Villa Azzurra -Il manicomio dei bambini-

POSTED ON 18 Gen 2023 IN Reportage     TAGS: urbex, asylum

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Villa Azzurra, il manicomio dei bambini di Grugliasco, è un luogo di sofferenza; il dolore trasuda dalle pareti, ma si possono solo immaginare le atrocità che si sono compiute fra queste mura.

Un vero e proprio lager chiuso definitivamente nel 1979, ma l’imponente Villa Azzurra esiste ancora e versa in uno stato di abbandono. Si trova al confine fra Grugliasco e Collegno, in fondo alla via Lombroso a Torino e per tanto tempo è stato un luogo macabro che non somigliava né a una villa e né rimandava alle fiabe.

La storia del manicomio Vittorio Emanuele III (questo il nome dell’intera struttura) è lunga è travagliata: venne costruito in epoca fascista, dopo la guerra fu utilizzato come ospedale, ricovero, campo di concentramento per ebrei e ospitò gli sfollati dell’alluvione del Polesine nel 1951 e 1952; tornò alla sua funzione originaria solo nel 1960 e riprese ad ospitare i piccoli malati. Da quel momento iniziò l’epoca più buia e terribile di Villa Azzurra: nel 1964 divenne vice direttore e medico responsabile della struttura il professor Giorgio Coda, psichiatra, meglio conosciuto come l’elettricista per via della sua propensione ad utilizzare l’elettroshock che lui definiva elettromassaggio. I piccoli ricoverati venivano legati ai letti, ai termosifoni, per giorni interi senza possibilità di muoversi e sottoposti a trattamenti atroci.

Nel 1970 il fotografo Mauro Vallinotto riuscì ad entrare con un sotterfugio nella palazzina B dove erano ricoverati i bambini e salì nei dormitori. Travestito da medico scattò una serie di fotografie che fecero scalpore: bambini legati mani e piedi ai letti, ricoperti di mosche, impossibilitati a muoversi, alcuni giacevano con i loro escrementi; ma la foto che fece più scalpore fu quella definita crocefissione di Maria nella quale veniva ritratta una bambina, di circa 6-7 anni, completamente nuda, legata mani e piedi al letto con le braccia divaricate come se fosse crocifissa. Le foto vennero pubblicate il 26 Luglio 1970 sull’Espresso e lo stesso giorno i carabinieri entrarono nella struttura. Da quel momento iniziò la fine del manicomio dei bambini: nel 1974 Giorgio Coda venne condannato a 5 anni di reclusione, ma per un cavillo legale non scontò mai la pena.

Il 2 dicembre 1977, alle 18.30, quattro uomini facenti parte dell’organizzazione armata di estrema sinistra Prima Linea penetrano nell’appartamento dove Coda fa visite private sito in via Casalis 39 nel quartiere “bene” di Cit Turin e, dopo averlo sottoposto a un breve processo e legato ad un termosifone, gli sparano alle spalle e alle gambe. Sul corpo esanime gli attaccano un cartello con su scritto: “Le vittime del proletariato non perdonano i loro torturatori“.

C’è un bellissimo articolo di Michele Smargiassi su Fotocrazia, la rubrica di Repubblica, dedicato alla Crocefissione di Maria. È un racconto vero, intenso, che fa riflettere sul potere della fotografia e sulla storia di Villa Azzurra. Da leggere.

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La Chiesa dei Matti

POSTED ON 14 Mag 2022 IN Reportage     TAGS: urbex, asylum, church

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Chiudo il cerchio a Voghera con le foto della chiesa, la chiesa dei matti. Sono 19 foto e con le foto dell’ex ospedale psichiatrico in totale diventano 90. La paura. Si tratta di un’esplorazione successiva in quanto la prima volta non fu possibile dedicarsi alla preghiera e all’adorazione del signore. Il manicomio è talmente grande che per arrivare alla cappella è necessario camminare quindici minuti fra corridoi interminabili e stanza vuote. Il silenzio rimbomba e l’ansia si percepisce sulla pelle. Ad un certo punto si arriva in un piccolo giardino, doveva essere molto bello all’epoca, e la chiesa è lì, centrale, come fosse in attesa di qualcosa. Dentro è bellissima, nella galleria si può quasi toccare il soffitto e ammirare da vicino le vetrate rotonde e colorate. È ancora incredibilmente intatta, è rimasta chiusa a lungo e si respira un’aria quasi affannosa. Era la chiesa del matti, ma poi bisogna capire davvero chi erano i matti.

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Ex Manicomio di Voghera

POSTED ON 11 Mag 2022 IN Reportage     TAGS: URBEX, asylum

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L’ex manicomio di Voghera è sicuramente una delle perle del mondo urbex italiano. Si trova a Voghera (e questo forse si era capito), è enorme, una città nella città di oltre 60 mila metri quadrati, che arrivò ad avere al massimo 1029 ospiti e dava da lavorare a circa 400 persone. Fu costruito sui resti di un convento nel 1876 (del quale oggi non è rimasto che il pozzo nei pressi della chiesa) e alla sua progettazione lavorò anche il celebre psichiatra Cesare Lombroso. Come tutti i manicomi fu lentamente dismesso a partire dalla Legge 180/1978, conosciuta come legge Basaglia, fino a chiudere definitivamente i battenti nel 1996.

Le storie che potrebbero raccontare queste parete sono tantissime e incredibili. Luigi Marini, in arte Ringo, ogni sabato sera scappava. Poi tornava. Scappava per andare a ballare nelle balere delle zona e nessuno ha mai capito quale fosse la sua via di fuga. E poi ci sono Luigina e Mario, che si sono innamorati fra queste mura e hanno voluto tornare nella loro stanza nonostante il manicomio fosse ormai chiuso. E quando si cammina fra i corridori di questo ospedale psichiatrico si percepiscono le grida, la disperazione e le emozioni.

È un mondo che racconta oltre 100 anni di storia e di vita. Ho pubblicato 71 foto per descrivere nel modo più approfondito possibile questa incredibile struttura: ho iniziato con la foto più iconica, la camera azzurra dei neonati e ho perlustrato tutto il manicomio dalla rumorosa rotonda dei furiosi sino ad arrivare alla tranquillità della chiesa cattolica (ma un’altra volta). In qualsiasi articolo dedicato alla pazzia si deve dedicare un pensiero alla poetessa. E chi sono io per non inserire una citazione di Alda Merini dedicata alla sua esperienza in manicomio? Nessuno. E infatti la trovate quasi in calce. :-)

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Così i matti mi hanno insegnato che è grazie alle cose semplici che rendiamo la nostra vita ricca.
Che un ricordo splendido può trasformare qualsiasi luogo oscuro in una dimora raggiante.
I matti mi hanno insegnato che l’amore esiste.
Che è davanti a noi. Indipendentemente da dove ci troviamo.
E che aspetta solo di essere raccolto con le nostre mani.
– Giacomo Doni

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Cointreau

POSTED ON 2 Mag 2021 IN Details     TAGS: urbex, asylum

Cointreau

La società Cointreau viene fondata nel 1849 in Francia nella città di Angers dai fratelli Adolphe e Édouard-Jean Cointreau. Il loro primo successo è un liquore a base di ciliegie, zucchero e alcool chiamato Guignolet. Sarà però un liquore preparato per la prima volta nel 1875 da Edouard Cointreau, figlio di Edouard-Jean, a base di scorze di arance amare e arance dolci, zucchero e alcool, a consacrare il successo della loro azienda. All’inizio del XX secolo il liquore comincia ad essere esportato in Europa, nel 1923 raggiunge gli Stati Uniti. Nel 1990 l’azienda si fonde con la Rémy Martin, creando la Rémy Cointreau; l’anno successivo viene quotata in borsa.

Attualmente si stima in 15 milioni il numero di bottiglie vendute in oltre 200 paesi, di cui il 95% fuori dalla Francia.

Asylum of R.

POSTED ON 20 Nov 2020 IN Reportage     TAGS: urbex, asylum, fish-eye

Asylum of R. /24

Qualche giorno fa leggevo una bellissima intervista a Giacomo Doni, uno dei precursori italiani dell’urbex, ma soprattutto colui che ha contribuito, fotograficamente e non solo, alla riscoperta dei manicomi abbandonati. E sono tornato ad osservare le mie foto al manicomio di Racconigi e, se proprio devo fare una classifica del reportage urbex (anche se nessuno me lo chiede), quello negli ospedali psichiatrici è forse il più vero e importante. Sono stato diverse volte dentro il manicomio di Racconigi, ma poi in realtà ho pubblicato solo le foto della prima incursione. Queste risalgono all’anno scorso, la mia prima esperienza con la EOS R, e devo ammettere che le trovo per certi versi molto reali, molto improntate alla ricerca dell’atmosfera e un po’ meno alla spettacolarizzazione del luogo. Forse non tutte se devo essere sincero, ma in molti casi trovo che in queste immagini diano davvero l’idea del tempo passato e dell’ambiente decisamente triste e ostile. Per questa volta, in esclusiva per i miei affezionati lettori, eviterò la famigerata citazione di Alda Merini. Contenti?

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Again

POSTED ON 20 Nov 2020 IN Reportage     TAGS: urbex, asylum

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Racconigi a sorpresa

POSTED ON 20 Nov 2020 IN Reportage     TAGS: urbex, silver, asylum, fish-eye

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Queste foto sono un po’ strane, sono una specie di anticipazione bizzarra. Le ho scattate al manicomio di Racconigi il giorno della maratona fotografica, correva l’anno 2019; è raro trovare un mio scatto urbex in bianco e nero, ritengo che il genere richieda il colore (lascio le eccezioni al ritratto), ma per una volta ho deciso di fare uno strappo alla regola. Le ho presentate in concorso (non tutte in realtà), quasi per gioco, per provocazione: anziché esaltare le bellezze ho preferito puntare il dito sulla piaga. Risultati scarsi ovviamente, ma questo anche per colpa della Canon EOS 77D che quel giorno sostituiva l’ammiraglia in riparazione post-trauma. Nelle prossime ore tornerò in modo ampio sull’argomento Fabbrica delle Idee, ergo possiamo tranquillamente definire queste immagini come una sorta di prologo.

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Illuminato

POSTED ON 17 Ott 2020 IN Portrait     TAGS: urbex, selfie, asylum

Illuminato

Il manicomio vicino al mare

POSTED ON 17 Ott 2020 IN Reportage     TAGS: urbex, asylum

Il manicomio vicino al mare #29

La proposta di costruire un manicomio viene esposta dall’Amministrazione provinciale di Genova nel 1892. Viene individuata un’area di 70.000mq a Quarto dei mille, vince il concorso l’ingegnere Vincenzo Canetti, e l’appalto viene affidato alla ditta milanese Francesco Minorini. I lavori procedono spediti è gia nel 1895 viene completata parte del progetto, così 377 pazienti sono accolti nel nuovo manicomio: essi vengono trasferiti all’alba con mezzi appositamente noleggiati, al fine di evitare “l’inopportunità della folla, che certamente si sarebbe agglomerata lungo le vie ad osservare il convoglio dei pazzi”. Il progetto originale prevedeva che la struttura sarebbe potuta arrivare ad ospitare un massimo di 700 malati, ricoverati in cinque sezioni diverse: tranquilli, epilettici e mesti, semi-agitati, agitati ed infermi. Malgrado le dimensioni del complesso, dopo solamente un anno è palese la mancanza di posti letto: nel 1904 i pazienti residenti a Quarto passano da 973 a 1010, tra cui alcuni bambini sistemati nel reparto “semiagitati” ed altre bambine alloggiate senza criterio nei vari reparti. La mortalità tra i ricoverati raggiunge il 10% a causa della tubercolosi e risulta evidente la necessità di una nuova struttura. A causa del sovraffollamento, le stanze da bagno sono indecenti, “i dormitori sono occupati da un numero di letti di gran lunga superiore alla capacità consentita” e in alcuni casi non è possibile il passaggio di una persona tra un letto e l’altro; inoltre nelle stanze di isolamento sono collocati fino a quattro letti. Nel 1924 la Deputazione provinciale attua alcune misure di miglioramento e le condizioni del manicomio di Quarto iniziano a cambiare. La Provincia, nel 1927, unifica sotto un unico Dipartimento Sanitario la struttura di Quarto e di Cogoleto. Nella prima dispone l’accettazione ed i malati guaribili, nella seconda i laboratori ed i malati cronici inguaribili. Il termine “manicomio” viene sostituito dalla denominazione “ospedale psichiatrico”. Durante la Seconda Guerra Mondiale, questi edifici sono stati occupati dai militari italo-tedeschi ed i pazienti vengono trasferiti tutti nella seconda struttura. Concluso il conflitto mondiale, l’ospedale si ripopola progressivamente, il primo intervento nel dopoguerra risale al 1963, quando a causa dell’aumento del tasso di mortalità, viene creata una Commissione speciale al fine di valutare le condizioni della struttura. Nello stesso anno nasce la “psicoterapia” e si definisce un piano di ristrutturazione per l’intero complesso. Nel 1969 viene aggiunto finalmente un nuovo padiglione per colmare le carenze di spazio, dal 1978 però, grazie alla legge Basaglia, il manicomio viene progressivamente dismesso sino alla definitiva chiusura del 1997. Il resto è storia, da diversi anni si cerca un recupero del manicomio di Quarto: purtroppo senza risultati.

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Ex Manicomio di Racconigi

POSTED ON 11 Mag 2018 IN Reportage     TAGS: URBEX, asylum

Manicomio di Racconigi #01

Il 13 Maggio 1978 entrava in vigore la famosa Legge Basaglia: “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”. Sono passati solo 40 anni dalla legge che in Italia impose la chiusura dei manicomi, eppure se parliamo di camicie di forza ed elettroshock sembra di raccontare un altro mondo.

Il manicomio di Racconigi, definito sarcasticamente Fabbrica delle Idee, è una struttura imponente nel pieno centro cittadino. E’ rimasto attivo dal 1871 al 1999, arrivando ad ospitare sino a 1500 pazienti. E’ diviso in padiglioni, il più importante, il più grande, è sicuramente il Chiarugi nel quale venivano alloggiati (e in alcuni casi internati) i malati di mente. Le condizioni della struttura non sono buone, ci sono i segni di un incendio recente e molti pavimenti (soprattutto all’ultimo piano) sembrano sul punto di cedere da un momento all’altro. Tutte le stanze nascondono qualcosa di interessante, di misterioso, girando per i corridoi si respira un’aria particolare: quando si esplora un manicomio abbandonato si riescono quasi a percepire le presenze dei malati, si intuisce come doveva essere la vita all’interno della struttura. E’ come un incredibile viaggio nel passato e nella storia del paese.

Da anni ormai si parla di riconversione, soprattutto per la zona in cui si trova lo stabile: in pieno centro cittadino; eppure per una serie di motivi politici, finanziari e architettonici la situazione non si sblocca. Ed è un vero peccato. In questi giorni, complice l’importante ricorrenza storica, ho letto tanti articoli sugli ex manicomi in Italia e sulla loro situazione attuale: Racconigi non è l’unica città a vivere questa situazione, mi vengono in mente Voghera, Volterra, Vercelli, Genova, Mombello. Il punto è che ci sono anche esempi positivi al quale ispirarsi, come l’ex ospedale psichiatrico di Trieste dal quale partì la rivoluzione Basagliana: oggi è in parte recuperato e trasformato. Lo spazio non manca, le idee probabilmente nemmeno, i soldi si trovano: credo che nel 2018 sia giusto e doveroso far partire una nuova rivoluzione, sempre nel nome di Franco Basaglia, che permetta all’Italia di liberarsi di queste strutture fatiscenti per creare qualcosa di nuovo.

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Il manicomio di Racconigi, unico in provincia, venne allestito nel 1871 nel padiglione «Chiarugi», un palazzone di oltre diecimila metri quadrati, costruito a cavallo fra 700 e 800, prima come ospizio per i poveri, poi adibito fino al 1868 a collegio militare. Un uomo e una donna rispettivamente di Barge e Monastero Vasco, nel 1871, furono i primi ricoverati. Con gli anni, in particolare dopo la Grande Guerra 15/18, la struttura si ingrandì, fino ad occupare una dozzina di ettari. Si aggiunsero altri padiglioni: il «Morselli», il «Marro» e il «Tamburini», la lavanderia, la centrale termica, la colonia agricola, il parco, l’acquedotto. Una «città nella città» totalmente autosufficiente. Negli anni ’70 i ricoverati sfioravamo i 1.500 e vi lavoravano più di trecento addetti: 7 medici, 52 infermiere, 121 infermieri, oltre a 67 suore (che agli inizi erano 140), impiegati, cuochi, sarti, muratori, macellai, panettieri. (La Stampa)

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Non è importante tanto il fatto che in futuro ci siano o meno manicomi e cliniche chiuse, è importante che noi adesso abbiamo provato che si può fare diversamente, ora sappiamo che c’è un altro modo di affrontare la questione; anche senza la costrizione. (Franco Basaglia)

Ex Ospedale Psichiatrico di Vercelli

POSTED ON 8 Gen 2018 IN Reportage     TAGS: urbex, asylum

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L’ex ospedale psichiatrico di Vercelli (che possiamo anche chiamare manicomio senza alcuna paura) venne costruito nel 1930 per la cura delle persone affette da malattie mentali ed è composto da 20 padiglioni di cui solo 1 attualmente funzionante. Le sue dimensioni sono mastodontiche, parliamo di circa 125000 metri quadri immersi nel verde: al suo interno trovano spazio anche una chiesa, posizionata centralmente, e un teatro, il Benedetto Trompeo, andato in parte a fuoco e decisamente pericolante. Con l’arrivo della legge Basaglia nel 1978 chiude (come tutti i manicomi italiani) e viene trasformato nell’azienda ospedaliera di Vercelli sino al 1991 anno della definitiva cessazione.

Questo luogo fu teatro, tra il 12 e il 13 maggio 1945, dell’episodio passato alla storia come Eccidio dell’ospedale psichiatrico di Vercelli. Le notizie sono poche e non sempre certe, ma qui vennero giustiziati sommariamente e in modo molto cruento, ad opera di alcuni partigiani della 182ª Brigata Garibaldi “Pietro Camana”, un gruppo di militi della Repubblica Sociale Italiana prelevati dallo stadio di Novara, allora adibito a campo di prigionia.

Visitare il manicomio di Vercelli è, come capita in questo tipo di strutture, molto inquietante. Si respira la sofferenza, si sente la morte, la tristezza, il dolore. Eppure fino al 1978 in questi ospedali venivano internate le persone diverse, affette da quelli che venivano definiti disturbi mentali. Ho visitato solo una parte della struttura, per riuscire a fotografarla tutta ci vorrebbero diversi giorni, ma credo comunque di essere riuscito a coglierne l’anima. L’odore di muffa e di chiuso regna sovrana in quasi tutti i padiglioni: scale su scale, porte distrutte, vetri in frantumi, fra radiografie, certificati, ricette mediche, manufatti e scritte sui muri, alcune di queste anche angoscianti.

Il padiglione più interessante è sicuramente quello che ospita la chiesa; è un edificio relativamente moderno e quindi costruito quasi sicuramente dopo la prima guerra mondiale. Le panche per i fedeli sono ammassate una sopra l’altra, la croce è caduta, c’è un organo, una macchina da scrivere: addirittura dei bicchieri e qualche testo sacro. Le finestre sono ancora intatte, come a rispettare la sacralità della chiesa. Bellissime e molto fotogeniche le scritte in latino sui muri che dominano la scena dall’alto.

In fondo al complesso, per ultima, si erge la chiesa. Anche qui un estremo disordine circonda l’altare dove resiste al caos solo il pianoforte. Anche la grossa croce è stata deposta nel tempo.

Fra le mie esplorazioni urbex (risale al novembre del 2016) devo ammettere che questa è stata la più interessante, la più straniante. Per le dimensioni della struttura, enorme, e per la quantità di materiale storico che si può trovare negli uffici amministrativi: ho visto giornali degli anni ’30, cartelle cliniche del primo dopoguerra, montagne di dossier, di ricette. Anche negativi e pellicola da ripresa. E poi ci sono le sedie a rotelle, gli armadi, gli archivi, le stanze vuote ed immense, medicinali, bottiglie, giocattoli. Quando cammini fra i padiglioni cercando di capire quali sono i più interessanti sembra di trovarsi in un mondo post-atomico fatto di macerie e distruzione. E non è una bella sensazione.

Il manicomio non finisce più. È una lunga pesante catena che ti porti fuori, che tieni legata ai piedi. Non riuscirai a disfartene mai.
– Alda Merini

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Delirium

POSTED ON 2 Gen 2017 IN Details     TAGS: urbex, asylum, silver, wideaperture

Delirium

Tutti gli anni, in questa data, pubblico una foto scattata fra l’inizio e la fine dell’anno. E’ una tradizione consolidata da queste parti. Ma quest’anno no. Quest’anno ho scelto, mio malgrado, una foto scattata a novembre, una foto che mi possa servire da promemoria. Un’immagine che possa ricordarmi di non commettere uno degli errori più classici e banali che un fotografo possa fare. Si, perché il 31 dicembre ho scattato diverse foto, alcune anche (credo) interessanti. Purtroppo ho dimenticato di controllare le impostazioni, almeno quelle più rare (permettetemi l’espressione): in effetti non mi capita mai di modificare la qualità delle immagini, ma venerdì scorso, per provare un servizio web, ho scattato una foto (una sola) alla risoluzione minima consentita dalla macchina fotografica: 720×480. E il giorno dopo ho premuto quasi 100 volte il pulsante di scatto senza ricordarmi di verificare la risoluzione; ho controllato tutte le altre opzioni, ma alla risoluzione non ho proprio pensato.

E questo mio personale delirio fotografico spero possa tornarmi utile in futuro, per evitare di commettere nuovamente un errore del genere.

Per il momento non voglio parlare di dove e perché ho scattato questa foto; si tratta però di uno scatto F/1.2 a 3200 ISO: praticamente al buio. E poi si augura ‘Buona Luce‘.