Il mare di Genova l’ho sempre dato per scontato, ma per capirlo sono dovuto andarmene: nel 1990 sono partito per il servizio militare e ho vissuto per dieci mesi in due grandi città senza mare. Vivere in posti completamente circondati dalla terraferma mi dava una specie di oppressione. La mancanza di un margine, un bordo, un luogo dove tutto finisce e comincia lo spazio aperto dove potersi perdere senza nulla che ostacoli lo sguardo, mi teneva prigioniero di una sottile inquietudine. Ci ho messo un po’ a realizzarlo, ma alla fine ho capito: il mare lo senti, anche se non abiti sulla spiaggia, anche se non lo vedi tutti i giorni. Semplicemente sai che c’è, che è lì, e che ti aspetta. Il mare di Genova non è facile: molti accessi sono preclusi dal porto, dagli stabilimenti balneari, dalle passeggiate. Anche dove si riesce a raggiungere l’acqua, si paga un prezzo fatto di scalette, scogli taglienti, pietre scivolose. Ma non è importante bagnarsi i piedi: il mare ti entra negli occhi anche sulle alture, in qualche scorcio di strada inaspettato, o dalle finestre degli uffici dei piani più alti; ti entra nel naso quando soffia lo Scirocco e tutta la città odora di sale e di umido; ti si attacca alla pelle nelle giornate di maccaia. Non faccio mai il bagno nel mare di Genova: non è fatto per quello, non è quel mare lì; il mare di Genova riempie uno spazio con l’odore, la luce, il movimento. Il mare di Genova è fatto per farci il bagno con l’anima, non con il corpo.
Foto di/Photo by Samuele Silva – Parole di/Words by Andrea Beggi.
Questa foto mi dà l’idea di qualcosa di reale. Sì, lo so, le foto ritraggono di solito cose reali, eppure questa più di altre dona il senso della vita. Vivo sembra il mare, vivi i colori: pare davvero di stare su una banchina mentre si guarda in quella direzione. Questa foto è ancora più reale perché dentro c’è il senso delle cose, della differenza tra le cose. Da un lato una nave operaia, austera e magari affaticata dai viaggi di carichi pesanti, intristita dalle facce di quelli che la vivono non per diletto ma per campare. Dall’altra, il lusso, lo sfarzo, il cazzeggio a caro prezzo. Le risate che rimbombano nei saloni della nave da crociera, diventano, invece, eschi di solitudine in quel mercantile. Sarà anche questione di destino, ma che culo a nascere nave da crociera.
Foto di/Photo by Samuele Silva – Parole di/Words by Antonio Vergara.
Una foto di mezzo pomeriggio, nell’ora di punta del sabato. Un tocco di HDR per elevare i toni. Splendida piazza de Ferrari.
A distanza di cinque giorni riesco a pubblicare le foto di ViaDelCamp. Sono dodici, niente di straordinario. La foto di copertina ha stabilito il mio record di ‘preferito’: otto persone in meno di 24 ore hanno deciso di scegliere la stellina. Beh, che dire, grazie. Il ViaDelCamp (qui il video di Guido Arata) è stata un’ottima occasione per incontrare qualche amico e conoscerne di nuovi; purtroppo la pioggia (io odiooo la pioggia) ha rovinato parzialmente quella che poteva diventare una giornata memorabile. Peccato. Ho apprezzato comunque il pranzo, la focaccia, il cappotto di Chiarula, il megafono, le storie di Roberto Dadda, i cappelli dei bloggers, l’aperitivo alla Locanda di palazzo Cicala e anche, ma si, il giro per Genova. Ho apprezzato meno la mostra dedicata a Fabrizio De Andrè (inferiore alle attese) a Palazzo Ducale e l’asilo nido che ha disturbato la mia quiete; ma tranquilli cari papà, la prossima volta arriverò preparato. Ho scelto il bianco&nero perché è perfetto per dare alle foto un’idea di reportage/street
Niente di speciale. Semplicemente un ricordo del mio Capodanno. Anche se in realtà la foto è di qualche mese prima… :)
Il 5 maggio è davvero troppo lontanto nel tempo per la mia voglia di PhotoBlog. Questa foto è stata scattata l’inverno scorso da Quarto, proprio nel punto preciso (così dice la ‘leggenda’) da cui Garibaldi, con i suoi Mille, salpò alla volta della Sicilia. E’ una panoramica di Genova scattata proprio dal celebre scoglio. Quel giorno faceva un freddo polare: si evince dalla neve sulle alture genovesi. Ho utilizzato una sfocatura artefatta di mia ‘invenzione‘; mi piace questo effetto anche se, quasi sempre, è fine a se stesso. E adesso non resta che fare finta che oggi sia l’anniversario della Spedizione dei Mille. :)
Devo ammettere che adoro questo tipo di minimalismo un po’ sciupato, con colori semplici e lineari, che fa molto pellicola anni 70/80. In casa ho decine di foto con questo tipo di colorazione scattate da mio padre con la Nikon F, sembrano quasi rovinate, ma in realtà è una scelta di campo che ricorda, per certi versi, un certo Luigi Ghirri. Magari, eh?
Sabato 3 giugno, dopo aver festeggiato il compleanno del maestro Luzzati, ho fatto un salto al Piccolo Teatro della Corte di Genova. Avevo promesso a Mariagrazia che sarei andato a fotografare il loro saggio di fine anno e amo mantenere le promesse. In programma c’era “Un posto luminoso chiamato giorno” di Tony Kushner; una commedia ambientata a Berlino poco prima della seconda guerra mondiale con aperti riferimenti a Reagan e agli anni 80. Una commedia difficile, complicata, anche complessa da capire per gli spettatori. La situazione fotografica era il massimo della difficoltà: proibito fotografare. Mi sono dovuto lecchinare il regista dello spettacolo Massimo Mesciulam ma sono riuscito ad ottenere la possibilità di scattare senza flash da posizione defilata. Considerando le dimensioni del Piccolo Teatro della Corte (veramente molto piccolo) e la luminosità, quasi zero, della scena ho fatto un piccolo miracolo. Ho dovuto scattare quasi esclusivamente a 1600-3200 ISO, ovviamente a mano libera, con lo zoom 100-300; un’impresa. Qualcosa comunque sono riuscito a portare a casa. Devo ammettere che i giovani attori sono stati davvero bravi: la commedia di Tony Kushner non è per niente facile e l’interpretazione dei personaggi tremendamente importante alla comprensione della storia.
Scritto da Tony Kushner nel 1985, A bright room called day (Un posto luminoso chiamato giorno) tratta dell’impotenza degli esseri umani di fronte a quella “banalità del male” che si perpetua nella Storia sempre con le stesse dinamiche dirompenti. Una pièce dalla sensibilità fortemente moderna, con un linguaggio fluido e brillante, che oscilla tra i toni della sit-com e il monologo shakespeariano, con risvolti inevitabilmente tragicomici quanto drammatici. Uno spettacolo intriso di suggestioni brechtiane, dalla vibrante forza civile, che ci costringe a rivolgere un pensiero ai meccanismi del potere, nelle sue piccole e grandi manifestazioni, e a ridefinire la nostra identità in senso umano, prima che sociale e politico.
Sabato scorso (3 giugno), prima dell’incidente, sono stato invitato a Porta Siberia. Al Museo Luzzati si festeggiava il compleanno del maestro. Io mi trovavo all’interno come fotografo di scena e aiuto regia. Emanuele Luzzati è un personaggio schivo, semplice e molto interessante. Alla sua festa sono intervenuti personaggi di spicco e critici d’arte, probabilmente non solo per il buffet e per la torta; buffet del quale, d’altronde, quasi nessuno ha usufruito. Per ovvi motivi di copyright non posso pubblicare le foto, ne pubblico solo tre che ho evitato di coprire dei diritti di autore. Si evidenzia, nella terza foto, la timidezza degli invitati di fronte al buffet, rimasto deserto. Ovviamente io ho mangiato l’impossibile e forse qualcosa di più. Ottimo il vino bianco.