Ex Cantieri Navali Solimano

POSTED ON 22 Feb 2021 IN Reportage     TAGS: urbex, industrial

Ex Cantiere Navale /03

Nascosto da alcuni pannelli di lamiera ondulata, sul lungomare di Savona, a due passi dalla spiaggia e proprio vicino a Villa Zanelli, si trovano quelli che una volta erano i cantieri navali Solimano. La storia di abbandono e degrado è ormai decennale, ma forse è destinata a concludersi.
Nel 2009 vennero acquistati all’asta da Guido Porru, un facoltoso avvocato romano, per una cifra superiore ai 6 milioni di euro. A Guido Porru in realtà non interessava la speculazione edilizia, ma acquistò i cantieri semplicemente per entrare in possesso delle tre navi ancora ferme al suo interno: «sono le uniche in Italia ad avere una speciale licenza di pesca che oggi non viene più rilasciata e vale milioni». Appena realizzato il suo intento l’avvocato romano cedette l’intero complesso a Francesco Fresia, un costruttore di Loano: la sua idea era di sfruttare la bellissima zona per costruire case e alloggi sul mare.

Sono passati oltre dieci anni, ma la situazione non è cambiata molto.

Nel 2010 al suo interno venne ucciso a sprangate e coltellate un senzatetto rumeno, nel 2011 vennero allontani 30 barboni che vivevano nei capannoni, nel maggio 2015 la spiaggia antistante venne chiusa perché l’enorme carro ponte che sovrastava la struttura rischiava di cadere per il forte vento: per riuscire nello smantellamento furono impiegate tre gru e un piattaforma. Negli ultimi anni sembra, e dico sembra, che la proposta di Fresia, che prevede la costruzione di due palazzi di 14 piani con parco (già definito “Parco Solimano”), ristorante e parcheggio sotterraneo, possa essere presa in considerazione dal comune mediante una modifica del piano regolatore. Al momento gli ex cantieri navali Solimano sono abbandonati, sporchi, devastati: l’accesso dalla spiaggia è semplice e chiunque può entrare. Speriamo che la situazione possa sbloccarsi al più presto.

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Pettinatura Italiana S.p.A.

POSTED ON 9 Gen 2021 IN Reportage     TAGS: urbex, industrial

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Il 9 gennaio 2001 è un giorno drammatico per il paese di Vigliano Biellese. Un terribile incendio sviluppatosi nel reparto cardatura della Pettinatura Italiana (chiamata affettuosamente Pettina dagli abitanti della zona) portò alla morte di 3 operai e al ferimento di altri 6. È la più grave tragedia sul lavoro mai avvenuta in una fabbrica tessile biellese. E’ un duro colpo dal quale, complice la crisi del settore, la Pettinatura Italiana non riesce più a sollevarsi: nel 2008 viene messa in liquidazione e infine il 30 marzo 2012 viene dichiarata fallita. La società venne fondata a Londra il 10 aprile 1905 come Società Anonima Pettinatura Italiana Limited da Carlo Trossi e soci inglesi, con sede legale a Bradford e stabilimento a Vigliano Biellese per la pettinatura conto terzi delle lane. Lo stabilimento di Vigliano era già attivo dal 1882 creato sempre da Trossi insieme a Agostino Agostinetti, che nel 1905 uscì dalla società. Durante la prima guerra mondiale, nel 1916, agli inglesi subentrò la famiglia Rivetti (Lanificio Rivetti) e la società trasferì definitivamente la sua sede in Italia.

Pettinatura Italiana significa per Vigliano anche “Villaggio Trossi e Rivetti”, costruito nel 1920, con le case per gli operai in stile bifamiliare, la chiesa di San Giuseppe Operaio, il convitto femminile, due lavatoi pubblici, forno, macello e il cine teatro Erios (Ermanno Rivetti Opere Sociali) con l’ Alpi (Associazione Lavoratori Pettinatura Italiana) centro di aggregazione e ricreazione.

Io credo che lo scopo più alto e importante della fotografia urbex sia quello di ricordare, di memorizzare, di impedire che la memoria venga dispersa. Molti sostengono che la mia sia una visione utopista, possibile, probabile, è quasi sempre così, una splendida utopia. Ma in alcuni casi è fondamentale tenere a mente il nostro passato per ragionare sul futuro. Il 9 gennaio 2001 si è consumata una tragedia per tante persone e non è giusto che venga dimenticata; come sempre si parla di recupero, il termine preferito dalla politica è polo culturale: studiando la storia e l’evoluzione di questi giganti destinati a morire è un qualcosa di molto comune, di già sentito. Gli anni passano, la memoria diventa labile, il tempo completa l’opera di chi permette l’abbandono nel nome del dio denaro (perché sempre di quello parliamo). La Pettina giace morente nel tessuto urbano di Vigliano Biellese, e dalle foto credo che si comprenda benissimo la situazione: oggi sono 20 anni dalla tragedia che ha cambiato per sempre la vita del paese. Non dimentichiamolo.

I locali della Pettinatura Italiana S.p.A. sono chiusi, l’accesso al sito produttivo è del tutto vietato e non deve essere nemmeno ipotizzato. Entrare negli stessi locali integra condotta illecita, ponendo -per converso- in grave pericolo eventuali agenti, essendo i locali del tutto insicuri e con presenza di plurime insidie pericolose.

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La fabbrica dei detersivi

POSTED ON 2 Nov 2020 IN Reportage     TAGS: urbex, industrial

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La Mira Lanza è stata una delle aziende italiane più famose: questo perché negli anni d’oro del Carosello fu protagonista di numerosi spot pubblicitari con personaggi diventati icone come Calimero e la bella olandesina. Ava come lava, con la voce del piccolo pulcino nero, ancora oggi è uno degli slogan più conosciuti nel nostro paese. La storia di questa azienda attraversa quasi 100 anni della vita italiana, inizia nel 1924 quando due antiche aziende, la veneziana Fabbrica di candele di Mira, produttrice di candele, e la torinese Reale Manifattura di saponi e candele steariche fratelli Lanza, produttrice di saponi, si fondono insieme, dando così vita alla Mira Lanza società anonima. La fabbrica conta ben 5 grossi stabilimenti sparsi per l’Italia, sopravvive alla seconda guerra mondiale nonostante il ridotto consumo dei suoi prodotti, nel 1948 nella fabbrica di Mira sono costruite le prime unità di solfonazione e le prime 2 torri di spruzzature, con le quali veniva realizzato il primo detersivo in polvere della Mira Lanza, noto come MIRAL e nel 1953 viene lanciato sul mercato AVA con la sua formula al perborato stabilizzato che rendeva il pulcino Calimero così pulito. Nel 1984, dopo varie vicissitudini, la Mira Lanza viene ceduta alla ditta chimica Montedison e inizia il declino che, tra speculazioni finanziarie e meccanismi che portano alle smembramento delle fabbriche del gruppo, si concluderà nel 2001 con la chiusura di tutti gli stabilimenti e la sparizione del marchio. Lo stabilimento che ho visitato e, ovviamente, fotografato, è quello di Genova: copre una vasta area di circa 20.000 metri quadrati in una delle zone industriali e periferiche della città. Come sempre in questi casi si parla di recupero, ma al momento tutto rimane nel vuoto e nel silenzio delle varie amministrazioni comunali. Calimero non sarebbe contento.

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Starry Industrial

POSTED ON 2 Gen 2020 IN City & Architecture     TAGS: industrial, nocturne, longexposure, 50ne

Starry Industrial

Ero ormai rassegnato all’idea di non scattare nulla il primo giorno dell’anno. E invece, colpo di scena, sono riuscito: da qualche giorno avevo notato il bellissimo e particolare albero di Natale creato dalla AGC (Asahi Glass Company) intorno alla enorme ciminiera che domina lo stabilimento alla periferia di Cuneo e, di rientro da una cena in centro, ho deciso di fermarmi. Ho provato con il grandangolo, ma risultava troppo dispersivo, di conseguenza ho montato il mitico RF 50 F/1.2 che su EOS R risulta sempre particolarmente nitido. Tanti secondi di esposizione, due foto, un po’ di barbatrucchi fotografici, qualche minuto di lavoro in post-produzione et voilà: in extremis la prima vera foto del ventiventi.

Ex cotonificio Losa

POSTED ON 19 Giu 2019 IN Reportage     TAGS: URBEX, industrial

Ex Cotonificio Losa #01

L’Ex Cotonificio Losa di Robassomero (non credo che imparerò mai a pronunciarlo), in provincia di Torino, è chiuso da quasi 30 anni. In rete non si trovano molte notizie, sicuramente fu aperto da Giovanni Losa all’inizio del secolo scorso e chiuse nel 1990. Non credo che le parole, soprattutto le mie, possano rendere giustizia allo spettacolo di abbandono più della fotografia.

Ogni capannone riserva una sorpresa: tantissime macchine da cucire ancora in buone condizioni, ovviamente Singer, stoffe, enormi macchinari, luci, colori, uffici, un laboratorio medico, archivi: il tutto in grave e avanzato stato di decomposizione.

Purtroppo non ho avuto molto tempo per fotografare (comunque sono 35 immagini) e mi sono limitato ad una visita veloce, peccato perchè il gioco di luci e ombre meritava uno studio più approfondito. Nel 2013 il giudice di Torino ha disposto il sequestro della zona per pericolo inquinamento: teoricamente dovrebbe essere iniziata, da tempo, la bonifica della zona a spese delle proprietà. Teoricamente.

Nell’ex cotonificio di Robassomero sono ancora stoccati 300 metri cubi di olii minerali, fusti, macchinari abbandonati e altri materiali potenzialmente pericolosi, nonostante tutta l’area sia ormai chiusa da più di vent’anni.

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Singer

POSTED ON 17 Giu 2019 IN Reportage     TAGS: urbex, industrial

Singer

Singer significa cantante. E in effetti le macchine da cucire inventate nel 1851 da Isaac Merrit Singer davano proprio l’idea di cantare.

La fabbrica dei colori e del cancro

POSTED ON 2 Apr 2019 IN Reportage     TAGS: urbex, industrial

Ex IPCA #01

L’IPCA (acronimo di: Industria Piemontese dei Colori di Anilina) venne fondata a Ciriè, in provincia di Torino, nel 1922 dai fratelli Sereno e Alfredo Ghisotti, sopra quello che rimaneva d’un vecchio complesso industriale dell’800, dedito alla produzione di fiammiferi. (fonte AlbyPhoto) Questa fabbrica passerà alla storia come “La Fabbrica del Cancro“. Nel 1922 non esisteva ancora il concetto di sicurezza sul lavoro, così come le norme ambientali non erano nemmeno lontanamente concepibili. La fabbrica produceva pigmenti a base di ammine aromatiche, potenti cancerogeni vescicali, la cui pericolosità era stata descritta fin dal 1895 dal chirurgo tedesco Ludwig Rehn.

Nel 1956 la Camera del Lavoro di Torino descriveva la fabbrica in questo modo: “L’ambiente è altamente nocivo, i reparti di lavorazione sono in pessime condizioni e rendono estremamente gravose le condizione stesse del lavoro. I lavoratori vengono trasformati in autentiche maschere irriconoscibili. Sui loro volti si posa una pasta multicolore, vischiosa, con colori nauseabondi e, a lungo andare, la stessa epidermide assume disgustose colorazioni dove si aggiungono irritazioni esterne”.

Nel 1968 due operai, Benito Franza e Albino Stella, si licenziarono ed iniziarono ad indagare per conto proprio. Per qualche anno girarono tutti i cimiteri della zona, annotando i nomi dei compagni morti. Ne trovarono 134, e decisero che erano abbastanza. Dovevano sbrigarsi a fare denuncia: anche loro erano dei pissabrut, dei pisciarosso, come venivano chiamati i condannati dell’IPCA. La loro inchiesta fu alla base dell’apertura del processo, che riguardò 37 casi di morte avvenuta e 27 di grave malattia in corso. Tutti gli altri omicidi erano andati in prescrizione, o amnistiati. Il processo terminerà nel 1977 con una condanna a 6 anni di carcere per omicidio colposo ai titolari e dirigenti dell’azienda. Ulteriori indagini accertarono che le vittime tra gli ex dipendenti furono ben 168. In seguito alla condanna l’IPCA chiuse i battenti nell’agosto del 1982, lasciando in eredità solo inquinamento e morte. Per 650 milioni di Lire il sito venne acquistato dal comune di Ciriè, nel novembre 1996 con un finanziamento di circa 6 miliardi del Ministero dell’Interno vennero eliminati 5677 fusti (solventi, diluenti, residui di verniciatura, coloranti e reagenti), 4.660.220 kg di liquami tossici e bonificati 50 serbatoi e 13 vasche di decantazione. La bonifica terminò con pieno successo il 31 agosto 1998. Oggi la zona è completamente sicura e priva di agenti chimici pericolosi.

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“Me ne sono andato dall’IPCA senza rendermi conto che il mio destino era segnato. I primi disturbi si verificarono nel novembre del 1966, con forti dolori addominali e fitte al basso ventre. La mia situazione attuale è la seguente: ho moglie e due figli. Non posso più fumare e bere, ho sempre dolori e devo restare sempre in cura. Anche questo però mi servirà a poco perché prima o poi morirò anch’io di cancro. Ma almeno so di che cosa morirò, e non come tanti altri compagni, morti di cancro, e che risultano essere morti di collasso cardiaco o polmonite“.
“Sulle mie lenzuola e sul cuscino conservo ancora l’impronta del corpo di mio marito. Infatti, pur lavandosi e facendosi il bagno prima di coricarsi, la notte tutti quei colori che aveva in corpo uscivano, trapassavano il pigiama e le lenzuola rimanevano impregnate… Dormendogli accanto, sentivo un forte odore acido emanato dal suo respiro…”

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ACSA – Ex acciaierie Carrù

POSTED ON 9 Giu 2018 IN Reportage     TAGS: urbex, industrial

ACSA #01

L’ACSA è una vecchia acciaieria in stato avanzato di abbandono. Si trova sulla fondovalle, a Carrù. E’ lasciata al suo degrado da quando, verso la fine del secolo scorso, venne chiusa dalla Guardia Forestale di Brescia per il reato di “lavorazione di rifiuti speciali”. Le indagini non portarono a nulla e il fabbricato venne dissequestrato nel 2004. Recentemente la procura di Brescia ha comunicato di aver tolto i sigilli ai materiali depositati nel sito, ma la situazione è diventata ingestibile. Per fotografare ho usato una mascherina per proteggere le vie respiratorie, probabilmente non mi sarà servita a nulla ma la quantità di polvere di materiali ferrosi all’interno è incredibile, e genera un po’ di preoccupazione: respirare è difficile; ho scattato quasi 100 foto (con tre obbiettivi diversi) in tempi record. La domanda nel 2018 è: chi deve smantellare? Una storia di indagini, degrado e ingiustizie all’italiana, una delle tante.

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Molino di Borgo San Dalmazzo

POSTED ON 13 Apr 2018 IN Reportage     TAGS: industrial

Molino di Borgo San Dalmazzo #01

Devo ammettere che ho un debole per la fotografia industriale: il lavoro, i grandi spazi, i capannoni, le strutture, i macchinari. E quando mi chiedono di fotografare un certo tipo di realtà non esito e mi lancio a capofitto nell’impresa. Che poi non è facile, perché la banalità è dietro l’angolo (e io sono maestro del settore) e il rischio di finire nella noia fotografica e nella ripetizione è davvero altissimo. E quando è arrivata la possibilità di fotografare il Molino di Borgo San Dalmazzo, una delle realtà imprenditoriali più interessanti e dinamiche della zona, ho pensato a lungo come affrontare l’argomento; la mia idea era di immortalare la ripetitività delle confezioni e giocare con la simmetria: e appena ho visto i bancali con le scatole sottovuoto perfettamente impilate non ho potuto credere ai miei occhi. Perfette, forse troppo facile. Poi c’era il discorso di rappresentare l’azienda, il lavoro che si svolge al suo interno tutti i giorni: e quello è stato più difficile anche per i limiti imposti dalla mia concezione personale di privacy (ma nel caso la disponibilità di personale e direzione è stata massima). Credo che alla fine sia uscito un reportage interessante che coglie in modo corretto, anche se un po’ troppo asettico, l’anima del Molino di Borgo San Dalmazzo; in cambio delle foto ho ottenuto ad un prezzo vantaggioso (forse anche qualcosa di più di vantaggioso) una quantità interessante di prodotti e non è detto che nel prossimo futuro mi possa dedicare alla fotografia food (non è vero, sto scherzando, non rientra nelle mie cordeRO).

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Chi è di Cuneo conosce da anni la polenta del Molino di Borgo San Dalmazzo, ma chissà se si è mai chiesto cosa c’è dietro a quel pacchetto giallo perfettamente squadrato e sottovuoto? Io l’ho scoperto durante una visita in Azienda, alla nuova sede. La struttura è recente ed entrando si notano immediatamente ordine, pulizia e cura per l’igiene. Uno dei tratti distintivi dei vari prodotti Molino di BSD è proprio il confezionamento sottovuoto, che preserva inalterate le caratteristiche organolettiche dei prodotti alimentari e le mantiene tempo, senza dover ricorrere ai conservanti. Le materie prime vengono selezionate in base alla loro approvata qualità che, per scelta aziendale, deve essere al top, in modo da rispettare le rigidissime norme previste dalla certificazione Kosher. Sia che provengano dal Piemonte, sia che partano dall’Argentina, cereali e legumi arrivano tutti in azienda nelle _big bag_ ovvero in appositi sacchi che andranno posizionati in testa all’impianto di confezionamento.Gli operatori tarano i computer e quando il macchinario parte, il giusto peso di cereali o legumi o farine scende nell’involucro di plastica alimentare e attraverso una pressa ad alta temperatura, viene chiuso prima sul fondo, poi dopo una scrollata di assestamento, il pacchetto passa sotto a una campana che, aspirando l’aria dal pacchetto, crea il sottovuoto. Si procede quindi con la chiusura a caldo del pacchetto. Dopodiché, transitando su rulli, le confezioni attraversano un metaldetector calibrato in modo da percepire eventuali minime quantità di residui ferrosi che si trovano in natura; se vengono individuate, allora si procede con lo scarto dell’intero pacchetto. Segue la fase dell’etichettatura, talvolta personalizzata e realizzata manualmente dalle operatrici. A questo punto il prodotto è pronto per essere messo sul mercato. Vi consiglio di fare un giretto al nuovo negozio di Via Don Manzoni e di provare oltre alle storiche farine per tutti gusti, anche la linea di zuppe cereali e legumi e il risotto ai porcini! (Michela Agnese)

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The Glass Power

POSTED ON 30 Gen 2018 IN Landscape     TAGS: industrial, nocturne, longexposure, tripod

The Glass Power

Da qualche giorno mi capita di passare, poco dopo le 7 di sera, davanti alla AGC (Asahi Glass Company) di Cuneo. E rimango sempre affascinato dalla bellissima ciminiera (degustibus) bianca e rossa che domina la struttura. E finalmente ieri mi sono fermato per scattare qualche foto; conosco molto fotografi di natura, che si inerpicano in montagna alle 4 del mattino per cogliere la bellissima luce dell’alba sulle montagne del cuneese. Io invece ho una passione sfrenata per le foto industriali. Da sempre. E poi la notturna ha un fascino al quale non riesco a rimanere indifferente. Mi sono sistemato con il treppiede lungo la ferrovia dismessa che costeggia il fabbricato: una decina di scatti per capire quale fosse l’impostazione migliore (che poi è quasi sempre la prima). In realtà ho scoperto (almeno credo) che questa interessante ciminiera è un’aggiunta recente, infatti il 3 novembre 2017 è stato inaugurato il nuovo forno da 20 milioni di euro. Ecco scoperto perché prima non l’avessi mai notata.

Il sito produttivo AGC di Cuneo ha iniziato l’attività nel 1963, si sviluppa su oltre 360.000 m2 e impiega circa 220 dipendenti, cui si sommano le importanti risorse costituite dall’indotto (intorno ai 1.000 addetti). E’ uno dei più importanti plant integrati del Gruppo ed è strutturato in modo tale da soddisfare i bisogni del mercato italiano e di quelli d’oltremare. Una linea float che produce vetro piano in spessori da 3 a 25 millimetri ed è in grado di fornire un’ampia gamma prodotti, tra cui il rinomato “Planibel Linea Azzurra”. Quest’ultimo, realizzato esclusivamente nel sito cuneese, è un vetro float unico nel suo genere, di forte spessore, dall’aspetto lievemente azzurrato, riconosciuto per le sue inconfondibili caratteristiche di estrema lavorabilità. “Planibel Linea Azzurra”, a partire dalla nuova campagna di produzione, rinnoverà le proprie caratteristiche migliorandone la neutralità e le performance. Nel sito di Cuneo, inoltre, operano altre 4 linee di trasformazione ad alta tecnologia: una linea per vetri argentati (specchi), una per vetri satinati, un impianto per vetri stratificati di sicurezza ed un coater magnetronico, nel quale vengono realizzati in esclusiva i vetri a controllo solare SMART ed il vetro antiriflesso Clearsight, che è stato utilizzato per proteggere le tele del Botticelli presso il Museo degli Uffizi di Firenze.

Ex Ceramica Musso

POSTED ON 3 Nov 2017 IN Reportage     TAGS: URBEX, industrial

Ex Ceramica Musso #01

La ‘Ceramica Musso‘ è una delle aziende storiche del passato ceramico monregalese: nel secondo dopoguerra si è trasformata in Optilux e quindi ancora in Hellerval per poi chiudere definitivamente; non saprei dire l’anno, ma ho visto fatture (ovviamente sparse ovunque) datate 1971. In rete non si trova molto e quindi diventa difficile riuscire a fornire indicazioni attendibili e date precise; non sono riuscito nemmeno a capire cosa venisse prodotto negli ultimi anni di vita sotto il nome di Hellerval, anche se si trovano strane lenti (tipo da occhiali) ammassate in tutti gli angoli dello stabile. L’edificio è situato in una zona residenziale, ma non troppo, di Villanova Mondovì ed è abbandonato da talmente tanti anni che gli abitanti del posto non ci fanno quasi più caso. Dentro è enorme, ho perso il conto delle stanze e dei padiglioni: ho trovato animali selvatici, un motocarro di chissà quale anno, lo scheletro di una moto, una carriola distrutta, apparecchiature di vario tipo (la maggior parte delle quali assurde), una telescrivente (almeno mi sembrava), un paio di bilance e montagne di libri contabili. L’aspetto è decisamente decadente, si ha l’impressione che il tutto possa crollare da un momento all’altro. Quello che si respira però non è la solita aria di abbandono e di distruzione: qui c’è, in confronto ad altri posti simili, un sensazione di rispetto, di rispetto per la storia. Perché se questi muri potessero parlare racconterebbero di quasi 200 anni di fatica, di lavoro, di guerra; perché la Ceramica Musso, essendo nata nel 1851, è riuscita a sopravvivere a due guerre mondiali. E non è roba da tutti.

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Annibale Musso, nipote di Benedetto, nel 1851 fondò una fabbrica di terraglia a Villanova, regione Giardini – Pradonio, con la quale raggiunse presto un buon volume produttivo. Il figlio Felice nel 1877 affiancò alla tradizionale “Vecchia Mondovì”, una produzione artistica più elevata. Fernando Musso ereditò dal padre nel 1921 la fabbrica, che nella crisi degli anni Trenta ebbe un’attività saltuaria, fino alla sua chiusura allo scoppio della seconda guerra mondiale. Nel dopoguerra l’attività riprese con un certo vigore. Mario Musso ereditò l’impianto nel 1951, ma la fabbrica vide ridursi sempre più il volume delle vendite. Nel 1964 cambiò la sua ragione sociale e sostituì la fabbricazione di terraglia con quella di supporti per resistenze elettriche.

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Chi cerca oggi testimonianze visibili del passato ceramico monregalese deve portarsi a Mondovì Carassone, dove lo attendono i resti poderosi ed affascinanti della Richard-Ginori e quelli della Ceramica “La Vittoria”, oppure a Villanova, dove la fabbrica Musso conserva ancora i tratti dell’antico filatoio in cui trovò sede, a metà Ottocento. Gli altri impianti sono stati tutti abbattuti o radicalmente trasformati in modo da risultare non più leggibili.

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Ex OSI-GHIA

POSTED ON 6 Apr 2016 IN Reportage     TAGS: URBEX, industrial

Ex Osi-Ghia #01

Quando sabato scorso sono arrivato nella sede della Toolbox Coworking (dove si celebrava il WordCamp) ho subito capito che la zona era molto particolare: tutto intorno era un insieme di magazzini abbandonati, vetrate rotte, porte arrugginite, graffiti. Uno scenario tipico dell’abbandono. Ho perlustrato un po’ la situazione e ho notato che il capannone più grosso aveva la porta spalancata. Tentazione fortissima. Ho resistito e sono tornato a seguire il WordCamp. Ho chiesto qualche informazione, ma non sono riuscito ad ottenere molto: mi hanno parlato di una retata della polizia di qualche giorno prima ma niente di più. Più tardi ho scoperto che si trattava dell’ex OSI-GHIA, un’area industriale di 52mila metri quadri utilizzata, a partire dagli anni ’50, prima dalla Carrozzeria Ghia e successivamente dagli stabilimenti della OSI – Officine Stampaggi Industriali. » Read the rest of this entry «

Ex Italcementi

POSTED ON 23 Feb 2016 IN Reportage     TAGS: urbex, industrial

Ex-Italcementi #01

Ad Imperia esiste da sempre. Almeno da quando io posso ricordare. È la fabbrica Ex Italcementi come tutti la chiamano qui. Ci ho abitato molto vicino per 15 anni ed era un luogo proibito: per noi bambini era il male assoluto, non potevamo nemmeno avvicinarci. E’ stata chiusa ad inizio anni ’70, dopo un periodo a scartamento ridotto. In rete non ho trovato molte notizie, il vuoto assoluto. Sono anni che si parla di una riqualificazione ma ovviamente mancano sempre i fondi (per le cose importanti quelli mancano sempre) e rinvio dopo rinvio sono passati quasi 10 lustri. Domenica ho deciso di farci un giro. La mia curiosità UrbeX ha preso il sopravvento.

Ex-Italcementi #02Ex-Italcementi #14

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Ciminiere

POSTED ON 15 Ott 2013 IN City & Architecture     TAGS: industrial, clouds, sky

Ciminiere by Samuele Silva on 500px.com

Dal punto di vista fotografico nulla di interessante, ma per il sottoscritto questa foto significa molto. Sono le ciminiere delle Ferriere e qui, una volta, sorgeva lo stabilimento dell’ILVA. Sono probabilmente l’ultimo reperto storico di una certa attività industriale ad Imperia e sorgono in una zona abbandonata, una discarica a cielo aperto, circondate da erbacce, sporcizia e asfalto. Eppure per gli Onegliesi sono importanti, fondamentali oserei dire, fanno parte del patrimonio artistico/paesaggistico e rappresentano il retaggio storico di una città che cerca faticosamente di trovare una nuova dimensione turistica. Qui ho fatto il mio primo vero reportage fotografico. Sono passati tantissimi anni, quasi venti, e con la mia prima reflex a pellicola (Canon EOS 30) scelsi proprio le ciminiere delle Ferriere per cimentarmi con quella che sarebbe diventata qualcosa di più di una passione; scattai un rullino da 36 pose e la mia foto preferita (ne scelsi solo 3, come da regola) era molto simile a questa. Sono voluto ritornare dopo anni sul luogo del delitto per riproporre la stessa identica brutta foto (o quasi). Sono davvero perverso.

Silos

POSTED ON 1 Gen 2013 IN Details     TAGS: below, industrial

Silos

Come tradizione impone ecco la prima foto dell’anno nuovo scattata proprio il primo gennaio. E invece no. Ho scattato questa foto il giorno di Santo Stefano e, visto che per motivi di salute molto antipatici mi sono visto costretto a saltare le esagerate celebrazioni del capodanno e a rimanere chiuso in casa per tre giorni, sono contento di poterla pubblicare per festeggiare l’arrivo del 2013. E’ un silos dell’Agnesi, ad Imperia, un po’ nascosto proprio in prossimità di un parcheggio molto frequentato. Sono sceso dalla macchina e mentre mi guardavo intorno (ormai un’abitudine) ho notato la possibilità di una foto di tipo industriale. Ho dovuto aggiungere un tocco di colore e un po’ di contrasto e trovo il risultato finale abbastanza accattivante per farlo diventare il primo scatto dell’anno. Auguri.

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