
Gullfoss è stata la prima cascata che ho visitato durante il viaggio in Islanda. Si trova all’estremo est del Cerchio d’Oro ed è la più famosa (dicono) del paese: è composta da due cascate della portata di 109 metri cubi di acqua al secondo. La prima delle due, situata nella parte alta delle cascate, raggiunge gli 11 metri circa. Una volta superata la prima cascata, l’acqua si trova ad affrontare una seconda cascata di 20 metri. Di qui il totale di 31 metri di altezza.
Non a caso, Gullfoss significa “cascata d’oro”, nome che ha dato luogo a diverse teorie. La prima afferma che l’origine del nome sia dovuto alla luce dorata che riflettono le sue acque al tramonto. Un’altra ipotesi, invece, afferma che il nome cascata dorata sia dovuto all’arcobaleno che si forma quando la luce solare attraversa le particelle d’acqua sospese in aria.
Appena sono arrivato in vista di Gullfoss sono rimasto impressionato dal rumore di fondo e dallo spettacolare colpo d’occhio (che probabilmente non sono riuscito a mostrare in foto). Ma il fattore più sorprendente è la quantità di pioggia che si forma nelle immediate vicinanze e che praticamente impedisce di fotografare senza una protezione adeguata, sia personale che della fotocamera. La stragrande maggioranza delle persone è dotata di impermeabile (colorato). Io no ovviamente. Per una volta ho ringraziato la tropicalizzazione del mio grandangolo.




Sabato scorso ho partecipato al Workshop di fotografia naturalista (organizzato da MondovìPhoto) con la prestigiosa presenza di Alessandro Tiraboschi (docente certificato Canon Italia). Avevo già visto al lavoro Alessandro e ritrovarlo a distanza di diversi anni (quasi 10) è stato un piacere immenso. Ho partecipato all’evento probabilmente più per curiosità che per reale interesse alla materia (non voglio cadere nella superbia), ma mi sono comunque divertito e ho cercato, fra le tante parole (tendo a dedicarmi al cazzeggio durante questi incontri fotografici), di catturare qualche scorcio di qualità. Grazie ai consigli di Alessandro ho anche imparato qualcosa di interessante sulla mia nuova macchina.foto. E non guasta mai.




Fare questa foto (ma anche quelle di ieri) è stata un’impresa decisamente faticosa. Avevo individuato un’ansa del Tanaro molto interessante, a metà fra Clavesana e i celebri Calanchi. Ma fra il dire, il programmare e il fare, ci sono di mezzo boschi e rovi. Purtroppo non ho avuto modo di organizzarmi: il cielo perfetto è arrivato quando meno me lo aspettavo in un pomeriggio di metà luglio. Ma sono preparato e ho sempre con me tutto il necessario: macchinafoto, treppiede, filtri, zaino, copertura antipioggia e fantastici copriscarpe in gomma (assolutamente consigliati, mai più senza). Sotto la pioggia e nel fango sono riuscito, con un certa dose di fatica, a raggiungere la zona prescelta. Ho fotograto in 40 centimetri d’acqua con tempi decisamente lunghi: questa è 25 secondi, ma sono arrivato anche a 2 minuti di esposizione (con ND1000 e pola) giusto per sentirmi un po’ Michael Kenna (e nel frattempo mandavo posizione GPS e foto a casa in caso potessi risultare disperso). Il problema è stato tornare: ho sbagliato strada (ottimo senso dell’orientamento) e mi sono trovato dentro una foresta di rovi, completamente bagnato, con i pantaloni corti. Ho portato i segni dell’avventura per circa 2 settimane: e poi dicono che la fotografia non è pericolosa, ma d’altronde il pericolo è il mio mestiere.