POSTED ON 3 Mar 2021 IN
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Per arrivare al santuario del Getsemani è necessario compiere una vera via crucis: un itinerario di meditazione lungo 700 metri di strada selciata, in salita, di granito rosa e grigio immerso nella vegetazione. Al termine di questo faticoso percorso di riflessione si arriva alla cappella dello Spirito Santo che sorprende per la forma e per il bellissimo affresco della facciata esterna.
Il santuario è stato edificato tra l’anno 1950 e l’anno 1954 ed è un edificio a navata unica e matroneo con cripta sotto il presbiterio. Il complesso è impreziosito dal ciclo di affreschi della Passione di Cristo, dipinti da Theodore Stravinsky, figlio del compositore e pittore di fama internazionale.
Il Santuario è chiuso e sigillato e non vi si può accedere; dietro si erge il maestoso corpo del convitto/albergo a forma di nave con refettorio, aule, biblioteca, camere, giardino interno, cucine attrezzate. Bellissimo e imponente, un’oasi di pace e meditazione.
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POSTED ON 22 Nov 2020 IN
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Rosazza viene definito il borgo più misterioso d’Italia. E di sicuro non un paese come tutti gli altri. Per parlare di Rosazza è necessario iniziare a presentare Federico Rosazza, politico, filantropo, massone e mecenate; nella seconda metà dell’800 fu lui a trasformare il suo paese natio. Fu lui infatti a costruire il cimitero monumentale, la chiesa parrocchiale, l’attuale sede del Municipio, il castello neogotico, le fontane, gli abbeveratoi, le strade e le mulattiere. I suoi legami con la massoneria, la sua passione per l’esoterismo e l’alchimia, lo portarono a riempire il paese di simboli, molti dei quali nascosti, altri invece evidentissimi. Complice la giornata tetra e il cielo plumbeo, camminando per le vie di Rosazza ho davvero respirato un’aurea misteriosa, tutto quello che si osserva ricorda la numerologia, nulla è casuale, tutto è costruito in ottica massonica.
Queste foto non vogliono essere un reportage di viaggio, mi sono più concentrato sull’aspetto estetico/artistico, se mi perdonate l’arroganza: eppure l’idea dell’esoterismo trasuda anche da queste poche immagini. Non sono incline alle leggende popolari, e sono quanto di più razionale possa esistere, ma l’anima di Federico e la sua idea l’ho percepita eccome, anche a distanza di oltre 100 anni.
Sono arrivato in macchina, prima dell’alba, alla ricerca di un pilone, perché qui viene ancora chiamato così. Ma in realtà il pilone dell’Olocco è stato sostituito alla fine dell’ottocento da una meravigliosa cappella. Ci si arriva per una strada decisamente impervia, asfaltata da poco, e quando si giunge alla meta il panorama merita davvero la strada. Non è distante da casa mia, circa 15 minuti, eppure prima ci ero stato, quasi per caso, solo una volta, a scattare foto di ritratto. Quando sono arrivato era ancora buio (e freddo), iniziava ad albeggiare ed intuivo che qualcosa di interessante sarebbe potuto nascere. Ho scelto due/tre posizioni che ho ritenuto adatte, ho settato la EOS R e ho iniziato a scattare alle prime luci. Poi sono partito per il giro delle borgate; ma questa è un’altra storia e la racconterò la prossima volta.
La cappella che ha sostituito il Pilone è stata costruita col concorso di tutti i lurisiani e di molti della Valle Pesio negli anni 1884-1885. Fuori della Chiesetta la natura regala una bella vista: un’anfiteatro tutto verde di prati e boschi, che oggi avanzano sempre più, alle spalle l’elegante profilo della Bisalta e davanti il fondovalle di Lurisia, Roccaforte, Villanova, Mondovì e, oltre, le Langhe. Fermarsi a fare una merenda è una tradizione. Un tempo per la festa, a metà agosto, arrivavano fin quassù i carretti con vino e gazzose, con pane, formaggio e salame; passavano dalla strada che sale dal Mortè, tenendosi su una cresta tra i boschi. Oggi c’è la strada asfaltata e si può arrivare con tutto il necessario, compreso fornelli, frigo e tende. Per scendere a valle si può scegliere la via sul versante opposto del torrente: si parte in piano, in mezzo al bosco, si beve ad una fresca sorgente pulita, si continua, fuori dal bosco, in un prato ripido; s’incontrano delle malghe da sempre usate in estate per l’alpeggio da gente della valle Pesio.
POSTED ON 15 Ott 2020 IN
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POSTED ON 26 Mar 2020 IN
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Ad inizio febbraio (prima della crisi) sono andato con il gruppo di GiroInFoto a fotografare lo straordinario cimitero monumentale di Torino. Ero molto curioso: l’anno scorso, quasi per caso, mi ero ritrovato nel monumentale di Milano ed ero rimasto piacevolmente sorpreso. Forse anche qualcosa di più. Sinceramente non pensavo che in un cimitero potesse nascondere così tanta meraviglia. Scusate l’ignoranza. E la “Città del Silenzio” è stata ugualmente affascinante: Gabriela Tesio, la guida che ci ha accompagnato durante la visita, è riuscita a portarci dentro all’anima del cimitero facendoci scoprire i segreti e le storie che si celano dietro le numerose cappelle, edicole, statue e sculture. Camminando negli ampi spazi di questo museo a cielo aperto si possono ammirare le opere di Tabacchi, Bistolfi, Calandra, Fumagalli, Rubino, Matroianni e si celebrano personaggi che hanno compiuto la storia del nostro paese: mi vengono in mente Francesco Cirio, Mario Soldati, Edmondo De Amicis, Renato Casalbore, Giovan Battista Pininfarina, Primo Levi, Giuseppe Barbaroux (la cui statua domina Piazza Galimberti a Cuneo), Massimo D’Azeglio, Silvio Pellico, Rita Levi Montalcini, Fred Buscaglione, Erminio Macario e, soprattutto, diversi giocatori del Grande Torino. Quando si entra e si cammina fra le arcate e portici del cimitero non si può che rimanere estasiati; purtroppo con le mie foto non credo di essere riuscito a rendere l’immensità e la bellezza di questo Monumentale: spero almeno di avervi lasciato la curiosità e la voglia di una visita.
Il cimitero monumentale di Torino – precedentemente conosciuto come cimitero generale – è il più grande cimitero della città di Torino, tra i primi in Italia per numero di defunti (oltre 400.000). Situato a Vanchiglietta (a nord-est rispetto al centro storico), è posto a ridosso del parco Colletta, poco a monte della confluenza della Dora Riparia nel Po. La parte antica del cimitero si sviluppa a partire dall’ingresso principale di corso Novara ed è di forma ottagonale. Essa contiene numerose tombe storiche e 12 km di porticati, arricchiti da sculture di pregio artistico, da cui il nome di “cimitero monumentale”. Nel corso degli anni vi sono stati successivi ampliamenti del corpo storico centrale in direzione del parco Colletta. Al cimitero è annesso un tempio crematorio edificato nel 1882, il secondo in Italia dopo quello di Milano (1876).
La costruzione del Monumentale fu deliberata nel 1827 dal consiglio dei decurioni, antenato del moderno consiglio comunale, in sostituzione del piccolo e vetusto cimitero di San Pietro in Vincoli. La proposta e il finanziamento dell’opera avvennero su impulso del filantropo Marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo, che nel 1828, con la donazione di 300.000 [Lira sabauda|lire sabaude]], ne permise l’acquisto del terreno e l’edificazione del primo nucleo. La prima pietra fu posata dall’allora sindaco di Torino Luigi Francesetti di Mezzenile. Il problema più rilevante da affrontare, fu l’infiltrazione d’acqua della vicina Dora Riparia, questione che fu risolta deviando il corso del fiume, e rettificandone il tracciato meandriforme, sebbene i lavori del progetto del 1889 furono eseguiti soltanto nel 1930.
POSTED ON 27 Feb 2020 IN
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Tutto ciò che si è fatto in Occidente durante tanti secoli si è fatto all’ombra gigantesca della croce.
– Paul Louis Couchoud
POSTED ON 29 Dic 2018 IN
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POSTED ON 3 Nov 2018 IN
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L’eremo di Lanzo è un vero e proprio gioiello dell’architettura barocca. Fu uno dei quattro eremi camaldolesi costruiti nel Seicento in Piemonte assieme a quelli di Torino, Busca e Cherasco, edifici in cui i monaci vivevano in celle in solitudine e preghiera. Nel 1836, dopo la soppressione dell’ordine dei camaldolesi, l’eremo venne affidato ai carmelitani scalzi che lo gestirono sino alla soppressione degli ordini religiosi. Venne convertito in sanatorio, prima per la cura dei reduci di guerra e quindi, infine, per i malati di tubercolosi. Venne chiuso definitivamente nel 2013 e oggi versa in uno stato di degrado davvero vergognoso. La strada che porta all’eremo è chiusa (si fa per dire) e completamente dissestata: la vegetazione si sta riprendendo i suoi spazi in uno scenario degno di Walking Dead. Gli accessi, nonostante i tentativi di chiusura, sono sfondati e chiunque può entrare nell’Eremo senza troppe difficoltà. Dentro non è rimasto più nulla di prezioso: gli archivi sono devastati, i muri cadono letteralmente a pezzi, le porte non esistono più. E’ un vero peccato che una risorsa di questo tipo sia diventata un problema. Ripartire dalla storia e dall’arte per permettere all’Eremo di rivivere è un dovere, non solo morale, dettato dalla nostra costituzione.
Articolo 9: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione”.
POSTED ON 5 Giu 2018 IN
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Qualche tempo fa ho assistito a una Lectio Magistralis di Giovanni Gastel: lui affermava che la fortuna di molti suoi lavori pubblicitari è stata quella di percepire si le indicazioni dei clienti, ma poi di svolgere il lavoro in modo del tutto personale, affidandosi alla sua fantasia; talvolta anche stravolgendo le idee del committente. Questa foto dovrebbe rappresentare uno dei temi della Photo Marathon cuneese: “Degustibus, questione di gusto”. Il riferimento è chiaro, si parla della fiera che il giorno della gara ha rallegrato il centro di Cuneo. Per non essere banale ho deciso di interpretare a modo mio il concetto e ho preferito associare il termine gusto alla religione: perché alla fine anche la religione è una questione di scelte, di preferenze e di tradizione. Sempre che non si decida di perdere le staffe e abbandonare la retta via.
That’s me in the corner
That’s me in the spotlight
Losing my religion
Trying to keep up with you
And I don’t know if I can do it
Oh no, I’ve said too much
I haven’t said enough
POSTED ON 20 Mar 2014 IN
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L’abluzione è un lavaggio rituale a scopo di purificazione spirituale. E’ tipico dell’Islam e si può dividere in vari tipologie: la forma più breve (che solitamente si compie fuori dalla moschea) è definita Wudù. Durante i giorni di Istanbul (gennaio 2014) ho cercato in tutti i modi di fotografare il rito dell’abluzione senza riuscire a trovare nulla di particolarmente interessante. All’ultimo respiro, proprio fuori dalla moschea Blu (la più conosciuta) mi sono trovato nella posizione adatta: alcuni uomini si stavano lavando i piedi e, nonostante ci fosse molta gente, sono riuscito ad avvicinarmi, chiedere ed ottenere il permesso con un cenno (ah, il linguaggio universale dei gesti), e scattare. E’ un’immagine che rappresenta perfettamente il rito del Wudù: isolati, incuranti, con la schiena rivolta al mondo. E’ davvero strano pensare che per loro sia la cosa più naturale, che sia un gesto semplice e quotidiano.
POSTED ON 24 Dic 2013 IN
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Come tradizione vuole il 24 dicembre (nella notte) pubblico una foto dedicata al Natale. Quest’anno festeggio la ricorrenza più importante con uno scatto dedicato al presepe luminario di Manarola (Cinque Terre). Non sono certo quello che può definirsi un credente (anzi) ma questa rappresentazione della natività è di certo la più innovativa che ho visto negli ultimi anni. Ho deciso di aprire il diaframma mettendo a fuoco sul bambino (utilizzando la massima apertura del 16-35) ed enfatizzare al massimo il nero per isolare nel modo più netto possibile il presepe. E il mio più sincero augurio per un bellissimo e felice Natale.