Every man alone is sincere. At the entrance of a second person, hypocrisy begins.
– Ralph Waldo Emerson
Mentre mi trovavo sulla spiaggia di El Golfo ho intravisto questo marcione poco oltre la strada principale. Ho preso solo il 16-35, il treppiede e ho deciso di intrufolarmi, non sono riuscito a resistere alla tentazione. Niente di straordinario sotto il profilo urbex, ma decisamente importante dal punto di vista sociale. Lanzarote è un’isola a chiara vocazione turistica eppure solo le 2/3 città più importanti sono preda dei viaggiatori, i paesini più isolati sono ancora ad uso esclusivo di chi vuole evitare la massa. Il turismo si concentra in poche località (Playa Blanca, Costa Teguise) mentre le zone più selvagge rimangono poco battute e mantengono intatto un certo fascino che definirei aspro. E questo porta a trovare, a pochissima distanza dalla spiaggia, case abbandonate, alberghi chiusi. Un po’ come la Liguria d’inverno. :)
El Golfo è un piccolo paesino sulla costa Ovest dell’isola di Lanzarote; ai limiti del parco nazionale del Timanfaya e poco più a Nord del punto panoramico di Los Hervideros. Ci si arriva dopo aver percorso una stradina meravigliosa che costeggia il mare, un ambiente vulcanico davvero suggestivo. A El Golfo si trova anche il lago Verde (che non sono riuscito a fotografare decentemente): un piccolo stagno di acqua clamorosamente verde per la presenza di organismi vegetali che vi vivono in sospensione, dichiarato riserva naturale e al quale non è possibile avvicinarsi. El Golfo è un piccolo villaggio turistico a ridosso della spiaggia: 10 case, 12 ristoranti, un parco giochi, 5 bar e niente altro. Ad Aprile è quasi deserto. Ho provato a raccontare con le immagini la bellezza di questo mare difficile e, per certi versi, selvaggio. Ho esaperato, anche troppo, contrasti e colori per rendere al meglio l’atmosfera che si respirava in quel momento. Un esperimento.
Zonzamas è il nome dell’ultimo arborigeno a governare sull’isola di Lanzarote prima dell’arrivo dei conquistatori Europei, stiamo parlando della fine del 14esimo secolo. Non ho molte informazioni su questa struttura, abbandonata da tempo, ma secondo le ricostruzioni degli abitanti dell’isola avrebbe dovuto essere un museo dedicato alla storia di Lanzarote, da qui il nome con dedica a Zonzamas, l’ultimo vero leader. In realtà è solo una abbozzo, una colata di cemento, un’idea nella mente di qualche architetto arrivato dal futuro, un futuro distopico credo. Però vederla così ha qualcosa di affascinante, una strana cattedrale nel deserto. Dentro è inquietante, claustrofobico; ma un giro per gli amanti del genere è necessario. :)
Urge defender la #Historia
Riuscire a descrivere, con parole, le mie sensazioni durante la visita a Villa C. è un’impresa che sarebbe degna di un grande scrittore. E io sicuramente non lo sono. Mi limiterò quindi a qualche spiegazione tecnico/tattica. Ho deciso di chiamarla Villa della Meravigliosa Conchiglia perchè la prima volta che ho visto delle foto in rete di questo splendore veniva definita così: guardando le scale dal basso si vede la forma di una conchiglia, è quasi logico. Nei mesi/anni scorsi è stata preda dell’invasione di decine di urbexer italiani ed europei: semplicemente perchè si tratta di magia, trovarsi all’interno di una villa di questa bellezza è qualcosa di magico. Credo che le foto riescano a rendere meglio che le parole la suggestione, le dimensioni, le qualità estetiche e la leggenda di questa villa risalente al 1700 e che racconta una storia che si tramanda fra diverse famiglie, due guerre mondiali, il Risorgimento e opere d’arte sparite nel nulla. Per il momento mi limito a questa veloce descrizione, in futuro vorrei aggiungere la storia completa (che si trova sul sito del comune di riferimento): vi lascio le ultime due tristi righe:
Dal 1959 la Villa, proprietà di una anonima società Svizzera, è disabitata e priva di arredo. Da alcuni anni è stata dichiarata Monumento Nazionale.
Ho fotografato modelle e donne bellissime, uomini, lupi e samurai, panorami mozzafiato e città d’arte, artisti di strada e artisti internazionali, il mio soggetto preferito è una meravigliosa bambina di 4 anni. Ma ci dev’essere qualcosa di inciso nelle sacre rune, dev’essere il mio destino: torno sempre a fotografare cessi.
Ieri pomeriggio, nella chiesa sconsacrata dei Battuti Bianchi (o del Gonfalone) a Fossano, si è tenuto un evento straordinario: un incontro fra musica e fotografia organizzato dalla Fondazione Fossano Musica, con il patrocinio dell’Associazione Fotografica MondovìPhoto e di progetto HAR.
Un moderno utilizzo del poema sinfonico, una composizione estemporanea di ampio respiro, in più movimenti, che sviluppa musicalmente un’idea ispirata ad un insieme di immagini fotografiche opportunamente selezionate.
Fra queste immagini fotografiche opportunamente selezionate anche qualche opera del sottoscritto. Durante l’evento si è parlato molto di arte e del connubio fra musica e fotografia, ma io credo che troppo di frequente si parli di arte e fotografia a sproposito: la parte artistica nella fotografia è davvero minima e quasi sempre concide con tecnica e colpo d’occhio. Non posso negare che in senso lato la fotografia è una forma d’arte, una sorta di genio, una attitudine naturale a produrre opere di interesse artistico semplicemente osservando in modo diverso dal comune. Ma quando si parla di arte oggi s’intende quasi sempre un’opera di alto contenuto estetico, che concerne un livello di bello molto elevato. E non tutta la fotografia ha questo livello di bello, molte volte è mera rappresentazione della realtà, una straordinaria e stupefacente rappresentazione del mondo. Ma nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di qualcosa di diverso da quello che comunemente viene inteso come arte. E quando mi sento definire artista (e capita, incredibile, ma capita) mi viene da sorridere: sono davvero molto lontano dal concetto comune di arte, nella mia fotografia vedo un insieme di pixel incrociati e modificati in modo che può risultare, in rari casi, armonioso. Ma non è arte, è semplice rappresentazione personale e digitale di persone/cose/momenti/luoghi.
No great artist ever sees things as they really are. If he did, he would cease to be an artist.
– Oscar Wilde
Quando sono entrato nella chiesa dei Battuti Bianchi per l’allestimento della mostra ho subito pensato a come fotografare l’evento. Dall’alto, con il 14mm per una visione completa e perfetta della sala. Ho chiesto l’autorizzazione per salire al piano superiore (non ho idea di come possa definirsi) e ho scattato a tuttaapertura (ISO 1600) dal centro perfetto. Ed è proprio come l’avevo immaginata, ed è una cosa rarissima: immaginare e realizzare.
Ieri è stata la giornata della tanto attesa Big Snow. Che poi tanto BIG non è stata: diciamo che qui siamo abituati anche a qualcosa di più importante. Ma intanto la Granda si è dipinta di bianco ed è diventata ancora più bella (se possibile). Accanto ai soliti disagi nasce uno spettacolo della natura che credo sia ineguagliabile: le prime ore dopo la nevicata sono sempre affascinanti. Questa mattina mi sono svegliato poco prima dell’alba e ho fatto un passo verso Cuneo per ammirare il risveglio della città sotto la neve; il cielo era sereno con tendenza al peggioramento (e infatti oggi pomeriggio ha nevicato nuovamente), l’aria frizzante, giravano ancora i mezzi spalaneve e le strade erano, in alcuni punti, difficoltose. Ho fatto un giro fra Piazza Galimberti, Via Roma, Corso Nizza e sul Viale degli Angeli, che qui chiamano semplicemente il viale. I commercianti iniziavano a spalare i marciapiedi (io ho dato ieri sera), qualche studente, cani che portavano a spasso i padroni e la vita che riprendeva come se nulla fosse successo. A Roma avrebbero detto: “Big Snow, nun te temo!“.
To appreciate the beauty of a snowflake it is necessary to stand out in the cold.
– Aristotele
Villa Chiara è una ex clinica (credo, in rete non si trovano molte informazioni) a Revigliasco, nella città metropolitana di Torino. Si tratta di una struttura molto particolare, dalle forme tondeggianti, quasi astratte, ma lasciata a se stessa ormai da tempo. Dentro non è rimasto quasi nulla, prima dell’abbandono è stata completamente svuotata; al resto hanno pensato i vandali con scritte sui muri, graffiti e la solita inutile devastazione. Il tetto, dal quale si ammira un panorama incredibile, è particolarmente curioso: è completamente liscio, a dune (è l’unico modo che mi viene in mente per definirlo), con tanti globi trasparenti che probabilmente servivano a portare luce alla struttura. Mi sembrava di vivere in un film di fantascienza. E’ stato il mio reportage urbex meno triste: non ci sono schede pazienti, cartelle cliniche, non si vede una vita, qui non si respira la solita malinconia ma una sorta di lucida programmazione. E una decadenza calcolata, quasi voluta. E anche questo è il fascino dell’abbandono.
Quando si entra in luoghi abbandonati, sempre che non siano inaccessibili, è facile trovare graffiti e scritte sui muri. Perchè in questi posti i primi ad entrare sono sempre i giovani del luogo e si sa, i giovani sono ribelli ed esprimono la loro voglia di essere contro in modo tangibile imbrattando i muri di case disabitate: per essere certi che la loro indignazione contro il mondo non venga letta da nessuno. Oppure da qualche sfortunato fotografo appassionato di urbex, tipo il sottoscritto. E quando in questa cascina abbandonata, a poca distanza da casa mia, ho letto il fatidico: semplicemente allergico alla legge sono rimasto davvero interdetto. Che ci sarebbero diversi modi di continuare/rispondere, ma alla fine mi è scappata solo una risata sardonica. A qualche metro di distanza un’altra penna in vena di poesia ha vergato il classico fuck the police che ormai è diventato uno slogan fin troppo abusato. Sono stato anche io giovane (cioè, in realtà lo sono ancora) e quindi voglio chiudere il post con una domanda retorica: ma che gusto può esserci a scrivere frasi di questo tipo sul muro di una cascina abbandonata nel bosco?
Quest’hotel abbandonato si trova nella parte sud-ovest di Lanzarote, a poca distanza da Playa Blanca. La sua costruzione, se così possiamo definirla, risale alla fine degli anni ’60: non fu mai terminata. E’ uno dei reportage urbex che mi lasciato più ansia e paura. Per arrivarci è necessario percorrere una strada sterrata, che spesso sparisce, di circa 5 chilometri. Ho parcheggiato, dopo 50 minuti di strada a passo d’uomo nel deserto più assoluto, a 500 metri dalla struttura. Mi sono sentito davvero solo, il sole iniziava ad alzarsi all’orizzonte. L’albergo è enorme, è solo uno scheletro in una posizione straordinaria. Il vento fischiava fortissimo, il mare rumoreggiava contro gli scogli poco sotto. Ho fatto il giro completo e quando stavo per avviarmi alla macchina, per tornare in albergo, ho sentito il rumore di un motore in lontananza. Un pick-up con a bordo tre persone si stava avvicinando a discreta velocità; ecco, in un posto del genere puoi venire solo per due motivi, forse tre: un bagno solitario nell’oceano, fotografie urbex oppure qualche attività illecità. E in realtà è possibile che anche le prime due attività non siano poi così lecite. Mi sono nascosto e già immaginavo un inseguimento fra la mia berlina telaio basso e il loro mezzo fuoristrada, sullo sterrato, con poche, nulle, possibilità di fuga. Si sono fermati una decina di interminabili minuti rimanendo sul mezzo, uno dei tre è sceso a fumare, poi sono partiti in direzione opposta: piccola sosta, troppo sospetta, dalla mia Corvette a noleggio e poi sono tornati da dove sono venuti. Ho atteso ancora 10 minuti per sicurezza (nel frattempo avevo nascosto lo zaino con la macchina fotografica) e poi sono tornato indietro. Occhi sempre ben aperti, ma salito in macchina ho tirato un sospiro di sollievo: avevo immaginato diversi possibili finali e nessuno di questi era positivo per il sottoscritto. Ansia.
The abandoned hotel near Los Charcones is now famously called the Hotel of Los Charcones, but was named Atlante del Sol Hotel, at the edge of Playa Blanca, built sometime in late 1960’s or early 1970’s. The famous story which makes round is that a German investor started the project to make a “Golf-Hotel” but his attempt to irrigate grass for the Golf Course on the volcanic clay soil didn’t work out. The building was abandoned with no concrete road leading to it. It is said that, it will cost more than 1.2 million euros to just get it down. Now of course you will see homeless and drug addicts using the hotel for lodging.
Da ieri pomeriggio, finalmente, nevica. Tanto desiderata e tanto agognata: la fioca è arrivata. E prima di andare a dormire ho deciso di provare un paio di scatti nel mio giardino: il melograno innevato è clamorosamente fotogenico. Due lunghe esposizioni su cavalletto proprio davanti alla porta di casa; davvero pochi minuti perchè in pigiama fa freddo. La prima semplicissima, 5 secondi a f/8. Nella seconda, per esaltare ed evidenziare i fiocchi di neve, ho aggiunto un colpo di flash sulla seconda tendina. Non è certo un panorama mozzafiato, semplicemente un piccolo ricordo e un esercizio di stile. Benvenuta neve, qui ti aspettavamo con ansia. Anche troppa.
Neve, insegnami tu come cadere
Nelle notti che bruciano
A nascondere ogni mio passo sbagliato
Villa Moglia si trova con una semplice ricerca su Google Maps. E’ abbandonata da tantissimi anni, ma mantiene intatto il fascino di quando veniva definita il gioiello del ‘600. L’entrata è surreale, bellissima: un lungo viale porta al cancello coperto di rovi. E’ aperto e riusciamo a entrare facilmente: la struttura è imponente, a forma di U. Passiamo dalla porta principale e subito si apre davanti a noi una scala mastondotica; i graffiti sono ovunque, nessuna parete si è salvata, segni di un passaggio continuo e costante nel tempo. Nonostante il chiaro degrado si intuisce l’importanza della costruzione, la qualità e l’eleganza. Dell’arredo originale non è rimasto che qualche pezzo di legno, anche molti pavimenti sono stati divelti, le finestre non esistono più. Nell’ala destra di Villa Moglia si trova una bellissima chiesa con altare e si racconta che negli anni qui siano stati celebrati riti satanici. Ma ho imparato a non dare troppa importanza alle leggende metropolitane del mondo urbex. Nell’ala sinistra invece c’era spazio per un piccolo teatro: non è rimasto quasi nulla, si intuisce, solo una fila di sedie e l’idea di qualcosa che ormai non può più raccontare nulla. Mentre stavamo salendo le scale per salire al secondo piano abbiamo sentito della musica: molto rumorosa. Due ragazzini, lei ballava su note Trap, lui riprendeva. Timidi, quasi impauriti. Purtroppo ho dimenticato il nome del loro canale Youtube. Villa Moglia è abbandonata da diversi anni: nel 2005 il comune di Torino (proprietario dello stabile) la mise all’asta per 5 milioni di euro. L’asta andò deserta e da allora questo splendido gioello del ‘600 vive nell’attesa di morire. Dimenticato da tutti.