POSTED ON 13 Nov 2023 IN
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Questa Villa è quella che solitamente viene definita una capsula del tempo, cioè un spazio chiuso che si è fermato, come congelato, ed è rimasto immutato nella sua epoca. Ci sono sensazioni che si colgono insieme all’essenza di un luogo e che diventano parte integrante della fotografia; e fra queste pareti ho respirato un senso di tranquillità e di pace che ho poi riscontrato anche nelle immagini. Probabilmente perché sono riuscito a fotografare con calma, con tutta la lentezza del mondo: non ho percepito ansia, non ho sentito quel fiato sul collo e quell’adrenalina che sono tipiche di questo tipo di esplorazioni. Mi sono tolto anche il lusso di fotografare con 3 obbiettivi e 2 corpi macchina diversi per cogliere tutte le sfumature di questa dimora abbandonata.
Viene definita Villa dell’Aquila per via del pennuto nero (non sono nemmeno sicuro sia davvero un’aquila), dipinto sul soffitto del salone, che porta fra gli artigli un vessillo. Ed è davvero una capsula del tempo perché qui si possono trovare una serie di oggetti che ricordano il secolo scorso: una lucidatrice, due macchine da cucire, un calciobalilla, una radio a transistor, tre televisori a tubo catodico, una bottiglia di amaro Petrus e le immancabili pagine gialle.
Ho parlato di cogliere tutte le sfumature e in questa esplorazione non mi sono tirato indietro: ho scelto 56 foto, tantissimi particolari, soprattutto i lampadari che sono un mio piccolo vezzo. Ma anche una pianta in controluce e due immagini con il dettaglio (a tutta apertura) dei peluche nel corridoio di entrata. Per una volta sono riuscito anche a trovare la stanza nascosta che solitamente ho la meravigliosa capacità di perdere. E poi c’era anche la famosa e confusa Stanza dei Rabadan, ma quella l’ho trovata troppo complicata e le ho dato solo una rapida occhiata.
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POSTED ON 11 Nov 2023 IN
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Scrivere della Villa del Pittore, nome di fantasia, è qualcosa di estremamente complicato e delicato. Perché questa bellissima dimora, che in origine nasce come castello, affonda le sue radici addirittura nel 1200 e fu trasformata in Villa Rinascimentale da Camillo Tadini, verosimilmente nella seconda metà del ‘500. Nel 1829 passò in eredità ai conti Vimercati Sanseverino che ne fecero una casa di villeggiatura chiamandola Serafina, nel 1909 fu venduta ai fratelli Pasquini che la mantennero in ottimo stato fino alla morte di Angelo nel 1950. Seguì un periodo di degrado fino a quanto la villa venne in possesso del celebre pittore Ugo Stringa che la chiamò Augusta in onore della moglie e la riportò ai fasti di un tempo.
La villa è una costruzione che mescola elementi castellano con lo stile rinascimentale, sobria, imponente ma elegante, costituita da due corpi massicci su basamento a scarpa e con una torre medievale alta circa trenta metri con giro di merli ghibellini.
Ci sarebbero tantissime storie da raccontare su questa villa incantevole, alcune risalgono alla notte dei tempi, altre -decisamente più tragiche– hanno portato all’abbandono probabilmente definitivo. E allora preferisco raccontarVi quella più delicata, quasi una poesia, perché di questo luogo magico la poesia è elemento fondamentale. Nel paese si raccontava, da sempre, che all’interno della Villa vivesse un fantasma di nome Helmut. Helmut non era un fantasma cattivo, di quelli che spaventano i bambini, era un fantasma buono tanto da diventare il compagno di giochi dell’ultima bambina che, fra quadri ed opere d’arte, ha vissuto tra queste pareti. Helmut era il suo amico immaginario, un amico buono e felice, che probabilmente le ha ispirato le storie che, da grande, ha raccontato ai bambini più piccoli. Purtroppo Helmut non è riuscito ad impedire la tragedia che ha portato alla chiusura della villa e da quel giorno è rimasto da solo a vagare nelle stanze di questa meravigliosa dimora.
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POSTED ON 8 Nov 2023 IN
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Viene definita la Villa sulla Cascata perché, ovviamente, si trova vicino ad una piccola cascata, presumo artificiale. Potrebbe sembrare normale, ma in realtà non credo possa definirsi tale. Perché la cosa che ho trovato davvero sorprendente, ma potrei dire anche assurda, è il rumore: costante, continuo, fastidioso, fortissimo. Senza soluzione di continuità, un rumore di fondo incessante che entra nell’anima. E se questa rumore è stato duro da digerire per poco meno di un’ora, credo che passare la vita qui possa diventare un inferno. Non so se sia arrivata prima la cascata oppure la Villa, ma sono propenso a pensare alla seconda soluzione perché nessuno potrebbe avere l’ardire di costruire una casa in mezzo a questo frastuono. E immagino una protesta e un progressivo abbandono, la sopportazione umana ha un limite. Esiste anche l’ipotesi contraria, ma sinceramente mi sembra una possibilità piuttosto remota.
In questa villa ho trovato tantissimi spunti fotografici interessanti: il passeggino, i fiori finti, la vestaglia, le foto, l’enorme quantità di riviste. Mi ha colpito con un fortissimo senso di malinconia, un’idea di tristezza molto presente. E poi quella boccetta di profumo, un’originale
acqua di Colonia 4711. Un piccolo gioiello, un tocco di classe, non saprei come definirlo: ma regala a questa dimora abbandonata un senso di storia e di aristocrazia tedesca.
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POSTED ON 2 Nov 2023 IN
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Nella vita di ognuno di noi ci sono momenti importanti, anche decisivi, e in questi momenti è sicuramente utile riflettere e parlare con se stessi. Ragionare con calma e non farsi prendere dalla voglia di mandare tutto all’aria. Magari ascoltare anche il consiglio di un amica. Ci sono geometrie inspiegabili che portano ad accadimenti per certi versi sorprendenti. Talvolta si entra in luoghi abbandonati e si ha l’immediata percezione del fallimento, della futile resilienza allo scorrere del tempo. In altre occasioni invece, più sporadiche, si rimane esterrefatti e ci si chiede cosa possa mai essere successo per costringere quel luogo a cedere il passo e diventare abbandonato. Magari proprio una variabile impazzita, una geometria inspiegabile: basta un momento, un sussulto, una decisione presa troppo di fretta e senza riflettere, per chiudere i conti con il futuro. Le mie sono elucubrazioni mentali degne di Franz Kafka, perché non conosco la storia di quello che abbiamo definito, in modo forse eccessivamente pomposo, Hotel delle Fiabe: di certo però rimane la sorpresa e la mancata comprensione degli eventi che lascia come sospesi nel vuoto, senza possibilità di volare. E la domanda rimane sempre la stessa di sempre: perché?
[…] Ma è anche vero che la vita di ciascuno di noi è piena di variabili, e accadimenti imprevedibili, di geometrie inspiegabili. Qualsiasi cosa può succedere.
– Paolo Volpi
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POSTED ON 30 Ott 2023 IN
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Ci sono esplorazioni che iniziano con uno stato di ansia decisamente alto. Magari per le voci che ti sono arrivate (quasi sempre da decifrare e verificare) oppure per l’ambientazione esterna. Villa Rainbow, che viene definita così per i colori delle vetrate della veranda, fa parte di questa categoria di esplorazioni e ha portato nelle nostre ossa un carico di tensioni decisamente alto. Perché ci avevano parlato di allarme attivo (quando un luogo è abbandonato la prima cosa che viene a mancare è la corrente elettrica) e anche per via di una posizione molto centrale e in vista.
In urbex c’è sempre uno stato di
tensione che si respira a pieni polmoni, ma in questa circostanza l’ansia ha pensato bene di appoggiare con forza la sua mano sulle nostre spalle. Solitamente porto con me, nello zaino, una
buona dose di calma e sangue freddo e devo ammettere che in questo caso mi ha aiutato a gestire la situazione: quando si fanno lunghe esposizioni e si cambiano di frequente le impostazioni della macchina.foto non bisogna avere fretta ed è necessario ragionare con il cervello. Il mio maestro è
Luca Dirisio.
E poi Villa Rainbow è davvero meravigliosa, da lasciare senza parole: la veranda colorata, il salone con il parquet, le bellissime stanze da letto, la scalinata luminosa; è un campionario perfetto della perfetta villa urbex. Non mancano infatti le fotografie in bianco e nero, il pianoforte, i quadri, la poltrona colorata, il vecchio giornale, il vaso di fiori, la giacca appesa al muro, la macchina da cucire (ma non è singer) e, ciliegina sulla torta, non manca nemmeno la stanza bruciata. Servirebbe anche una carrozzina di inizio secolo scorso: qualcuno può portarla?
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POSTED ON 25 Ott 2023 IN
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museum
Il Mufant è il primo e unico museo italiano dedicato al fantastico ed è l’acronimo di MuseoLab del Fantastico e della Fantascienza. Si trova a Torino, in una zona al momento un po’ angusta (non riuscivo nemmeno a trovare l’entrata), ma che a breve potrebbe diventare importante. Si parla infatti di costruire una statua a grandezza naturale di Goldrake (se così possiamo dire, teoricamente 30 metri di altezza) nel parco antistante al museo: non sono ancora arrivati i permessi e forse non arriveranno mai, ma in futuro chissà, sperare si può.
Sinceramente non sapevo cosa aspettarmi e quindi dire che sono rimasto
deluso è probabilmente eccessivo; al Mufant sono raccolti tutta una serie di
oggetti dedicati alla fantascienza e al fantastico, ma in realtà non esiste un filo logico conduttore, una storia che venga raccontata. Sono tante stanze, ognuna dedicata a qualcosa di particolare, ma sinceramente con poco testo descrittivo e un po’ confuse. È chiaro però che molte di queste opere mi hanno
risvegliato ricordi importanti, soprattutto in arrivo dalla mia infanzia, e alcune mi hanno permesso di scoprire personaggi e storie che non conoscevo: mi viene subito in mente
Saturno contro la terra, probabilmente la prima serie a fumetti di fantascienza in Italia, e che io non conoscevo.
Essendo confuso, denso di materiale e per certi versi difficile da catalogare, fotografare è molto complicato, riuscire a trovare una linea pulita nell’immagine è difficile. Troppa roba. Mi sono concentrato sui dettagli (e sono tantissimi) e sulle personaggi che rendono il museo un salto indietro fantastico e fantascientifico nel tempo. E per me i robottoni sono sempre qualcosa di malinconico.
Vision:
immaginiamo un mondo in cui le persone siano consapevoli che il presente è solo uno dei mondi possibili.
Mission: valorizziamo e diffondiamo tutte le espressioni del Fantastico, dalle origini ottocentesche alle moderne declinazioni nei generi fantascienza, horror e fantasy. Ci divertiamo molto!
POSTED ON 24 Ott 2023 IN
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Il 28 maggio scorso sono salito sul treno storico che viaggiava da Torino a Ormea attraversando la suggestiva Valle del fiume Tanaro. Si trattava di una locomotiva Diesel (quindi storico, ma niente carbone) che portava con se le celebri carrozze Corbellini. Queste carrozze furono costruite tra il 1948 e il 1963 in tre gruppi principali (Tipo 1947, Tipo 1951R e Tipo 1957R) e rimasero in servizio nelle ferrovie dello stato per quarant’anni. Devono al nome al ministro dei trasporti Guido Corbellini che, dopo averle progettate quando era Capo del Servizio Materiale e Trazione delle Ferrovie dello Stato, ne ordino successivamente la costruzione. BON significa Bagnasco, Ormea, Nucetto, cioè i tre paesi della Val Tanaro nel quale il treno si fermava per permettere ai passeggeri di scendere per visitare i borghi e per assistere agli spettacoli in programma durante la giornata. Io sono salito a Ceva e sceso a Bagnasco (dove avevo lasciato la macchina) e poi ho provato ad anticipare il treno all’arrivo ad Ormea senza peraltro riuscirci.
Al bar della stazione di Ormea ho bellissimi ricordi giovanili: direttamente dai mitici anni ’90 un aperitivo fra amici a base di cocktail della casa. Si possono ordinare due tipi di bevanda, alcolica ovviamente:
sbrivazzu e scuriazzu. Sono due nomi molto particolari perché sono dedicati ai treni che percorrevano
la ferrovia della Val Tanaro: sbrivazzu quando arrancavano in salita, scuriazzu se scorrevano verso valle.
Durante il tragitto in treno non mi sono dedicato certo all’ozio e all’ammirazione del paesaggio, ma ho fotografato. Il mondo del treno storico è variopinto e divertente: si possono incontrare giovani e meno giovani, tutti accomunati dalla voglia di vivere un’esperienza diversa che riporta al secolo scorso. Poi c’è intrattenimento musicale, culturale, storico e questo rende il viaggio diverso, non è un percorso per raggiungere una metà, ma il viaggio stesso diventa il luogo da raggiungere. Potevo forse scriverlo meglio, ma spero si comprenda il concetto. Mi sono dedicato soprattutto al ritratto e ho scelto 22 foto monocromatiche che spero riescano a raccontare l’esperienza del Treno Storico.
Dovessi scegliere una parola che racconta il treno storico che attraversa la Valle Tanaro più che VIAGGIO sceglierei SOGNO.
– Lorena Durante
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POSTED ON 22 Ott 2023 IN
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A inizio luglio mi sono trovato al confine fra le province di Verona e Mantova. Era da poco passato mezzogiorno e il caldo infernale toglieva il respiro. Villa Curtoni Tretti -detta Cortalta- si trova qui, in questa alacre zona d’Italia che si dedica principalmente all’agricoltura intensiva, in piena pianura Padana. Intorno il silenzio, qualche azienda agricola e chilometri di campi coltivati. La Villa è circondata da un fosso, detto Rabbioso, ma si entra facilmente e varcando il cancello si arriva davanti a un’aia immensa: lo sguardo viene subito catturato dall’eccezionale sviluppo del fronte meridionale della villa, lungo ben 140 metri, sul quale si affacciano la casa padronale, al centro, e le due barchesse, ai lati, con due torrioni a chiusura.
L’edificio, originariamente cinquecentesco, pare essere stato restaurato tra il 700 e l’800, ed è appartenuto alla famiglia Curtoni per più due secoli, ereditata dai Pantini all’inizio del XVII, per poi essere ceduto di nobile in nobile per i successivi decenni.
Per entrare nella casa padronale è necessario superare il colonnato e varcare quello che rimane della soglia di ingresso: si capisce subito che la situazione strutturale del complesso è davvero drammatica e il rischio crollo imminente. Si entra in una stanza, che può sembrare un salotto, con un camino, due sedie scenografiche e un meraviglioso pupazzo della Pantera Rosa. Non è rimasto molto e pensare che qui, all’inizio degli anni ’60 del secolo scorso, vivevano circa 90 persone. Si passa in un ampio corridoio nel quale rimane solo una credenza con 3 uccelli impagliati, il soffitto è in parte crollato; poi ci sono le scale, si sale con cautela, ma il secondo piano è praticamente inagibile. Qualche foto rapida facendo attenzione a dove si mettono i piedi e poi di nuovo di sotto a salutare la Pantera Rosa, l’ultimo guardiano di questa meravigliosa Villa che ormai non c’è più.
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Come capita dal 1610 (con qualche rara interruzione) anche quest’anno la sera del 7 settembre Mondovì Piazza è stata illuminata dai Feu Dla Madona (pronuncia impossibile). Questa volta ho deciso di unirmi alla bolgia dei fotografi e quando ho scelto la posizione di scatto (mi hanno imposto in realtà, con un invito che non potevo rifiutare) ero convinto che la distanza fra i fuochi d’artificio e la torre dei Bressani fosse minore. Mi sbagliavo. Fortunatamente il cibo, lo spritz, il Berlucchi (tanto Berlucchi) e la compagnia hanno reso meno difficile la situa. Il prossimo anno mi sposterò più verso Est. L’ultima foto è un dettaglio, scattata a 500mm, 6 secondi, f/11.
POSTED ON 15 Ago 2023 IN
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POSTED ON 12 Ago 2023 IN
Landmark
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cemetery,
art
All’interno del cimitero monumentale di Staglieno si trovano due tombe molto celebri, utilizzate dai Joy Division (gruppo musicale post-punk britannico) come copertine dei loro dischi. Ovviamente da appassionato di musica sono andato alla ricerca di questi luoghi di culto laico e, non senza fatica fatica, sono riuscito a trovarli. La Tomba Appiani, opera dello scultore Demetrio Paernio (1910) che rappresenta il compianto delle pie donne e utilizzata per l’album CLOSER (pubblicato postumo nel 1980 dopo il suicidio di Ian Curtis), si trova nel porticato sud. Mentre il bellissimo Angelo della Tomba Ribaudo, opera dello scultore Onorato Toso (1910) e cover del singolo LOVE WILL TEAR US APART (pubblicato nel 1980), si trova nel Portico Trasversale (porticato semicircolare). Assolutamente da non perdere.
POSTED ON 12 Ago 2023 IN
Reportage,
Landmark
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Quando si varca la soglia del cimitero Monumentale di Staglieno si entra in mondo completamente avulso dal sistema; è un luogo che nasconde un fascino e una magia che sono impossibili da descrivere. E ammetto che anche la fotografia non riesce a spiegare l’atmosfera e l’arte che si svelano dietro ogni arco, lungo i corridoi, nei porticati, nei sotterranei. Esistono molteplici anime a Staglieno e raccontarle tutte in poche parole non è possibile: ci sarebbe da scrivere un libro (e infatti ne hanno scritti diversi). È un luogo immenso nel quale perdersi: ho girato quasi un giorno intero e non sono riuscito a visitarlo tutto. Si cammina, senza sosta, con la mappa e dietro ogni angolo c’è qualcosa da fotografare che sorprende e lascia stupefatti.
Durante il corso della sua storia, il cimitero non è stato solo luogo di sepoltura, ma anche meta delle visite di artisti e letterati giunti da ogni dove. Tra questi, il celebre scrittore Ernest Hemingway che definì Staglieno “una delle meraviglie del mondo”.
Ho scattato un’infinità di fotografie, perché la resistenza è futile. Alcune di queste immagini sono decisamente conosciute: la Tomba Oneto, di Giulio Monteverde (1882), la statua di Caterina Campodonico, la venditrice di noccioline (1881), opera dello scultore Lorenzo Orengo, capolavoro del realismo borghese, ma anche dramma eterno (1893), altra opera meravigliosa di Giulio Monteverde, che rappresenta il drammatico contrasto tra la sensuale giovane figura femminile e l’impassibile personificazione della morte che sta per ghermirla. Potrei anche parlare di musica, magari un’altra volta: ho pubblicato 70 foto e adesso osservatele e provate ad immergervi con me nella magia meravigliosa del Cimitero di Staglieno.
Vi sono monumenti, tombe, figure scolpite squisitamente lavorate, tutte grazia e bellezza. Sono nuove, nivee; ogni lineamento è perfetto, ogni tratto esente da mutilazioni, imperfezioni o difetti.
– Mark Twain
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POSTED ON 12 Ago 2023 IN
Landmark
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Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori.
– Fabrizio De André
POSTED ON 6 Ago 2023 IN
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Anche quest’anno il comune di Murazzano ha organizzato il concorso fotografico “Vivere Murazzano“. Il tema del 2023 era molto bucolico, ma comunque intrigante: Vita in Campagna.
Murazzano è una terra ricca di tradizioni artigianali e concentrare l’attenzione sui lavori manuali permette di mantenere viva l’autenticità di attività come la produzione del vino, la lavorazione dei campi con il bestiame e la produzione casearia.
Tramite alcuni amici in comune ho contattato Matteo Pelleri, titolare dell’azienda agricola Lorenzo: Matteo è giovanissimo e ha ereditato dal papà la passione per l’allevamento e la campagna. E’ stato molto gentile, mi ha ospitato per un paio d’ore nella sua azienda e io (il più trasparente possibile) ho registrato la sua attività lavorativa scegliendo di utilizzare l’obbiettivo classico del reportage, ovviamente sto parlando del 35mm. Ho scelto 3 foto per partecipare al concorso: la foto di copertina ha ottenuto il secondo premio assoluto e verrà esposta (in dimensioni importanti) nella piazza principale di Murazzano per un anno. Io in realtà preferivo la terza, ma capisco la scelta della giuria: l’allevatore che accarezza con affetto i suoi animali è sempre una foto d’impatto.
POSTED ON 23 Lug 2023 IN
Reportage
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Nel 1600, per proteggere i limoni dalle temperature gelide del Nord Italia, vennero costruite le Limonaie. All’epoca i limoni erano molto richiesti, soprattutto dalla Russia e dal Nord Europa, per due motivi: la loro grande ricchezza di vitamina C, utile per combattere lo scorbuto, malattia largamente diffusa in Europa a quell’epoca e per l’acido citrico, che veniva estratto unicamente dai limoni e usato come conservante per il cibo e disinfettante. Nella zona del Garda, tipicamente più mite, vennero costruite a forma di serra (celebri quelle di Limone sul Garda), mentre nella pianura padana erano costruzioni in muratura, con alte e larghe finestre nella parete esposta a Sud e con il tetto ricoperto da tegole o altro materiale non trasparente.
Per secoli il commercio del limone fu fiorente e vitale, ma nel corso dell’ottocento le cose cambiarono progressivamente e ci furono i primi segnali di crisi. Dapprima a causa della malattia della gommosi (1855), poi per la concorrenza dei limoni delle regioni meridionali a seguito dell’unificazione d’Italia (1861) e dello sviluppo dei trasporti, infine per la scoperta dell’acido citrico sintetico. Tutti questi fattori resero la coltivazione sempre meno richiesta e remunerativa; la Prima Guerra Mondiale, con la requisizione dei materiali di copertura dei giardini, e il freddo eccezionale dell’inverno 1928-29 inflissero a tale coltivazione il colpo definitivo.
Nelle campagne della pianura Lombarda è possibile imbattersi in una bellissima Limonaia abbandonata: uno straordinario esempio di architettura agricola costruita in stile eclettico con torri e merli da sembrare quasi un castello. Giace dimenticata tra i rovi ed è in stato di abbandono da tantissimi anni, il rischio di crollo è davvero altissimo: sembra sia vincolata dalla sovrintendenza e dalle belle arti, ma purtroppo non è più stato fatto nessun tipo di intervento per riportarla agli antichi splendori.
Ma questa struttura è addirittura avvolta dalla leggenda, quella di un fantasma. In paese, infatti, si racconta di uno spirito che appare nelle notti di luna piena: quello della figlia dei vecchi proprietari, scomparsa secoli fa in età prematura, che si manifesterebbe in sella ad un cavallo bianco, avvolta da lunghe vesti.
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POSTED ON 23 Lug 2023 IN
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Giovedì sera ho assistito, con il gruppo di MondovìPhoto, al vernissage del progetto News from Home, che fa parte di un altro progetto, più ampio e di respiro europeo, che prende il nome di Dialog City. Il tutto inserito all’interno dell’Hybrid Festival che si è tenuto a Mondovì proprio in questi giorni con performance, installazioni, eventi. Riporto da MondovìPhoto.com:
News From Home è un progetto che cattura storie dalle comunità attraverso un collage di scatti fotografici ed è realizzato dal duo artistico
Anne Fehres, olandese, e
Luke Conroy, australiano. Anne e Luke sono stati scelti tra una candidatura di ben 78 artisti per il progetto europeo Dialog City, giunto alla sua decima edizione. […]In News From Home Luke e Anne sono interessati ad esplorare storie oggettive e soggettive della comunità e del suoi membri in relazione ad una prospettiva sia globale che locale. Per raggiungere questo obiettivo gli artisti hanno condotto ricerche sul campo, per le strade, facendo osservazioni, incontrando la comunità e scattando fotografie.
Parallelamente Anne e Luke hanno coinvolto la comunità attraverso varie forme di co-creazione fisica e digitale, invitando tutti gli abitanti attraverso i social a contribuire con le proprie idee e immagini relative alla Mondovì del passato, del presente e, soprattutto, del futuro. Il risultato di questa ricerca e raccolta di immagini è stata la creazione di una composizione fotografica lunga 6 metri e alta 2. L’opera è stata presentata sul muro adiacente i Giardini del Belvedere, a Mondovì, durante l’Hybrid Festival che si terrà in questi giorni e terminerà il 22 luglio.
La composizione finale è composta da quasi mille elementi individuali ispirati all’identità multistrato di Mondovì e ogni strato presenta la nostra città da diverse prospettive che include elementi come i disegni dei bambini, immagini storiche, fotografie della vita quotidiana inviate dalla comunità, graffiti e ritratti improvvisati nelle strade. Attraverso questa collisione di diversi strati l’opera celebra Mondovì come luogo in cui elementi del passato, realtà moderna e sogni futuri si sovrappongono costantemente, invitando il pubblico a considerare diverse narrazioni da una prospettiva locale e globale.