Ex Base Nato di Calice Ligure

POSTED ON 6 Mag 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX, military, graffiti

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L’ex Base Nato di Calice Ligure fu costruita nel 1961, faceva parte di una rete di circa 40 stazioni militari in Europa e, grazie alla sua posizione strategica, contribuiva a monitorare gli spazi aerei nel territorio del savonese. La struttura era presidiata dalla 59th Compagnia U.S. Army Signal, appartenente al Battaglione 509th: siamo negli anni della Guerra Fredda, quando le potenze militari si sfidavano anche utilizzando strategie intimidatorie, vantando i migliori armamenti e le tecnologie più avanzate, il tutto sotto la minaccia di una guerra nucleare. Con il crollo del muro di Berlino e l’arrivo delle comunicazioni satellitari l’utilità della base calò drasticamente sino alla totale dismissione nel 1992.

Per arrivarci bisogna percorrere la Strada Provinciale 490 che conduce fino al Colle del Melogno. All’altezza della località Magliolo, si prende la Strada Provinciale 16, proseguendo fino all’incrocio con la Strada Provinciale 23, che porta verso la Madonna delle Neve. Dopo aver superato la chiesa, all’altezza della pala eolica, si imbocca una deviazione che procede su strada asfaltata, passando in parte nel bosco, arrivando fino all’ingresso della vecchia base americana. L’entrata è decisamente spettacolare e si comprende subito l’importanza strategica della posizione: da qui si domina l’intera vallata e la vista è davvero a perdita d’occhio.

Della vecchia base non è rimasto quasi nulla, all’ingresso si intravede il posto di guardia, la torre di controllo e tre edifici più imponenti: probabilmente la camerate, la sala radio e l’officina. Ma sono due le peculiarità che mi sono saltate subito all’occhio: la presenza di turismo sportivo, con tantissimi appassionati di ciclismo che si fermano qui per una pausa ristoratrice, e l’enorme quantità di meravigliosi graffiti che hanno trasformato la sede italiana della 046 US Army in un museo a cielo aperto. Negli anni si è parlato di recuperare questo spazio con tanti progetti, manco a dirlo, subito naufragati, ma forse meglio così: qui è conservato un pezzo di storia importante del secolo scorso e la possibilità di una visita libera è interessante per chiunque voglia spingersi fin quassù.

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Ossario di Custoza

POSTED ON 6 Mag 2024 IN Landmark, Reportage     TAGS: cemetery, monument

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L’Ossario di Custoza è segnato in rosso nella mia personalissima mappa dei luoghi da visitare (in Italia). Perché è un simbolo, uno dei pochi, legato alle guerre d’indipendenza combattute nel 1848 e nel 1866, prima dall’esercito sabaudo e poi dall’esercito italiano; e il Risorgimento Italiano è da sempre un periodo storico che mi affascina. Sono arrivato alla biglietteria poco prima della chiusura (il biglietto costa pochissimo) e quindi mi sono visto costretto a fare un giro decisamente veloce: nonostante le dimensioni ridotte dell’Ossario (definire angusta la scala è riduttivo) sono riuscito a fotografare con il treppiede (senza pensare troppo) e mi sono anche permesso il lusso di cambiare obbiettivo. È un luogo che per certi versi può apparire macabro, ma è anche un monumento che permette di riflettere e, con un minimo di lucidità, comprendere cos’eravamo.

L’Ossario di Custoza è un monumento che si presenta come una torre a forma piramidale, alta quasi 40 metri. Fu inaugurato nel 1879 da Amedeo di Savoia, duca d’Aosta, per conservare le spoglie dei caduti durante la prima e terza guerra d’indipendenza italiane, nel 1848 e 1866. La storia di questo monumento è fortemente legata a quella di Don Pivatelli, parroco di Custoza, che ne promosse la costruzione. Egli nacque in una frazione di Villafranca di Verona nel 1832, e nel 1872 divenne parroco di Custoza, che fu teatro delle sanguinose battaglie d’indipendenza. Spinto dalla pietà nei confronti dei soldati che morirono per la libertà della loro patria, senza ricevere nessun tipo di riconoscimento e lasciati seppelliti nelle fosse comuni, egli decise di trovare un luogo dove raccogliere le loro spoglie.

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Villa Targaryen

POSTED ON 29 Apr 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX

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L’esplorazione di villa Targaryen è stata una delle più sorprendenti della mia storia di urbexer. Perchè non mi aspettavo molto, avevo visto pochissime foto, ma appena entrato ho capito subito che si trattava di un luogo fantastico che trasudava di storia e abbandono. Inizio a dire che non conosco il significato del nome: generalmente viene scelto in base alle caratteristiche oppure per la posizione geografica. Qualche volta è scelto in modo incomprensibile e diventa reale con il passaparola. In questo caso potrebbe derivare dalla saga fantasy Cronache del ghiaccio e del fuoco di George R. R. Martin, ma sinceramente non saprei dire il motivo.

Villa Targaryen è molto particolare perché non ha una sola anima: si divide in tre come lo Spirito Santo. La prima parte che viene all’occhio è la zona padronale, enorme, antica, con il garage e la corte contadina. Poi si entra nella casa moderna: una sorta di appartamento, molto meno affascinante, che sembra essere stata l’ultima zona vissuta della proprietà. Infine, ultima ma non ultima, la meravigliosa dependance, probabilmente la casa dei custodi: divisa su due piani e due sole stanze, ma affascinante per la quantità di vita che si respira in mezzo all’abbandono. Ho pubblicato insieme queste tre anime, perché mi sembrava corretto non dividerle, ma credo che scorrendo le foto si riesca a comprendere perfettamente il passaggio da una zona all’altra.

È passato del tempo dall’esplorazione alla pubblicazione (sono sempre in ritardo), ma villa Targaryen mi è rimasta ben impressa nella mente. Non so dire da quanto tempo sia abbandonata e perché, ma qui ho respirato la vera decadenza, cioè quella sensazione reale di abbandono che viene spesso raccontata per definire la parola urbex. Si può comprendere la vita, ma si riesce perfettamente a osservare un’idea di assenza: le pareti scrostate con l’intonaco che si sfoglia, gli oggetti tipici addirittura della prima metà del secolo scorso, l’arredamento ancora intatto che ricorda le case dei nostri nonni nel dopoguerra, chincagliera ricercatissima che adesso definiremmo vintage, ma che sino a qualche anno fa non voleva nessuno. Un televisore a schermo catodico, la carrozzina, le tazze, una vecchia 500 senza targa in garage, la bambola dai capelli rossi, quello stucco con la sigla altisonante BA nell’ingresso. Purtroppo ho letto che recentemente i vandali hanno rovinato una parte dell’essenza incredibile di questa villa perché sappiamo che il rispetto non fa parte della nostra cultura. Un vero peccato, ma Villa Targaryen rimane comunque un luogo da scoprire. E ancora scoprire.

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Quel che passa il convento

POSTED ON 25 Apr 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX

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Quel che passa il convento è un’espressione idiomatica tipica della nostra lingua; viene utilizzata quando ci si deve accontentare di qualcosa e quel qualcosa è solitamente limitato oppure economico.

L’origine si ritrova nelle opere di carità dei conventi i quali, tra le altre cose e soprattutto in passato, cucinavano per i poveri, i quali però dovevano accontentarsi di quanto preparato.

E nel caso di questa esplorazione l’espressione si adatta perfettamente alla situazione perché in effetti si tratta di un convento in stato di abbandono e, se lo osserviamo dal punto di vista dell’esplorazione urbana, ha davvero poco da offrire, quasi niente: un soffitto particolare, un murale, diversi bagni di rara bruttezza, un tappeto, uno strano divano quasi nuovo, qualche bottiglia (di notevole pregio il Punt e Mes in soffitta), un cancello arrugginito, un interessante chiostro. In questo caso, data la povertà degli arredi, si può anche raccontare qualcosa: il convento è opera del padre Servita Filippo Ferrari (1551-1626), figura di spicco in campo religioso e scientifico del suo tempo, che divenuto priore del suo ordine, nel 1606 ottenne di potersi dedicare alla riedificazione dell’antica chiesa dedicata a Sant’Agata e alla costruzione di un convento per ospitare i Frati servi di Maria. Dopo quasi 200 anni di attività il convento venne soppresso (insieme a molti altri) nekl 1802 da Napoleone Bonaparte: da quel giorno la chiesa di Sant’Agata andò velocemente in rovina mentre l’abitazione dei frati, trasformata in dimora privata e adeguatamente restaurata, conserva ancora oggi, pur essendo in stato di abbandono da tanto tempo, la sua maestosità e la sua bellezza architettonica.

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La casa di Paperino

POSTED ON 18 Apr 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX

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Ci sono esplorazioni brutte, che non lasciano emozioni e solo poche fotografie. A me questa sensazione capita sempre nel disordine, perché al caos preferisco il razionale e l’ordine. E nella Casa di Paperino, il significato del nome lo svelo dopo, ho trovato proprio la mia nemesi e non sono riuscito a tirarmi fuori dall’angolo. È stato brutto, le foto rispecchiano perfettamente il mio stato d’animo: pochi scatti, di pessima qualità, un fastidio composto, ma insopportabile e la fuga per la sconfitta (passando da una finestra sporca, pericolosa e scomoda).

Ma nella bruttura si può sempre trovare qualche piccola perla: il giocattolo che regala il nome a questa location è davvero importante. Si tratta di una Giordani 903, un’auto a pedali meravigliosa. Costruita negli anni ’60 è probabilmente l’auto a pedali più famosa d’Italia, la più rara, l’antesignana di tutte le altre imitazioni degli anni ’70, ispirata al mondo Disney di Topolino, identica alla mitica “313” di Paperino (ed ecco spiegato l’arcano). Purtroppo è in condizioni pessime ed è un vero peccato. Ma mi ha permesso di sognare qualche minuto e di immaginare un passato giocoso e divertente: non è poco.

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La Baronessa

POSTED ON 14 Apr 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX

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Se dovessi stilare una classifica delle esplorazioni urbex più belle (operazione che in realtà mi capita, non di rado, di immaginare) sicuramente quella che, in modo originale, è stata definita “La Baronessa” (per una certa somiglianza con il Barone) meriterebbe un posto nell’Olimpo degli Dei. Per tutta una serie di motivi e di racconti, di storie, di leggende, di vere e proprie invenzioni che si celano dietro la breve vita urbex di questa location decisamente intrigante.

L’ingresso è complicato e non riusciamo a trovare l’entrata. Anzi, a dire il vero l’impresa è piuttosto semplice, il problema è che l’ingresso è stato sprangato. Quando le speranze sembrano perdute incontriamo altri due esploratori: sono volti noti (genovesi, lei giovane, lui meno giovane) e facciamo subito amicizia nel parco della Villa (come se fossimo al bar). Tocca fare un nuovo giro di perlustrazione con loro e riusciamo a trovare un’altra entrata, ma talmente piccola che la mia statura nemmeno fa pensare a un tentativo; ma sono l’unico alto e i miei compagni di avventura riescono ad infilarsi (e gentilmente mi aprono, con qualche rischio calcolato, la porta).

L’interno è fantastico e ancora incredibilmente intatto. Non perdo tempo (che in urbex è tiranno) e inizio subito a fotografare: un paio di stanze sono talmente buie che devo ricorrere alla posa bulb superando i 3 minuti di esposizione. Avevo visto poche immagini della Baronessa (salita alla ribalta in tempi relativamente veloci), ma una mi era rimasta impressa nella mente: una stanza da letto con due tappeti a forma di tigre (almeno così mi era sembrato). E come sempre mi accade non riesco a trovarla: sembra una maledizione. Dopo aver girato inutilmente in tutte le stanze intravedo una porta nascosta che mi era sfuggita: pensavo fosse una libreria. Muovo la maniglia e, colpo di scena, finalmente posso ammirare in tutta la loro bellezza le fiere (termine un po’ inusuale per indicare un animale selvatico che è insieme feroce e di grossa mole). È stata impegnativa (per la distanza, le difficoltà in entrata, la situazione luce), ma nel momento di uscire sono riuscito a percepire un’enorme soddisfazione.

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Villa Kristal

POSTED ON 9 Apr 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX

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Villa Kristal è stata un’esperienza diversa dal solito e che mi ha lasciato un retrogusto amaro, anche se non riesco a spiegarmi il motivo. Diversa perché sono andato da solo: sveglia con il buio, ma buio pesto, e quando sono arrivato davanti al cancello il sole non pensava nemmeno di sorgere. Ho dovuto aspettare e sono entrato proprio alle prime luci dell’alba e se questo mi ha garantito tranquillità (ero certo che non avrei trovato nessuno all’interno), d’altrocanto mi ha creato non poche difficoltà fotografiche: senza luce è complicato trovare foto interessanti.

Ma andiamo con ordine e procediamo per gradi. Il parco di Villa Kristal è enorme, immenso, a perdita d’occhio e non curato; il vantaggio è che difficilmente qualcuno riuscirà a vederti, lo svantaggio è che per trovare la porta d’ingresso ho dovuto girare per diversi minuti. Appena salite le scale esterne ho notato che l’entrata era spalancata: il primo impatto è straordinario. Davanti a me si mostrava in tutta la sua bellezza il salone principale: un lampadario maestoso, busti, un caminetto, marmi, poltrone, un tavolo gigantesco, polvere e calcinacci: sicuramente l’idea di abbandono era presente. Purtroppo di luce nemmeno l’ombra (è un modo di dire) e quindi ho deciso di salire al piano superiore alla ricerca di qualche raggio di sole.

Villa Kristal è una meraviglia dietro l’altra, quando si pensa di aver trovato una stanza incredibile subito dopo si entra in qualcosa che lascia ancora più stupefatti e senza parole. Il salone d’ingresso è sicuramente una delle visioni più belle che io abbia mai trovato in urbex, ma se dovessi scegliere una seconda posizione avrei veramente l’imbarazzo della scelta. Ho fotografato con calma il secondo piano e appena il sole ha iniziato il suo percorso nel cielo sono tornato al primo piano: non volevo aprire le finestre e quindi mi sono visto costretto a scattare con esposizioni di diverse decine di secondi. Le immagini della stanza del biliardo rosso (ho scoperto il colore guardando le foto) sembrano luminose, ma hanno un tempo di scatto di 120 secondi. Era buio tarabu e sono andato a tentativi.

E mentre iniziavo a pensare a come fotografare il salone ecco la lieta novella: dalla porta sento delle voci, guardo fuori, e vedo arrivare una coppia, lui molto alto lei meno, con l’atteggiamento da giro al centro commerciale. La sensazione è stata quella come di essere Rambo nella foresta pluviale, silenzioso e camaleontico, e incontrare una coppia di turisti de Roma, rumorosi e sgargianti, che credono di essere a Fregene a Luglio. Imbarazzante. Dopo qualche simpatico convenevole (noi si fa urbex dal 1975) ho chiesto di poter fare le foto in quell’ultima stanza (la più scenografica) che poi sarei andato via in tempo zero. Il consiglio è sempre quello di fotografare prima la stanza più bella, io ovviamente riesco sempre a fare il contrario: anche quando sono da solo (ma nel caso speravo nell’arrivo del sole). Sono uscito rilassato e tranquillo, ho percorso il parco a ritroso, mi sono perso un paio di volte, ma sono riuscito a trovare la via di fuga.

Dopo qualche giorno ho scoperto che nel pomeriggio un altro fotografo, probabilmente più spensierato del sottoscritto, è stato chiuso dentro ed è riuscito ad uscire solo con l’aiuto delle forze dell’ordine (con le conseguenze del caso). E ripensando alle mie impressioni di quel giorno mi torna quel retrogusto amaro di cui parlavo all’inizio e non riesco a comprendere il perché. Forse è lo scampato pericolo.

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La casa dei peluche pazzi

POSTED ON 1 Apr 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX

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Devo essere sincero: non mi aspettavo molto, non credevo che la pazzia dei peluche potesse essere interessante. Poi però mi è capitata l’occasione di passare da queste parti e ho colto la palla al balzo; d’altronde non si può dire no al fascino dell’urbex in solitaria. E se c’è una cosa che può caratterizzare un ambiente urbex è proprio la presenza di peluche, soprattutto se legati ad un periodo storico già fuori moda. È chiaro che il pianoforte, la carrozzina, il biliardo e la macchina da cucire, singer ovviamente, garantiscono un fascino decisamente più decadente, ma il peluche non è da sottovalutare.

La casa dei peluche pazzi è in stato di abbandono da ormai molti anni, il tempo e le intemperie hanno lasciato davvero poco da fotografare e la natura si è ripresa i suoi spazi (si dice sempre così quando un rampicante entra dalla finestra). Però qualche spunto interessante sono riuscito a trovarlo e la presenza di questi brutti pupazzi, distrutti, devastati, inquietanti, riesce a donare alla location un interesse maggiore di quello che pensavo.

Poi all’uscita mi sono dovuto cambiare d’abito perché dopo mi aspettava un evento mondano e non potevo presentarmi con i pantaloni da urbex, sporco e le ragnatele sulla maglia. Non avendo un camerino a disposizione mi sono visto costretto ad arrangiarmi sul sedile posteriore (la zona non è molto trafficata) e mentre mi abbottonavo i pantaloni -puliti- è saltato in aria il bottone a clips. Le imprecazioni sono ancora lì che rimbalzano in macchina.

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Il collegio segreto

POSTED ON 30 Mar 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX, school

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Ho deciso di definire questo collegio segreto per un motivo un po’ bizzarro e che forse esula dalle caratteristiche intrinseche della location; perché non è affatto segreto, ma nasconde un’insidia. Prima definiamo la situazione: siamo in un piccolo paese desolato, ma talmente desolato che alla richiesta di un bar per un caffè un local, che girava stancamente in bicicletta in cerchio senza apparente destinazione (noia mortale la domenica), ci ha suggerito di andare nel paese vicino (una roba che a raccontarla adesso mi sembra assurda); che qui i foresti non sono graditi (il corsivo è una mia libera interpretazione). Comunque aveva ragione, di bar aperti nemmeno l’ombra e siamo stati costretti ad avanzare senza caffè (per il giubilo dei miei compagni di avventura).

In questo angusta terra di mezzo sembra tutto abbandonato e non c’è anima viva (a parte il tipo simpatico in bicicletta): riusciamo comunque a trovare il nostro obbiettivo, la porta è aperta, l’entrata è semplice. Andiamo alla ricerca della chiesa, trovata, scopro l’aula di chimica, un altro giro veloce e siamo fuori in circa 30 minuti: un po’ di fretta perché avevo notato (dalla finestra) un tipo sospetto (una seconda anima annoiata) che con il cellulare all’orecchio guardava con insistenza nella nostra direzione.

Perché segreto? Semplice, uscendo andiamo in direzione della macchina (nascosta in un parcheggio vicino) e rimaniamo sorpresi da un gruppo di 4 persone con un’aria tipica, e facilmente riconoscibile, che mangiano in piedi dei panini con il bagagliaio della macchina aperta; con un abbigliamento che non avrei definito della domenica. Un paio di occhiate furtive e viene spontanea la domanda: Urbex? Ovviamente si, ci si conosce tutti, e scatta il racconto della nostra domenica in giro per il mondo abbandonato. Lì abbiamo trovato l’allarme, dall’altra parte c’erano i carabinieri, dall’altra parte ancora hanno chiuso con un lucchetto nuovo e siamo dovuti passare dalla finestra. Questo invece bellissimo, avete visto che meraviglia le stanza affrescate nella parte vecchia? Io e Lorena ci siamo guardati, una riflessione veloce e, nonostante la sua titubanza, ci siamo visti costretti (io ho costretto lei) a rientrare per visitare la parte segreta.

E quindi niente, di nuovo tutta la trafila, ma con le indicazioni passo/passo, da veri urbexer di livello, siamo riusciti anche noi a trovare la zona antica, introvabile e nascosta. A nostra discolpa posso dire che si passava da una scala buia e pericolosa, con anche qualche ragnatela, e le nostre paure ancestrali ci hanno impedito di varcare la soglia: poi c’era anche un canestro da basket rovesciato per terra (si vede bene nell’ultima foto) che impediva l’accesso in modo importante. Ma colpa mia, è nel mio DNA essere sempre un po’ frenetico. Bella comunque, il rientro ha meritato la fatica: era proprio necessario, non mi sarei mai perdonato la mancanza. Poi c’è anche quel discorso della Ferrari, ma è un’altra storia da raccontare…

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Villa Castagnola

POSTED ON 24 Mar 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX, drone

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Villa Castagnola riprende il nome dei proprietari originali, una famiglia di nobili banchieri, e venne costruita all’inizio del secolo scorso. Fu successivamente ceduta alla famiglia Quaglia, che operava nel settore della ceramica e del laterizio, e cambiò nome, ma dopo l’8 settembre 1943 venne espropriata dai nazisti. La Famiglia Quaglia ritornò in possesso della Villa fino alla morte, nel 1972, del commendatore Eugenio Quaglia. Nella seconda metà degli anni ’70 venne comprata dalla società Castagnola che riprese il nome originale; purtroppo a seguito del fallimento, nel 1999, la Villa è in stato di abbandono, c’è un curatore fallimentare che purtroppo non è riuscito a vendere la proprietà.

Nel 2017 diversi roghi (forse dolosi) interessarono la Villa, ci fu l’intervento dei Vigili del Fuoco che dovettero sfondare la porta per riuscire a domare le fiamme. Purtroppo da quel giorno è iniziata l’invasione di ladri e vandali che negli ultimi anni hanno spogliato e devastato Villa Castagnola. Al piano terra, vicino alla piccola chiesa, sino al 2018 c’era anche un tipico gozzo ligure: non ha resistito a lungo, trafugato da qualche filibustiere moderno.

La mia esplorazione di Villa Castagnola è ormai datata 2022. Ho iniziato con un volo d’ispezione con il drone, quindi ho salutato la vicina di casa (uscita sul terrazzo a controllare) e ho chiesto informazioni: gentilmente mi ha detto di fare attenzione e mi ha raccontato degli incendi che hanno reso pericolosa la struttura (in realtà non tanto). Ho fotografato con tutta calma, ma al momento di andare via ho sentito delle voci: in urbex è sempre particolare il momento in cui si percepisce di non essere soli. Sono uscito allo scoperto e ho visto una ragazza che raccontava la storia della Villa a due turisti (non saprei come altro definirli). Mi sono presentato e in logica conseguenza aggiunto alla comitiva: non mi era mai capitato di fare una visita turistica illegale con tanto di guida in un luogo abbandonato.

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Dancing Paradiso

POSTED ON 19 Mar 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX, disco

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Del Dancing Paradiso ho sentito tante cose ultimamente e devo ammettere che io non ho nemmeno sfiorato quell’empatia e quella meraviglia che ho letto in quasi tutte le recensioni (perdonatemi il termine). Sono un animo insensibile. Per me il dancing è stato confusione, ecco, confusione è il termine che rende meglio l’idea: dal punto di vista fotografico quasi fastidioso, claustrofobico, un insieme di oggetti alla rinfusa, nel disordine, nel degrado e nel buio quasi totale. Certo, c’è un mondo dietro, la vita della signora Paola si intreccia e si divide fra questi ricordi, fra questi pezzi di vita; purtroppo non sento la voglia di memoria che ascolto da tante parti.

Entrare nel Dancing, con la sua enorme mole di ricordi, mi ha fatto tornare in mente una storia che trovai in rete qualche tempo fa: fra 100 anni saremo tutti morti e sepolti. Fra i nostri discendenti nessuno saprà chi eravamo e nessuno si ricorderà di noi. Tutte le nostre proprietà e le nostre cose saranno di sconosciuti, che non sono ancora nati. E tutto questo insieme di oggetti, prezioso per alcuni, per il resto del mondo è semplicemente confusione: non mi ha lasciato sensazioni positive, mi ha fatto pensare che il tempo scorre velocemente e che tutto quello che oggi conserviamo domani sparirà nel nulla. Anche il Dancing Paradiso, nonostante una storia gloriosa, è diventato un’inutile accozzaglia di oggetti, alcuni orrendamente kitsch, e il tempo riuscirà a cancellare anche questo angolo di mondo destinato a scomparire, scusate la citazione, come lacrime nella pioggia.

Ammetto di aver qualche sintomo di distacco dai sentimenti, ma non credo di essere un replicante come Roy Batty: eppure nonostante fra queste pareti si siano raccontate storie d’amore, di amicizia, di vita, di tempo passato insieme, nonostante ci sia un intreccio di emozioni forti (anche senza andare vicino alle porte di Tannhäuser), anche il Dancing Paradiso è giunto al termine vita. Peccato, ma anche no: qualche volta forse è meglio non guardare indietro.

Se siete amanti del romanticismo, anche eccessivo, vi consiglio di leggere la storia del Dancing Paradiso raccontata da Lorena Durante: lei sicuramente ha percepito l’empatia di questo pezzo di storia.

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Quel che resta del Monastero

POSTED ON 2 Mar 2024 IN Reportage, Landmark     TAGS: monument, 50ne

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Ieri ho raccontato della mia esperienza di CronoDuello al Monastero dei Benedettini di San Nicolò l’Arena a Catania, ma non avevo ancora pubblicato le 5 foto scartate in fase di selezione. In realtà poco fa ho mandato in onda Il gatto dagli occhi storti e adesso vi propongo le restanti 4 foto eliminate. Niente di bellissimo, ma d’altronde se non le ho prese in considerazione un motivo ci deve essere, no?

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Monastero dei Benedettini -Cronoduello /06-

POSTED ON 2 Mar 2024 IN Landmark, Reportage     TAGS: cronoduello, monument, 50ne

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Dopo diversi anni, per un motivo quasi divertente, ho deciso di far tornare in scena il celebre CronoDuello. Dopo le foto alla processione di Sant’Agata mi sono trovato con Lorena nel Monastero dei Benedettini di San Nicolo l’Arena, a Catania, e lei se ne esce, dal nulla, con un’affermazione che mi lascia quasi imbarazzato: praticamente mi suggerisce, come se niente fosse, di scegliere una location e, in un periodo di tempo limitato, di fotografare solo quella zona alla ricerca di foto interessanti; lo definisce esercizio. Io la guardo con aria sorpresa e le suggerisco di leggere le regole della CronoSfida, perché sono quasi 15 anni che mi diverto con questo tipo di esercizio. E scatta, naturale, fisiologico, il CRONODUELLO. Il Monastero dei Benedettini di San Nicolo l’Arena è un luogo storico, importante, e trovare scatti interessanti non è stato molto complicato. Ho selezionato 7 immagini, più una ulteriore a tempo scaduto: queste sono le mie 3 preferite. Aspettiamo che la mia rivale di giornata metta in mostra le sue proposte. È trascorso un po’ dei tempo dall’ultimo CronoDuello, ma trovate le poche e semplici regole a seguire. Chi mi vuole sfidare?

RULES:
Two photographers. Choose camera, lens and location.
Have a few minutes walk around and then no more than 15 minutes to shoot 3 good pictures.
At the end, each one shows his three best shots.

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Carlevè ‘d Mondvì 2024

POSTED ON 27 Feb 2024 IN Performing Arts, Reportage     TAGS: EVENT, carnival

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Il Carlevè è tornato in grande stile: un nuovo presidente, nuove energie, tanti carri, una sfilata di altissimo livello, gruppi decisamente numerosi e un carro di Mondovì finalmente degno di questo nome. Io purtroppo non stavo bene (mali di stagione) e quindi mi sono un po’ risparmiato, niente foto generaliste, niente ritratti, niente copertura totale dell’evento: non ho molto tempo a disposizione e ho quindi deciso di dedicare un numero ridotto di energie alla post-produzione delle immagini. Ho creato un piccolo portfolio, un reportage di 12 foto che serve ad illustrare quello che personalmente ho vissuto come carnevale. Mi sono concesso solo una piccola divagazione: il momento in cui i ragazzi delle Teste matte di Villafalletto hanno lanciato in cielo i palloncini dedicati ai cugini Casale, scomparsi in un tragico incidente stradale, con questo pensiero: “Marty e Met: ci avete insegnato tutto tranne che a vivere senza di voi“. Perché ho percepito forte la loro commozione, ho sentito l’emozione e mi sembrava giusto dedicare una foto a quel momento.

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La processione di Sant’Agata

POSTED ON 19 Feb 2024 IN Reportage     TAGS: EVENT, travel, silver, religion

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Il 4 febbraio è un giorno importante per la città di Catania: tutta la città si riunisce in evento che definire emozionante è forse riduttivo. L’atmosfera, sin dalle prime luci dell’alba, è in parte commossa e in parte felice, le strade della città si popolano di cittadini, devoti che indossano il tradizionale sacco: un camice votivo di tela bianca lungo fino alla caviglia e stretto in vita da un cordoncino, un berretto di velluto nero, guanti bianchi e sventolano un fazzoletto bianco; rappresenta l’abbigliamento notturno che i catanesi indossavano quando, nel lontano 1126, corsero incontro alle reliquie di Sant’Agata che Gisliberto e Goselmo riportarono da Costantinopoli. Siamo arrivati di fronte al Duomo poco dopo l’alba, la piazza era già gremita e quando è stato aperto il cancello di ferro che protegge le reliquie della santa (sono necessarie tre chiavi: una la custodisce il tesoriere, la seconda il cerimoniere, la terza il priore del capitolo) e il viso sorridente di Agata si è affacciato fuori dal duomo il tripudio dei fedeli, con il tradizionale sventolio dei fazzoletti bianchi, è aumentato in modo esponenziale accompagnato dai fuochi d’artificio. A quel punto il busto di Sant’Agata, luccicante di oro e di gemme preziose, è stato issato (non senza fatica) sul fercolo d’argento rinascimentale, foderato di velluto rosso, il colore del sangue del martirio, ma anche il colore dei re.

Inizia il giro, la processione del giorno 4, che dura l’intera giornata. Il fercolo attraversa i luoghi del martirio e ripercorre le vicende della storia della santuzza, che si intrecciano con quella della città: il duomo, i luoghi del martirio, percorsi in fretta, senza soste, quasi a evitare alla santa il rinnovarsi del triste ricordo. Una sosta viene fatta anche alla marina da cui i catanesi, addolorati e inermi, videro partire le reliquie della santa per Costantinopoli. Poi una sosta alla colonna della peste, che ricorda il miracolo compiuto da sant’Agata nel 1743, quando la città fu risparmiata dall’epidemia. I cittadini guidano il fercolo tra la folla che si accalca lungo le strade e nelle piazze. Quasi 5000 devoti trainano la pesante macchina. Tutti rigorosamente indossano il sacco votivo e a piccoli passi tra la folla trascinano il fercolo che, vuoto, pesa 17 quintali, ma, appesantito di Scrigno, busto e carico di cera, può pesare fino a 30 quintali. A ritmo cadenzato gridano: Cittadini, viva sant’Agata, un’osanna che significa anche: sant’Agata è viva in mezzo alla folla. Il giro si conclude a notte fonda quando il fercolo ritorna in cattedrale.

La processione è lenta, lunga, impegnativa. Intorno al fercolo i fedeli si accalcano per portare un cero, una donazione in denaro, oppure semplicemente per toccare la santa. Una leggenda racconta che le donne che toccano Sant’Agata possano rimanere incinta. Molti porgono il fazzoletto bianco per fare in modo che venga fatto appoggiare alle reliquie, alcuni pregano, altri si accontentando di guardare da lontano facendosi il segno delle croce. Si sentono gridare gli inni alla santa: Nun c’è ventu, nun c’è acqua, nè bufera, nè timpesta casca u munnu ma Catania a Frivaru si fa festa. La città è addobbata a festa con la A in oro su sfondo rosso, i terrazzi espongono l’insegna W S.Agata. È davvero uno di quei momenti da vivere per capire l’emozione, l’importanza che i catanesi danno alla patrona e alla sua festa, non avevo mai visto un senso di devozione nemmeno lontanamente simile. Quando si è in mezzo alla folla si cerca di fotografare con rispetto, dando importanza alle persone e al momento che stanno vivendo. Non è facile, anzi, è decisamente complicato. Ho provato a raccontare queste emozioni con 37 foto, entrando dentro la festa. È anche un ricordo di una giornata incredibile.

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Nun c’è ventu, nun c’è acqua, nè bufera, nè timpesta
casca u munnu ma Catania a Frivaru si fa festa.
Lu splinnuri di la Santa, l’emozioni di li genti
comu n’ecu ca cuntaggia tutti i cincu cuntinenti.
Emigranti di luntanu… janchi, niuri, longhi e curti
arrispunnunu cchiù forti….semu tutti divoti tutti…
Ma ‘na vuci… tra la fudda… si fa largu e acchiana jauta…
E’ la vuci di Catania: Cittadiniiiiii…. Evviva Sant’Aita!

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Fiato alle Trombe

POSTED ON 16 Feb 2024 IN Reportage     TAGS: EVENT, travel, silver

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Il passaggio delle candelore è accompagnato dalla musica. Tutte le candelore hanno un accompagnamento musicale dedicato (quelle che ho visto io), lo strumento per antonomasia è la tromba, la tromba suona ovunque: i gruppi musicali hanno uno stile e un ritmo diversi e l’atmosfera prende un tono allegro di contagiosa felicità. Quasi tutte le bande cittadine, che seguono le candelore, hanno nel loro organico un buon numero giovani, e giovanissimi, questo permette di comprendere il fascino che la festa di Sant’Agata esercita anche sui ragazzi. La stragrande maggioranza dei pezzi suonati è ballabile, piacevole, ma davvero non mi aspettavo di sentire nella colonna sonora delle Candelore, a febbraio, L’Estate sta finendo dei Righeira: e suonata con la tromba è semplicemente meravigliosa. Ho cantato.

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