Nel mondo urbex ci sono tutta una serie di luoghi importanti per motivi non comprensibili dall’occhio inesperto. E il razionalismo italiano, tipico della prima metà del secolo scorso, ha scelto il nome di questo piccolo gioiello abbandonato: il Teatro Fascista. Anche se nel caso, come capita spesso nella fantasia urbex, è davvero un termine fuori luogo e che non rende giustizia a questa fantastica struttura e a quello che rappresenta. In realtà non è assolutamente un gioiello dal punto di vista architettonico, anzi, si tratta di qualcosa di veramente brutto, e non è nemmeno notevole dal punto di vista storico. Almeno credo. Però nasconde un fascino tutto particolare per via di una serie di dettagli non trascurabili: questo luogo dedicato al dopolavoro, fenomeno ormai in disuso ma molto presente nella realtà del nostro paese nel 900, è un susseguirsi di sorprese celate dietro una patina di morigeratezza.
Il pianoforte con la foto, la lucidatrice, il divano circolare, il bar, le insegne ormai distrutte, il teatro vero e proprio e anche persino la stanzetta adibita a ricovero da qualche barbone, sono tutte meraviglie urbex che lasciano senza parole pur nascondendosi dietro a un velo di tranquillità sindacale che stupisce e fa rimanere interdetti. Eppure ci sono e sono tremendamente meravigliosi nella loro semplicità, perché portano alla memoria un tempo non troppo lontano cronologicamente, ma distante secoli dal nostro modo di pensare. E quando si mette in funzione l’immaginazione storica la fantasia non conosce confini e si torna per qualche istante a vivere nel passato.