Ci sono tornato quasi per caso, senza averlo davvero pianificato, in quel luogo tanto iconico quanto discusso: il Teatro Fascista. Non avevo grandi aspettative, né una particolare voglia di scattare. Eppure, quando ci si trova davanti a uno spazio così carico di storia e decadenza, il tempo pare farsi più denso, e la fotografia torna a essere il modo migliore per riempirlo.
Nel frattempo, qualcosa è cambiato anche nel luogo stesso. Alcuni dettagli che ricordavo sono scomparsi, un’insegna che non c’è più, un’altra che è stata spostata all’ultimo piano, come se qualcuno avesse cercato di rimettere ordine senza troppo impegno. C’è stata, infatti, una pulizia, ma piuttosto superficiale, quasi distratta. Questa volta ho scelto un approccio più tecnico, quasi meditativo: mi sono concentrato sulla ricerca di simmetrie perfette, lasciando che fosse l’architettura stessa a guidarmi. Con la testa micrometrica ho lavorato lentamente, centimetro dopo centimetro, fino a ottenere quella che considero la perfetta centratura del quadrato.