POSTED ON 28 Dic 2022 IN
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Dopo 4 anni sono tornato al presepe vivente di Bagnasco. Questa volta in assoluta solitaria, una toccata e fuga degna del miglior Johann Sebastian: sono arrivato all’ingresso poco dopo le 20 e sono riuscito a terminare il giro fotografico del presepe circa 90 minuti dopo, ma prima dell’inizio della rappresentazione (non potevo farcela). Devo ammettere che fotografare, bene, il presepe di Bagnasco è una di quelle imprese possibili solo con ottiche decisamente luminose: non esiste illuminazione (all’epoca Alessandro Volta non era ancora nato), è tutto al buio più assoluto alla luce di candele e falò. Si potrebbe utilizzare il flash on camera, ma è chiaro che il rischio di rovinare l’atmosfera sarebbe molto elevato; per risolvere l’arcano ho sempre utilizzato 3200 ISO e aperture di focale non superiore a f/2. Non è un reportage in senso stretto, è più una raccolta disordinata di ritratti e ambientazioni; non ho avuto l’ispirazione per creare una storia vera e rigorosa, anche perché l’ordine degli attori è quasi casuale (e poco attinente alla storicità dell’evento). Spero si riesca ugualmente a percepire l’essenza della volontà e della passione che gli abitanti di Bagnasco dedicano al loro meraviglioso presepe.








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POSTED ON 1 Feb 2022 IN
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Il santuario della Madonna delle Vigne è un edificio religioso molto particolare: è un esempio straordinario di barocco piemontese, fu realizzato da Antonio Bertola e Giovanni Battista Scapitta alla fine del 1600. Scapitta realizzò la cupola sul modello della chiesa di Santa Caterina di Casale Monferrato. Nella piccola abside si vede ancora oggi l’altare sovrastato da una nicchia che era occupata da una statua della Madonna. È diventato tristemente celebre con la definizione di spartito del Diavolo.
Si racconta che nel 1684 nel cimitero di Darola, nel Principato di Lucedio, alcune streghe organizzarono un Sabba, ossia un convegno notturno in cui, secondo le dicerie popolari, tra danze, orge e atti sacrileghi si celebravano riti di carattere demoniaco. Proprio in seguito a questo rituale apparve una presenza malvagia. Gli incantatori o le streghe presenti persero il controllo del demone che sfuggito prese possesso delle anime di alcuni monaci che risiedevano nella vicina abbazia. Questi posseduti dal maligno cominciarono a celebrare messe nere nella vicina chiesa della Madonna delle Vigne e iniziarono un periodo di soprusi verso le Novizie e i mendicanti del luogo.
Queste terribili azioni continuarono per ben 100 anni grazie all’isolamento dell’Abbazia. Quando però la voce degli atroci abusi si sparse, nel 1784, il Papa decise di mandare un esorcista da Roma affinché liberasse quei luoghi dalla presenza malefica. L’esorcista riuscì a sconfiggere il demone e a relegarlo in una delle cripte della chiesa. Poi mise degli abati mummificati a guardia del demonio, seduti in circolo su degli scranni. Il pontefice fece poi chiudere l’abbazia e sconsacrare la chiesa. Si racconta anche che venne composta una musica sacra, in grado di rafforzare il sigillo che imprigionava il demone. La musica in questione venne dipinta in un affresco presente nella sala della chiesa, rappresentate un organo con uno spartito. Questo spartito presenta però una stranezza: è bifronte. Può cioè essere suonato sia normalmente, leggendolo dall’alto verso il basso e da sinistra verso destra, o al contrario, dal basso verso l’alto e da destra verso sinistra. La leggenda dice che se viene suonato normalmente, la musica rafforzerà il sigillo che imprigiona il demone, ma se viene suonato al contrario il demone sarà liberato.
La chiesa della Madonna delle Vigne è un edificio a pianta ottagonale con un soffitto a cupola: l’ottagono ha un valore simbolico. In posizione orizzontale, il numero 8 (otto) simboleggia l’infinito. Per alcuni, il numero in questione simboleggia anche la transizione. Per il Cristianesimo, infatti, la morte non è la fine di tutto, ma è il passaggio ad una vita eterna. Inoltre, le chiese a pianta ottagonale, come quelle a pianta circolare, hanno una funzione contemplativa e meditativa, a differenza di quelle pianta basilicale, le quali sono luoghi di processione. Nonostante le pessime condizioni, gli interni hanno ancora pregevoli affreschi e stucchi, con raffigurazioni scultoree di cherubini.
Secondo le testimonianze la chiesa era ancora in funzione negli anni ’20 del secolo scorso e la statua della Madonna veniva portata in processione per la benedizione dei terreni e dei frutti. Nel 1926 il principe Carrega Bertolini di Lucedio morì. Nel testamento egli divise l’abbazia di Lucedio e quella di Montarolo tra i suoi due figli. Così iniziò il declino del santuario, la cui sconsacrazione sarebbe avvenuta intorno al 1967. L’edificio cadde nell’oblio. Nel 1999 l’archeologo Luigi Bavagnoli, fondatore del Gruppo Teses, si imbatté nell’edificio, vi entrò e trovò il presunto Spartito del diavolo. Il resto è storia attuale.








POSTED ON 28 Dic 2021 IN
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Il presepe vivente di Prea è una storia che si tramanda nel tempo: ormai siamo giunti alla 39esima edizione. È uno di quegli eventi che rimangono lì, una tradizione, a scandire il tempo per ricordare a tutti l’arrivo del Natale. Ero già stato qualche anno fa come semplice visitatore, sono tornato come fotografo. Ho scattato con due ottiche (grandangolo e normale), con il flash (in manuale off camera) e senza; ho fatto il giro in senso antiorario almeno tre volte, praticamente una mezza maratona fotografica. Ho salvato 38 immagini, ma ho deciso di pubblicare solo le migliori 17. Il presepe vivente di Prea è magia, è passione, cura dei dettagli, amore per il proprio paese. Ovviamente la foto copertina è dedicata alla Sacra Famiglia, non potevo scegliere diversamente. :-)





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POSTED ON 2 Nov 2021 IN
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POSTED ON 20 Mag 2021 IN
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POSTED ON 16 Apr 2021 IN
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POSTED ON 16 Apr 2021 IN
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Sulla croce che domina il Sass Pordoi c’è un targa con una scritta particolare: “Cercate le cose di lassù. 50° Anniversario 1962-2012”. E’ stata aggiunta, e si capisce, nel 2012. E pensare che da quasi 60 anni (l’anno prossimo) questa croce domina una delle più conosciute cime delle Dolomiti è tristemente aberrante. Il tema delle croci in vetta alle nostre montagne è dibattuto da tempo e non può lasciare indifferenti soprattutto in un paese che si professa laico. E’ una delle cose al quale non si pensa mai, eppure nella natura incontaminata si continuano a costruire gigantesche strutture in metallo, plastica, cemento e vetroresina, generalmente di rara bruttezza (e pericolosità). Non confondiamo l’immanente con il trascendente. Ogni giorno che passa è un giorno perso: iniziamo a decrocifiggere la montagna.
Non c’è vetta di monte che non sia stata marcata da un qualche simbolo religioso, il crocifisso in testa a tutti, soprattutto nel nostro paese. La sommità delle montagne è stata luogo privilegiato della trascendenza, metafora dell’ascesa al cielo, sentiero di purificazione interiore. È sembrato perciò normale appropriarsi di questi vertici, della loro potente suggestione per veicolare il sacro. Allora percuoterli, scavarli, cementificarli per collocarvi sopra una più o meno grande croce è parso ovvio, una testimonianza di fede, un luogo privilegiato per il contatto col divino.
POSTED ON 13 Apr 2021 IN
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Sono solo e mi avvicino, in religioso silenzio, a quella che nel secolo scorso era la Certosa della Motta Grossa. Qui una volta c’era un importante convento di clausura. Nel 1903 a seguito di leggi che soppressero le case monastiche, la comunità certosina femminile di Bastide Sainte Pierre a Montauban nella Garonna in Francia, dovette abbandonare il proprio convento trovando rifugio in Italia, presso un antico castello di Riva di Pinerolo chiamato Motta Trucchetti.
Furono realizzati grandi lavori di ristrutturazione, iniziati nell’ottobre 1903, eseguiti sotto la direzione di Dom Roch Mallet, procuratore della Grande Chartreuse, il quale rese gli edifici idonei alla regola monastica certosina. Fu installato un bellissimo orologio, proveniente dalla certosa di Le Reposoir, che fu posto in una torre quadrata, a una cinquantina di metri dal convento. Poiché l’antica cappella di San Giovanni Battista, situata nel giardino, era troppo piccola, ne fu costruita un’altra più spaziosa, e Dom Michel Baglin andò a benedirla il 12 maggio del 1904 titolandola a Santa Rosellina. In questo luogo la comunità religiosa rispettò la regola certosina come casa rifugio, e soltanto in seguito, nel 1936, visto la notevole crescita del numero di monache, si decise di erigere una certosa autonoma conosciuta con il nome di Motta Grossa.
La struttura monastica è composta da un enorme edificio eretto su due livelli, al centro si trova la Chiesa del quale ormai non rimane più nulla: anche il bellissimo crocifisso ligneo è sparito. Al piano superiore un lunghissimo corridoio porta alle celle dove vivevano le sorelle. Le monache rimasero nel convento sino al 1998 anno in cui si trasferirono alla certosa di Vedana lasciando il complesso monastico all’Istituto diocesano per il sostentamento clero di Torino. Da quel giorno la Motta Grossa è in stato di completo abbandono, preda dei vandali che hanno distrutto tutto il possibile. Oggi è un luogo vuoto e spettrale, svetta tra la fitta vegetazione che quasi ne impedisce l’accesso, il cancello arruginito è rimasto come ultima ma inutile protezione.







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POSTED ON 5 Apr 2021 IN
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Quando si dice dimenticato da dio. Il significato è decisamente chiaro: sperduto, isolato, disabitato, squallido, desolato. Teologicamente parlando è impossibile, dicono che se Dio smettesse per un attimo di desiderare l’esistenza di un qualsiasi mio capello, esso cadrebbe immediatamente nel nulla. Poi se parliamo di una chiesa il significato acquisisce un significato ancora meno tangibile. Eppure quando penso alla Chiesa del Cristo sdraiato è proprio il concetto di dimenticato da dio che mi viene in mente. Siamo in una valle sperduta dell’appenino Emiliano, in provincia di Piacenza, intorno a noi è il deserto. Per arrivare si deve percorrere una lunga strada sterrata che il pensiero è quello di finire nel nulla. Ed in effetti è quella la sensazione quando si arriva alla meta: la chiesa cade a pezzi, è recintata, abbandonata, solitaria. Perché costruire qui un’opera del genere? E’ un mistero, ma la fede non si spiega. Capisco l’ascetismo, ma a tutto c’è un limite. All’interno si vive in un mondo irreale, immobile, il tempo si è davvero fermato in un istante, come se gli orologi avessero smesso di colpo di funzionare. I motivi purtroppo sono facilmente comprensibili.
Quando si entra si rimane subito colpiti da una particolare statua di un Cristo sdraiato, molto importante nell’equilibrio religioso della navata principale: è l’emblema della sofferenza e tutta la chiesa dà l’idea di soffrire in attesa che sopraggiunga la morte dell’oblio.
E quando si esce la domanda che risuona è sempre la stessa: ma perchè?





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POSTED ON 3 Mar 2021 IN
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Per arrivare al santuario del Getsemani è necessario compiere una vera via crucis: un itinerario di meditazione lungo 700 metri di strada selciata, in salita, di granito rosa e grigio immerso nella vegetazione. Al termine di questo faticoso percorso di riflessione si arriva alla cappella dello Spirito Santo che sorprende per la forma e per il bellissimo affresco della facciata esterna.
Il santuario è stato edificato tra l’anno 1950 e l’anno 1954 ed è un edificio a navata unica e matroneo con cripta sotto il presbiterio. Il complesso è impreziosito dal ciclo di affreschi della Passione di Cristo, dipinti da Theodore Stravinsky, figlio del compositore e pittore di fama internazionale.
Il Santuario è chiuso e sigillato e non vi si può accedere; dietro si erge il maestoso corpo del convitto/albergo a forma di nave con refettorio, aule, biblioteca, camere, giardino interno, cucine attrezzate. Bellissimo e imponente, un’oasi di pace e meditazione.










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POSTED ON 1 Dic 2020 IN
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La chiesa blu (dabluldirabluldai come direbbero gli Eiffel 65) è un altro di quei luoghi urbex che ormai fanno parte della cultura e dell’immaginario del mondo dell’esplorazione urbana. E devo ammettere che quando mi sono ritrovato al cospetto di quel blu, blu classico com’è stato definito, ho avuto un tuffo al cuore. Perché dal vivo è ancora più bella e intensa che in fotografia e quel blu è davvero una magia, si tocca con mano, è percettibile e non è un’esasperazione della post-produzione come si potrebbe pensare osservando le immagini. E poi c’è questo crocefisso appeso al soffitto, bellissimo, enorme, che regala alla scena una meravigliosa aurea mistica e ti lascia quasi senza fiato. Purtroppo i vandali, perché i cretini esistono e sono intorno a noi, hanno scoperchiato la cripta spaccando la lastra di marmo che la ricopriva e rovinato parte della canonica con scritte e devastazione. Come disse Albert Einstein: “Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, ma riguardo l’universo ho ancora dei dubbi“.



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POSTED ON 22 Nov 2020 IN
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Rosazza viene definito il borgo più misterioso d’Italia. E di sicuro non un paese come tutti gli altri. Per parlare di Rosazza è necessario iniziare a presentare Federico Rosazza, politico, filantropo, massone e mecenate; nella seconda metà dell’800 fu lui a trasformare il suo paese natio. Fu lui infatti a costruire il cimitero monumentale, la chiesa parrocchiale, l’attuale sede del Municipio, il castello neogotico, le fontane, gli abbeveratoi, le strade e le mulattiere. I suoi legami con la massoneria, la sua passione per l’esoterismo e l’alchimia, lo portarono a riempire il paese di simboli, molti dei quali nascosti, altri invece evidentissimi. Complice la giornata tetra e il cielo plumbeo, camminando per le vie di Rosazza ho davvero respirato un’aurea misteriosa, tutto quello che si osserva ricorda la numerologia, nulla è casuale, tutto è costruito in ottica massonica.
Queste foto non vogliono essere un reportage di viaggio, mi sono più concentrato sull’aspetto estetico/artistico, se mi perdonate l’arroganza: eppure l’idea dell’esoterismo trasuda anche da queste poche immagini. Non sono incline alle leggende popolari, e sono quanto di più razionale possa esistere, ma l’anima di Federico e la sua idea l’ho percepita eccome, anche a distanza di oltre 100 anni.




















Sono arrivato in macchina, prima dell’alba, alla ricerca di un pilone, perché qui viene ancora chiamato così. Ma in realtà il pilone dell’Olocco è stato sostituito alla fine dell’ottocento da una meravigliosa cappella. Ci si arriva per una strada decisamente impervia, asfaltata da poco, e quando si giunge alla meta il panorama merita davvero la strada. Non è distante da casa mia, circa 15 minuti, eppure prima ci ero stato, quasi per caso, solo una volta, a scattare foto di ritratto. Quando sono arrivato era ancora buio (e freddo), iniziava ad albeggiare ed intuivo che qualcosa di interessante sarebbe potuto nascere. Ho scelto due/tre posizioni che ho ritenuto adatte, ho settato la EOS R e ho iniziato a scattare alle prime luci. Poi sono partito per il giro delle borgate; ma questa è un’altra storia e la racconterò la prossima volta.


La cappella che ha sostituito il Pilone è stata costruita col concorso di tutti i lurisiani e di molti della Valle Pesio negli anni 1884-1885. Fuori della Chiesetta la natura regala una bella vista: un’anfiteatro tutto verde di prati e boschi, che oggi avanzano sempre più, alle spalle l’elegante profilo della Bisalta e davanti il fondovalle di Lurisia, Roccaforte, Villanova, Mondovì e, oltre, le Langhe. Fermarsi a fare una merenda è una tradizione. Un tempo per la festa, a metà agosto, arrivavano fin quassù i carretti con vino e gazzose, con pane, formaggio e salame; passavano dalla strada che sale dal Mortè, tenendosi su una cresta tra i boschi. Oggi c’è la strada asfaltata e si può arrivare con tutto il necessario, compreso fornelli, frigo e tende. Per scendere a valle si può scegliere la via sul versante opposto del torrente: si parte in piano, in mezzo al bosco, si beve ad una fresca sorgente pulita, si continua, fuori dal bosco, in un prato ripido; s’incontrano delle malghe da sempre usate in estate per l’alpeggio da gente della valle Pesio.
POSTED ON 15 Ott 2020 IN
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POSTED ON 26 Mar 2020 IN
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Ad inizio febbraio (prima della crisi) sono andato con il gruppo di GiroInFoto a fotografare lo straordinario cimitero monumentale di Torino. Ero molto curioso: l’anno scorso, quasi per caso, mi ero ritrovato nel monumentale di Milano ed ero rimasto piacevolmente sorpreso. Forse anche qualcosa di più. Sinceramente non pensavo che in un cimitero potesse nascondere così tanta meraviglia. Scusate l’ignoranza. E la “Città del Silenzio” è stata ugualmente affascinante: Gabriela Tesio, la guida che ci ha accompagnato durante la visita, è riuscita a portarci dentro all’anima del cimitero facendoci scoprire i segreti e le storie che si celano dietro le numerose cappelle, edicole, statue e sculture. Camminando negli ampi spazi di questo museo a cielo aperto si possono ammirare le opere di Tabacchi, Bistolfi, Calandra, Fumagalli, Rubino, Matroianni e si celebrano personaggi che hanno compiuto la storia del nostro paese: mi vengono in mente Francesco Cirio, Mario Soldati, Edmondo De Amicis, Renato Casalbore, Giovan Battista Pininfarina, Primo Levi, Giuseppe Barbaroux (la cui statua domina Piazza Galimberti a Cuneo), Massimo D’Azeglio, Silvio Pellico, Rita Levi Montalcini, Fred Buscaglione, Erminio Macario e, soprattutto, diversi giocatori del Grande Torino. Quando si entra e si cammina fra le arcate e portici del cimitero non si può che rimanere estasiati; purtroppo con le mie foto non credo di essere riuscito a rendere l’immensità e la bellezza di questo Monumentale: spero almeno di avervi lasciato la curiosità e la voglia di una visita.







Il cimitero monumentale di Torino – precedentemente conosciuto come cimitero generale – è il più grande cimitero della città di Torino, tra i primi in Italia per numero di defunti (oltre 400.000). Situato a Vanchiglietta (a nord-est rispetto al centro storico), è posto a ridosso del parco Colletta, poco a monte della confluenza della Dora Riparia nel Po. La parte antica del cimitero si sviluppa a partire dall’ingresso principale di corso Novara ed è di forma ottagonale. Essa contiene numerose tombe storiche e 12 km di porticati, arricchiti da sculture di pregio artistico, da cui il nome di “cimitero monumentale”. Nel corso degli anni vi sono stati successivi ampliamenti del corpo storico centrale in direzione del parco Colletta. Al cimitero è annesso un tempio crematorio edificato nel 1882, il secondo in Italia dopo quello di Milano (1876).



La costruzione del Monumentale fu deliberata nel 1827 dal consiglio dei decurioni, antenato del moderno consiglio comunale, in sostituzione del piccolo e vetusto cimitero di San Pietro in Vincoli. La proposta e il finanziamento dell’opera avvennero su impulso del filantropo Marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo, che nel 1828, con la donazione di 300.000 [Lira sabauda|lire sabaude]], ne permise l’acquisto del terreno e l’edificazione del primo nucleo. La prima pietra fu posata dall’allora sindaco di Torino Luigi Francesetti di Mezzenile. Il problema più rilevante da affrontare, fu l’infiltrazione d’acqua della vicina Dora Riparia, questione che fu risolta deviando il corso del fiume, e rettificandone il tracciato meandriforme, sebbene i lavori del progetto del 1889 furono eseguiti soltanto nel 1930.






