante. Quando si tratta di spazi angusti, come una piccola chiesa, la distorsione dell’ampio campo visivo unito alle rotondità tipiche di questi elementi architettonici creano un effetto molto interessante. È proprio questo che trovo affascinante, la due immagini scattate con quest’ottica mi piacciono molto perché riescono a catturare perfettamente l’atmosfera del luogo, e sono decisamente diverse dalle altre, risultando quasi illuminanti. Non è un’ottica fondamentale ovviamente, ma in certe situazioni, ma soprattutto in certi ambienti, può davvero fare la differenza.








POSTED ON 18 Mar 2025 IN
Reportage
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URBEX,
Mansion

Probabilmente ho qualche difficoltà mentale, perché per me la fotografia deve essere realizzata esattamente come la immagino e come la desidero: deve essere perfetta. Villa Napoleone è stata una sorta di incubo, perché la foto più importante, quella zenitale che ritrae il meraviglioso soffitto affrescato del salone principale, non sono riuscito a realizzarla durante la prima esplorazione. Quando sono tornato in studio e l’ho guardata al monitor, non mi piaceva. Non era perfetta come la volevo. L’avevo già vista, scattata da altri, e desideravo farla meglio, in modo diverso, con una qualità superiore. Nonostante Villa Napoleone sia una location piuttosto rischiosa, con allarmi sia esterni che interni, sono tornato, perché quando mi prende una cosa del genere, una sorta di ossessione, sento il bisogno di rifare quella foto. Volevo che quel soffitto meraviglioso fosse finalmente visibile, esaltato dalla posizione esatta della macchina fotografica. Alla fine, sono riuscito a realizzare quella foto, proprio come la volevo.
La prima stanza in cui entriamo al pian terreno, è il salone padronale, ormai spoglia dalla ricchezza che sicuramente racchiudeva quando l’edificio era abitato, subito al buio dell’alba non ce ne accorgiamo ma poi alzando gli occhi al soffitto rimaniamo senza parole rapiti da un meraviglioso affresco. Tra gli stucchi dorati ecco un giovane Dionisio, conosciuto forse di più da tutti con il nome di Bacco, per mano a sua madre Demetra che ci accoglie in queste stanze abbandonate. Demetra è la Dea greca della natura e delle messi, simbolizza l’energia materna archetipica, la dea di fertilità, che presiede al ciclo naturale di morte e rinascita, è la Dea della Terra, dell’agricoltura e di tutto ciò che è ad essa connessa: è la madre fertile, a cui si prega per un raccolto abbondante e che presiede ogni frutto della terra. Demetra è la Dea generosa, a cui si guarda per il nutrimento come fonte di vita ed è rappresentata con lunghi capelli biondi e cesti di fiori o cornucopie tra le braccia.
Non conosco le motivazioni che hanno portato alla scelta del nome, altri hanno preferito descriverla come la villa di Demetra e del piccolo Dionisio, altri ancora l’hanno definita dei Massoni, ma Villa Napoleone non può essere ridotta semplicemente al salone e al suo incredibile soffitto, è molto di più: una serie di stanze magnifiche, decisamente intime e particolari, sofisticate, che conferiscono alla villa un fascino unico. Ciò che mi ha colpito maggiormente, oltre al salone, è sicuramente il secondo piano, che si raggiunge salendo una scala stretta, con una finestra dalle forme geometriche e dai colori vivaci: rosso, verde, giallo. Una combinazione davvero scenografica. Ma c’è un elemento che, più di tutti, mi ha lasciato senza parole. In mezzo alla scala, in un punto apparentemente senza significato, un lavandino. Un lavandino, sì, proprio lì, a metà del percorso, dove chi saliva le scale avrebbe potuto fermarsi e lavarsi le mani. Accanto a questo lavandino, una finestra rotonda, che è un motivo ricorrente in tutta la villa. Anche questa finestra, colorata, con sfumature di rosso e blu, purtroppo parzialmente rotta, aggiungeva un ulteriore strato di curiosità e bellezza a quella zona, già così fuori da ogni logica moderna.
Quando sono uscito dalla porta-finestra, ho lanciato un’ultima occhiata al salone principale, a quel soffitto straordinario che tanto mi aveva affascinato (e non solo me). Non sono riuscito a resistere alla tentazione di voltarmi un’ultima volta. Ho chiuso la finestra con delicatezza, appoggiato la persiana e mi sono diretto verso le scale che conducevano all’esterno, al mondo libero. Di solito, quando si lascia un luogo dopo un’esplorazione, si prova una sensazione di liberazione, di rilassamento, di scampato pericolo. Ma mai come in questo caso, ho avvertito quella sensazione, perché dentro di me c’era una sorta di tensione, come se fossi stato osservato/controllato, anche per via delle storie che mi avevano raccontato. È una delle caratteristiche dell’urbex, una delle cose che rende questo tipo di fotografia così affascinante e coinvolgente. Le ultime notizie riportano che l’accesso a Villa Napoleone è completamente bloccato e che entrare è diventato quasi impossibile. Forse è meglio così, soprattutto per chi ha già avuto l’onore di visitarla.
Sospeso per sempre… un secondo alla volta.
– Stephany Fincato














POSTED ON 16 Mar 2025 IN
Reportage
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EVENT

Qualche giorno fa Lorena mi ha costrproposto di scattare qualche foto all’inaugurazione della Mostra fotografica Linee Parallele, progetto che racconta volti e storie della ferrovia della Val Tanaro, da Ceva a Ormea. Ho chiaramente rifiuaccettato molto volentieri la sua proposta, soprattutto perché non prevedeva alcun compenso e al sottoscritto piace tantissimo lavorare in cambio di visibilità. Giustamente poi Lorena ha chiesto al sindaco di Ormea di poter utilizzare il suo unico e bellissimo scatto, fatto con il cellulare, per raccontare l’inaugurazione sui social: ma d’altronde era una fotografia nitida, a fuoco, dritta, perfetta per descrivere la mostra delle fotografie che, con il bravissimo Gabriele Cristiani, ha realizzato in Val Tanaro negli ultimi due anni.
Si scherza ovviamente, se Lorena non mi avesse chiesto di aiutarla probabilmente mi sarei offeso: ho cercato di fotografare come meglio potevo e soprattutto di farla rimanere bene, perché se nelle foto lei non è perfetta non possono essere pubblicate. È l’unica regola che devo rispettare: le immagini devono comunque superare la censura della direzione. Mi sono divertito, è stata una giornata intensa, davvero interessanti gli interventi degli ospiti (non ho dormito giuro, fra il pubblico forse qualcuno si), ottimo il buffet (e il prosecco). Anche le foto della mostra mi hanno detto che sono di livello, quindi tutto molto bello: la mostra, nell’antico Palazzo di Città a Mondovì, rimarrà aperta sino al 30 di Marzo. Da non perdere.






