Questa notte ha iniziato a nevicare, la prima nevicata della stagione e come sempre porta una certa euforia nell’aria. Dalle temperature potrebbe essere un classico Bianco Natale. Ero in Cuneo, in piazza Virginio dove sono allestiti (causa maltempo) i mercatini di Natale (musica horror in sottofondo) originariamente previsti in Contrada Mondovì. Ho intuito le potenzialità del tramonto che si stava sviluppando: come un attaccante di alto livello mi sono smarcato e con una finta sono andato sul Lungostura JFK. Le mie previsioni erano corrette e il tramonto stava concludendo il suo percorso per trasformarsi in ora blu. Per mancanza di tempo ho scattato senza treppiede (nonostante fosse nello zaino) aprendo il diaframma al limite del consentito per avere un tempo di scatto accettabile; mi sono spostato per una ventina di metri a ritroso, ho scattato per 5 minuti di orologio giusto in tempo per rientrare in campo e non far notare la mia assenza.
Ha nevicato. Il terrazzo è bellissimo, vedo la neve intonsa e le montagne che vigilano. Dopo i fiocchi di neve di questa notte il cielo si è pulito, un timido sole riscalda il freddo della mattina, l’aria è frizzante, ma positiva. Non voglio camminare perché ho paura di rovinare la poesia, la perfezione: non c’è una regola, non è matematica eppure è tutto così preciso che sembra ragionato a tavolino. Rimango in silenzio sulla porta ad osservare la magia e non trovo parole, non ho il coraggio di avventurarmi all’esterno, non voglio provare imbarazzo per le mie impronte. Forse è una scusa, perché il freddo arriva anche qui e punge la pelle del viso in modo quasi doloroso. E’ inverno e la neve è un simbolo, una geometria quasi perfetta che mi racconta il senso della natura.
Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi?
– Giacomo Leopardi
Sulla croce che domina il Sass Pordoi c’è un targa con una scritta particolare: “Cercate le cose di lassù. 50° Anniversario 1962-2012”. E’ stata aggiunta, e si capisce, nel 2012. E pensare che da quasi 60 anni (l’anno prossimo) questa croce domina una delle più conosciute cime delle Dolomiti è tristemente aberrante. Il tema delle croci in vetta alle nostre montagne è dibattuto da tempo e non può lasciare indifferenti soprattutto in un paese che si professa laico. E’ una delle cose al quale non si pensa mai, eppure nella natura incontaminata si continuano a costruire gigantesche strutture in metallo, plastica, cemento e vetroresina, generalmente di rara bruttezza (e pericolosità). Non confondiamo l’immanente con il trascendente. Ogni giorno che passa è un giorno perso: iniziamo a decrocifiggere la montagna.
Non c’è vetta di monte che non sia stata marcata da un qualche simbolo religioso, il crocifisso in testa a tutti, soprattutto nel nostro paese. La sommità delle montagne è stata luogo privilegiato della trascendenza, metafora dell’ascesa al cielo, sentiero di purificazione interiore. È sembrato perciò normale appropriarsi di questi vertici, della loro potente suggestione per veicolare il sacro. Allora percuoterli, scavarli, cementificarli per collocarvi sopra una più o meno grande croce è parso ovvio, una testimonianza di fede, un luogo privilegiato per il contatto col divino.