Il Santuario di Santa Lucia si trova nel comune di Villanova Mondovì, abbarbicato in cima alla montagna sulla strada che porta verso Roccaforte. Si tratta di un antico ospizio costruito fra il 1500 e il 1800 aggrappato alle pendici del Monte Calvario, a strapiombo sul torrente Ellero. La sua particolarità è la Chiesa principale ricavata all’interno di una grotta nel quale è conservata la statua di Santa Lucia; questa caratteristica inserisce Santa Lucia in una rete di spettacolari santuari incastonati nella roccia e che comprende, fra gli altri, il Santuario Madonna della Corona a Verona e il Santuario di Rocamadour in Francia.
Diciamo che il santuario di Santa Lucia – quel nido d’aquila aggrappato alla roccia che probabilmente tutti conoscono, se non altro per averlo visto percorrendo la strada Villanova-Roccaforte – consiste essenzialmente in una grande caverna naturale scavata nella roccia calcarea che si apre su un fianco del monte Momburgo, comunemente detto Monte Calvario. La grotta – profonda una ventina di metri e larga pressappoco 8 – è stata adattata da alcuni secoli ad aula ecclesiale e dedicata alla venerazione di S Lucia di Siracusa, martirizzata durante la persecuzione di Diocleziano intorno al 304 d.C. Completano questa grotta-chiesa due edifici costruiti rispettivamente davanti e di fianco ad essa, appollaiati su una ripida parete rocciosa.
Il Santuario fu molto importante durante la resistenza partigiana fra il 1943 e il 1945. Qui veniva stampato clandestinamente la Rinascita d’Italia, curato dal prof. Giovanni Bessone. Nel sottotetto, nascosti e protetti dalla suore e da don Pietro Servetti arciprete della parrocchia di Santa Caterina di Villanova, trovarono rifugio molti partigiani tra cui il frabosano don Giuseppe Bruno, soprannominato “il prete dei Partigiani”, che fondò il gruppo “Azione e ordine”.
Chiniamo il volto rigato di lacrime sui nostri morti, sulle rovine dei nostri paesi, ma diciamo a tutti i fratelli che crediamo sempre più fermamente, proprio per il nostro strazio, alla
Rinascita d’Italia. Perché ogni nascita si compie, per ineluttabile legge di natura, nel dolore e nel sangue.
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La ‘Ceramica Musso‘ è una delle aziende storiche del passato ceramico monregalese: nel secondo dopoguerra si è trasformata in Optilux e quindi ancora in Hellerval per poi chiudere definitivamente; non saprei dire l’anno, ma ho visto fatture (ovviamente sparse ovunque) datate 1971. In rete non si trova molto e quindi diventa difficile riuscire a fornire indicazioni attendibili e date precise; non sono riuscito nemmeno a capire cosa venisse prodotto negli ultimi anni di vita sotto il nome di Hellerval, anche se si trovano strane lenti (tipo da occhiali) ammassate in tutti gli angoli dello stabile. L’edificio è situato in una zona residenziale, ma non troppo, di Villanova Mondovì ed è abbandonato da talmente tanti anni che gli abitanti del posto non ci fanno quasi più caso. Dentro è enorme, ho perso il conto delle stanze e dei padiglioni: ho trovato animali selvatici, un motocarro di chissà quale anno, lo scheletro di una moto, una carriola distrutta, apparecchiature di vario tipo (la maggior parte delle quali assurde), una telescrivente (almeno mi sembrava), un paio di bilance e montagne di libri contabili. L’aspetto è decisamente decadente, si ha l’impressione che il tutto possa crollare da un momento all’altro. Quello che si respira però non è la solita aria di abbandono e di distruzione: qui c’è, in confronto ad altri posti simili, un sensazione di rispetto, di rispetto per la storia. Perché se questi muri potessero parlare racconterebbero di quasi 200 anni di fatica, di lavoro, di guerra; perché la Ceramica Musso, essendo nata nel 1851, è riuscita a sopravvivere a due guerre mondiali. E non è roba da tutti.
Annibale Musso, nipote di Benedetto, nel 1851 fondò una fabbrica di terraglia a Villanova, regione Giardini – Pradonio, con la quale raggiunse presto un buon volume produttivo. Il figlio Felice nel 1877 affiancò alla tradizionale “Vecchia Mondovì”, una produzione artistica più elevata. Fernando Musso ereditò dal padre nel 1921 la fabbrica, che nella crisi degli anni Trenta ebbe un’attività saltuaria, fino alla sua chiusura allo scoppio della seconda guerra mondiale. Nel dopoguerra l’attività riprese con un certo vigore. Mario Musso ereditò l’impianto nel 1951, ma la fabbrica vide ridursi sempre più il volume delle vendite. Nel 1964 cambiò la sua ragione sociale e sostituì la fabbricazione di terraglia con quella di supporti per resistenze elettriche.
Chi cerca oggi testimonianze visibili del passato ceramico monregalese deve portarsi a Mondovì Carassone, dove lo attendono i resti poderosi ed affascinanti della Richard-Ginori e quelli della Ceramica “La Vittoria”, oppure a Villanova, dove la fabbrica Musso conserva ancora i tratti dell’antico filatoio in cui trovò sede, a metà Ottocento. Gli altri impianti sono stati tutti abbattuti o radicalmente trasformati in modo da risultare non più leggibili.
Qualche tempo fa (settembre) ho assistito ad un’esibizione di Trial a Villanova di Mondovì. Ero il fotografo ufficioso e quindi ho avuto la possibilità di muovermi liberamente fra gli ostacoli del percorso. E’ stato un vero e proprio massacro. Fotografare una prova del genere in mezzo ai palazzi è stato frustrante; non sono riuscito ad ottenere una sola foto pulita. L’organizzazione dell’evento invece è rimasta soddisfatta perché nelle foto si vedono il pubblico e la città (una chiesa, abitazioni, un paio di negozi, le macchine parcheggiate); e pensare che io per tutto il tempo dell’esibizione ho cercato di isolare i motociclisti dallo sfondo. Ne pubblico due, ma una solo foto mi piace. E per ottenerla mi sono visto costretto ad andare giù pesante di timbro clone: da dentro al tubo di cemento ho fatto sparire un palazzo. :) Mi sembra comunque di aver ottenuto un buon risultato.