POSTED ON 19 Mar 2024 IN
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Del Dancing Paradiso ho sentito tante cose ultimamente e devo ammettere che io non ho nemmeno sfiorato quell’empatia e quella meraviglia che ho letto in quasi tutte le recensioni (perdonatemi il termine). Sono un animo insensibile. Per me il dancing è stato confusione, ecco, confusione è il termine che rende meglio l’idea: dal punto di vista fotografico quasi fastidioso, claustrofobico, un insieme di oggetti alla rinfusa, nel disordine, nel degrado e nel buio quasi totale. Certo, c’è un mondo dietro, la vita della signora Paola si intreccia e si divide fra questi ricordi, fra questi pezzi di vita; purtroppo non sento la voglia di memoria che ascolto da tante parti.
Entrare nel Dancing, con la sua enorme mole di ricordi, mi ha fatto tornare in mente una storia che trovai in rete qualche tempo fa: fra 100 anni saremo tutti morti e sepolti. Fra i nostri discendenti nessuno saprà chi eravamo e nessuno si ricorderà di noi. Tutte le nostre proprietà e le nostre cose saranno di sconosciuti, che non sono ancora nati. E tutto questo insieme di oggetti, prezioso per alcuni, per il resto del mondo è semplicemente confusione: non mi ha lasciato sensazioni positive, mi ha fatto pensare che il tempo scorre velocemente e che tutto quello che oggi conserviamo domani sparirà nel nulla. Anche il Dancing Paradiso, nonostante una storia gloriosa, è diventato un’inutile accozzaglia di oggetti, alcuni orrendamente kitsch, e il tempo riuscirà a cancellare anche questo angolo di mondo destinato a scomparire, scusate la citazione, come lacrime nella pioggia.
Ammetto di aver qualche sintomo di distacco dai sentimenti, ma non credo di essere un replicante come Roy Batty: eppure nonostante fra queste pareti si siano raccontate storie d’amore, di amicizia, di vita, di tempo passato insieme, nonostante ci sia un intreccio di emozioni forti (anche senza andare vicino alle porte di Tannhäuser), anche il Dancing Paradiso è giunto al termine vita. Peccato, ma anche no: qualche volta forse è meglio non guardare indietro.
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POSTED ON 20 Gen 2024 IN
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Il mondo urbex delle discoteche è in continuo fermento. La moda dei locali da ballo che imperversava negli ultimi decenni del secolo scorso è andata scemando e dopo qualche timido tentativo di rilancio la stragrande maggioranza delle fabbriche del divertimento notturno ha dovuto chiudere i battenti. Alcune sono autentiche ed enormi cattedrali nel deserto, senza alcun futuro. Fra le protagoniste indiscusse del periodo d’oro, sicuramente la Discoteca Mayerling di Castellar Guidobono in provincia di Alessandria (in questo caso non avrebbe senso nascondere il nome) si differenziava per una particolare caratteristica: la tigre. Adesso sembra assurdo, ma la discoteca prende il nome dalla Tigre Mayer, poco più di un gatto, come la definiva Giorgio Brichetti, storico ideatore e proprietario del locale.
Mayer, poco più di un gatto! Quando ho aperto il Mayerling qualcuno dei miei collaboratori ironizzava sul fatto che ci volesse un cane molto bello nel giardino del locale, dalla nobile immagine così come il nome della residenza Asburgica. Ma a me non sono mai piaciute le cose semplici così presi la tigre!
Il Mayerling apre al pubblico nel 1983 e, complice la Tigre, è subito un successo spaventoso: l’idea iniziale era di creare un locale per 500 persone, ma alla sera dell’inaugurazione si presentarono in 1500. Praticamente sempre aperta arrivò a contenere sino a 4000 giovani assetati di divertimento provenienti da Piemonte, Liguria, Lombardia ed Emilia. Per quasi 15 anni il successo del Mayerling fu inarrestabile e devo ammettere che leggendo i racconti di chi ha avuto l’onore di varcare quel portone d’ingresso (che oggi è entrato nel mito) rimpiango di non aver avuto il piacere di salutare la tigre Mayer (che è mancata nel 2006 a Salice Terme). Giorgio Brichetti vende nel 1996 e inizia il declino sino alla definitiva chiusura. Qualche tentativo di rilancio, ma ormai i tempi sono cambiati, le persone anche e purtroppo le due torri di ingresso che hanno segnato un’epoca per i giovani della zona sono destinare a rimanere nel silenzio e nell’abbandono. Il ruggito della tigre è un ricordo lontano.
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POSTED ON 22 Ott 2022 IN
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Quando sento nominare la mitica spada di Re Artù non posso fare a meno di pensare al leggendario SuperFantozzi, forse il più iconico dei film di Paolo Villaggio: Excalibur IMBECILLE! Ma torniamo sulla terra e lasciamo in pace il mito: l’Excalibur è il nome di una discoteca Toscana diventata luogo di migrazione giovanile di massa a metà degli anni 90. Fu costruita come un castello medioevale, tra le polemiche per il disboscamento selvaggio, su una superficie complessiva di 36mila metri quadrati e credo che all’epoca dovesse essere un sogno per qualsiasi giovane della zona (e non solo). Per due anni, venne inaugurata il 29 dicembre 1993, fece ballare e divertire il popolo della notte con ospiti di prestigio come Alba Parietti e Alain Delon. Purtroppo l’epopea dell’Excalibur durò il battito d’ali di una farfalla e dopo un paio d’anni arrivò il fallimento e la successiva chiusura. Il nome ritornò in auge nel 1999 quando venne acquistata da un gruppo di svizzeri facoltosi per 884 milioni di vecchie di lire.
Ma solo nel 2004, sotto la proprietà del santacrocese Mario Marianelli (suo, allora, anche il Concorde e il Don Carlos), si riparte. Tra sbandieratori e coreografie medievali, l’Excalibur torna ad accogliere dj, musicisti, letterina e più o meno vip. Anche questa seconda esperienza dura l’arco di un paio di anni, fino all’estate del 2005.
Poi un altro fallimento, le torce e fiaccole, simbolo della discoteca, si spengono nuovamente lasciando spazio all’abbandono e al degrado. Di quel sogno non rimane quasi più nulla: i simboli ci sono ancora, le sale da ballo si intravedono, ma la natura inizia a prendere il sopravvento. Oggi l’Excalibur è una delle fotografie più iconiche del mondo urbex italiano, un cartolina: una serie di poltrone sotto l’impronta di un lucernario. E per qualche secondo, di fronte alla lente di una fotocamera, ritorna il mito che non c’è più.
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POSTED ON 8 Feb 2022 IN
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Il NONSOLOMODA è uno dei tantissimi locali che hanno fatto la storia della vita notturna negli ultimi vent’anni del secolo scorso, ma che purtroppo adesso giacciono abbandonati e sono destinati a morire come scheletri vuoti; la stragrande maggioranza di loro in mezzo al nulla più assoluto. La cosa che trovo bizzarra è che queste discoteche vengano ricordate solo con l’ultimo nome, che generalmente è quello che ha portato al fallimento; nel caso del NONSOLOMODA rimarrà sempre, per tanti, ricordato con il nome di Milù. Non sono riuscito a trovare date certe, ma sicuramente il primo nome di questo locale fu Big Ben, per diventare Milù negli anni ’90. Alcuni ricordano anche il nome Belle Epoque, altri ancora Extralarge per via di una pista da balla lunga addirittura 60 metri. All’epoca era una discoteca all’avanguardia che attirava clienti da tutto il Piemonte (e non solo).
La struttura del Milù propone 3 distinte sale, l’area giardino ed un’area paninoteca. Di particolare fascino è la struttura estiva del club mentre all’interno si trova un ambiente curato fin nei minimi dettagli. La programmazione artistica della discoteca Milù propone tanti originali eventi. La programmazione musicale spazia tra house, house commerciale, dance e revival anni ’70, ’80 e ’90. Grazie alla sua versatile struttura la discoteca Milù può ospitare eventi come matrimoni, cresime e comunioni.
Con il suo nome più conosciuto il locale arrivò fra alti e bassi sino al 2010 quando la crisi iniziò a farsi sentire duramente (nel frattempo, nel 2005, il Milù era rimasto chiuso per 15 giorni durante le feste natalizie per una grossa rissa fuori dal locale) e questo portò ad un cambio di gestione e consequenzialmente di nome. Con la denominazione di Enphasy però i problemi non finirono, la crisi del settore colpiva duro in quel periodo, e nell’ottobre del 2012 ci fu un cambio radicale di immagine e struttura: il nome scelto per il rilancio in grande stile del locale fu NONSOLOMODA probabilmente in omaggio ad una delle trasmissioni televisive più longeve che proprio in quell’anno terminava il suo ciclo.
Il NONSOLOMODA chiuderà definitivamente i battenti verso la fine di Luglio 2014, le cause non sono chiare, c’è chi afferma che la selezione della clientela di questo locale fosse eccessivamente selettiva, ma ci sono voci contrastanti che dicono l’esatto contrario. C’è chi afferma che i motivi risiedano nel poco personale ed in una cattiva gestione dell’attività.
Oggi la discoteca è completamente vandalizzata, tante vetrate sono esplose, le pareti sono coperte di graffiti e della parte estiva non rimane quasi più nulla. Ci sono bicchieri impilati sul bancone del bar, cartoni di MOET un po’ ovunque e questo forse cristallizza alcuni dei motivi che hanno portato alla chiusura. Rimane però un’aurea affascinante che permette di comprendere, almeno in parte, l’atmosfera che si respirava nelle sale da ballo del NONSOLOMODA.
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POSTED ON 2 Gen 2022 IN
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Il Nuvolari Liberà Tribù, Nuvo come veniva definito dai giovani cuneesi, è stato contemporaneamente il mio primo, ultimo e unico locale di musica dal vivo a Cuneo; una mosca bianca nel desolante panorama cittadino. L’ho vissuto come una palestra di fotografia live, anche importante per certi versi, qui ho imparato sul serio (affermazione opinabile ovviamente) a fotografare il rock.
Era un club all’aperto decisamente vitale, che catalizzava tutta la musica della zona: le band emergenti passavano obbligatoriamente da questo semplice (e poco illuminato) palco.
Da tre anni ha chiuso i battenti, non senza polemiche. Ed è un vero peccato perché di fatto sancisce la fine della musica dal vivo a Cuneo e dintorni, non esistono altre possibilità. E vedere queste foto di abbandono e incuria mi reso triste e lasciato un groppo in gola. Non sono mai stato un cliente abituale, andavo solo quando potevo fotografare qualche concerto che ritenevo interessante. Ma ne sentirò la mancanza.
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POSTED ON 24 Nov 2021 IN
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La discoteca Heaven è stata una delle mete classiche della movida anni ’70 ’80 ’90 torinese. La struttura è di circa 1700 metri quadrati e si trova sul Colle della Maddalena (non è un segreto da salvaguardare) proprio vicino al Faro della Vittoria.
I locali sono ormai devastati, i muri pericolanti e la natura inizia a riprendersi i suoi spazi, l’esterno della discoteca è diventato una foresta di edera. Poche cose si sono salvate dall’incuria: la scritta Heaven è rimasta perfettamente intatta come volesse ricordare a tutti che questo una volta era il paradiso della vita notturna, nel bar fa bella mostra di sè una bottiglia di Disaronno che sembra pronto per essere servito ai clienti del locale.
Rispetto ad altre discoteche, che solitamente si trovano isolate lontano dalle città, qui la situazione è respirabile, tranquilla, quasi rilassante. Fuori dalle vetrate le persone incuranti salgono la scalinata che porta al Parco della Rimembranza e non si percepisce quella sensazione di pericolo tipica delle cattedrali della musica del secolo scorso. Quasi niente adrenalina, quasi un peccato.
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