Quel che passa il convento è un’espressione idiomatica tipica della nostra lingua; viene utilizzata quando ci si deve accontentare di qualcosa e quel qualcosa è solitamente limitato oppure economico.
E nel caso di questa esplorazione l’espressione si adatta perfettamente alla situazione perché in effetti si tratta di un convento in stato di abbandono e, se lo osserviamo dal punto di vista dell’esplorazione urbana, ha davvero poco da offrire: un soffitto particolare, un murale, diversi bagni di rara bruttezza, un tappeto, uno strano divano quasi nuovo, qualche bottiglia (di notevole pregio il Punt e Mes in soffitta), un cancello arrugginito, un interessante chiostro. In questo caso, data la povertà degli arredi, si può anche raccontare qualcosa: il convento è opera del padre Servita Filippo Ferrari (1551-1626), figura di spicco in campo religioso e scientifico del suo tempo, che divenuto priore del suo ordine, nel 1606 ottenne di potersi dedicare alla riedificazione dell’antica chiesa dedicata a Sant’Agata e alla costruzione di un convento per ospitare i Frati servi di Maria. Dopo quasi 200 anni di attività il convento venne soppresso (insieme a molti altri) nel 1802 da Napoleone Bonaparte: da quel giorno la chiesa di Sant’Agata andò velocemente in rovina, mentre l’abitazione dei frati, trasformata in dimora privata e adeguatamente restaurata, conserva ancora oggi, pur essendo in stato di abbandono da tanto tempo, la sua maestosità e la sua bellezza architettonica.