L’ultimo fine settimana, ad Imperia, c’è stata un’importante mareggiata, una di quelle che capitano ogni 10 anni. Praticamente è scomparsa la spiaggia e gli stabilimenti balneari sono stati costretti a mettere in sicurezza le ultime attrezzature rimaste dall’estate. Mi trovavo in città e quindi ho deciso di fare due passi sul lungomare di Oneglia che dalla spianata arriva all’incompiuta. Il rumore del mare era fortissimo e le onde, decisamente alte, superavano le barriere arrivando, in alcuni casi, sulla strada. Purtroppo non sono riuscito a trovare una serie di immagini che potesse soddisfarmi e riuscisse a celebrare l’evento, anche perché nel pomeriggio di domenica il grosso della mareggiata era ormai un ricordo della notte. C’è solo questa foto che vorrei salvare, perché permette di comprendere la forza d’urto delle onde contro il celebre scoglio della Galeazza.
Sono giorni di tristezza, di lacrime, di malinconia, di rimpianti, di risate fuori tempo, di ringraziamenti. Anche di ricordi. Sono tornato indietro nel mio archivio e ho compiuto un salto a ritroso nel passato fra immagini, momenti, storie e amici. Il tempo scorre inesorabile: bambini che sono diventati adulti, adulti che sono diventati anziani e qualche ricordo dolce che porta altre lacrime oppure un sorriso amaro. Oggi, più che mai, ho la sensazione che il mondo mi scorra fra le mani in modo troppo veloce e ingiusto.
Ho scattato questa foto nel 2005, settembre inoltrato e l’estate che volge al termine, la partenza di una gara di pesca al bolentino: una delle grandi passioni di
mio padre. Mi ricordo le uscite con il
gozzo per andare in mare aperto, magari al mattino presto, oppure di notte, e non soffrivo il mal di mare all’epoca: mi piace dire
questione di abitudine. Facendo due rapidi calcoli lui era più giovane di me adesso e mi sembrava un
gigante, mentre io oggi, al confronto, mi sento un inutile lillipuziano. Domani si chiude un cerchio e si apre un portone, oppure una voragine: il futuro è da decifrare. Sicuramente nel cuore c’è una
ferita grande che farà tanta fatica a rimarginarsi. E quel tempo
che scorre inesorabile ci costringe a guardare avanti, ma non ci vieta di ricordare indietro. Che bello quel video in cui, con la tua voce, mi vietavi di registrare e sorridevi: ma per fortuna, quella volta,
non ti ho dato ascolto.
Quando ero ragazzo (tanto tanto tanto tanto tempo fa) collezionavo cartoline. Ne avevo tantissime, da tutto il mondo; sono passati anni, ma ricordo benissimo la prima, quella che aveva iniziato la passione: una cartolina di Piazza Dante di notte, perfettamente simmetrica, con la fontana e con l’ex palazzo comunale, quello che gli onegliesi chiamano ancora oggi Cremlino. Non c’era ancora quello strano prato verde circolare intorno alla fontana, dovrebbe essere un’innovazione -mai compresa- degli anni ’90. Questa immagine per me è quasi iconica (credo per tanti imperiesi) e qualche giorno fa, tornando da una visita lampo nella mia città natia, ho deciso di fermarmi e di portare a casa un’immagine ricordo di Piazza Dante. Ho studiato un po’ e ho scoperto tante cose della fontana che non sapevo e mi piacerebbe tornare a dedicarle qualche foto, qualche dettaglio. È una prossima idea da realizzare.
Questa foto è una riproduzione, credo abbastanza fedele. Fu scattata da mio nonno, nei caruggi di Rezzo, nei meravigliosi anni ’70. La vedo da tempo esposta (e malandata, ma d’altronde ha quasi 50 anni) in casa di mia zia e non so quante volte ho pensato: “Devo andarci”. Finalmente ho risolto e cancellato dalla lista delle cose da fare (è un elenco che non mi fa dormire). Il tempo non ha cambiato le cose: ho cercato la stessa posizione (almeno quanto mi ricordavo) e ho scattato direttamente in monocromatico, come nell’originale.
Avevo lasciato in sospeso il discorso sul Santuario di Rezzo, dedicato alla Madonna Bambina e a Nostra Signora del Santo Sepolcro. Mia nonna aveva una passione importante per questo luogo e lo ricordo soprattutto per le sue parole. Per arrivare al Santuario, che si trova sopra il paese, si percorre in macchina una piccola strada di campagna e quando si arriva davanti alla piazza antistante al porticato si rimane piacevolmente sorpresi dal colore bianco e dalla maestosità della costruzione. Una maestosità che non ci si aspetta e che sorprende. Il Santuario è da stato da poco ristrutturato grazie all’intervento del comune ed è semplicemente meraviglioso, un vero e proprio gioiello.
Voluto nel 1444 dai capi famiglia della comunità medievale come luogo di culto intitolato a Maria Bambina, il Santuario fu eretto nel corso del XV secolo da maestranze locali con probabili apporti provenzali e/o lombardi. Realizzato in stile romanico-gotico, fu consacrato nel 1492 dal Vescovo della Diocesi di Albenga. All’interno del Santuario della Madonna Bambina o della Natività di Maria di Rezzo si conserva un’intera parete di affreschi realizzata tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo da due artisti locali: un anonimo e Pietro Guido da Ranzo, conosciuto anche per altre importanti collaborazioni a Mendatica, Ranzo, Montegrazie.
L’interno è altrettanto bello e maestoso: sulla parete della navata di destra si possono ammirare due cicli di affreschi di stile tardo-gotico, mentre molto interessanti sono la cripta, con un notevole altare in legno, la statua del Maragliano e la bellissima scultura della Madonna col Bambino del grande artista genovese Filippo Parodi. Sono rimasto nel Santuario quasi un’ora, da solo, e ho sentito una sensazione di pace e calma che solitamente mi sfuggono. Purtroppo è poco pubblicizzato e fuori dalle grandi rotte turistiche della zona, ma merita davvero una visita anche solo per coglierne l’essenzialità e l’atmosfera. Il Santuario ha anche una particolarità quasi unica: è uno dei pochi esempi di luogo di culto non di proprietà della Curia. Venne costruito dagli antichi Rezzaschi che, resistendo alle ingerenze della Chiesa, decisero di lasciarne la proprietà al comune.
E’ passato un po’ di tempo dalla mia visita a Rezzo, ma voglio comunque ringraziare l’amico Giovanni Vianello –il RAS del Paese– che mi ha accolto a braccia aperte nonostante gli impegni famigliari (era l’ultimo dell’anno) e Barbara Saltarini che mi ha gentilmente permesso di visitare, totalmente in solitaria e con tutta calma, il Santuario. Grazie, grazie, grazie.