
Ultimamente mi sto specializzando in un genere fotografico tanto inaspettato quanto ambizioso: fotografare le mostre di fotografia. Sì, avete capito bene. Vado a vedere le mostre… e finisco per fotografare la mostra stessa. È praticamente diventata una consuetudine.
Durante una visita alla Galleria d’Italia per la mostra di
Carrie Mae Weems mi sono imbattuto in un corridoio che introduceva
il progetto North Star 2022. C’erano degli ovali appesi, dal significato sicuramente profondo, che però non sono riuscito a comprendere (in una mostra fotografica soprattutto). Erano strani, lo ammetto, e in un contesto fotografico
mi hanno completamente spiazzato. Il motivo di queste
opere era comunque spiegato nella descrizione del progetto:
una sequenza spaziale che ci dovrebbe ricordare le migrazioni intraprese dagli schiavi che fuggivano verso il Nord. Ambizioso direi.
Quel corridoio, però, era così perfetto nelle sue linee, nei vuoti bianchi e nei contrasti che creava, che non ho saputo resistere: ho scattato qualche foto, come se quella scena fosse stata pensata per essere fotografata (non sono stato l’unico). A volte, gli allestimenti delle mostre fotografiche sono talmente affascinanti che dimentichi il motivo che ti ha portato in quelle sale e ti ritrovi ad ammirare anche l’ambiente che ti circonda.


Sabato sono stato a Torino per visitare alcune mostre fotografiche (quella di Henri Cartier-Bresson a Camera era davvero stupenda, emozionante, una documentazione straordinaria del nostro paese nel secolo scorso) e, passeggiando in direzione Piazza San Carlo, quasi per caso, sono capitato in via Bruno Buozzi, dove mi sono imbattuto in un’opera davvero molto particolare (e sorprendente): due mani bianche che sorreggono un pianeta rosso… Marte.
Il messaggio che l’opera vuole trasmettere è chiaro e potente:
la conoscenza dello spazio è nelle nostre mani. Siamo noi, grazie alla curiosità e alla tecnologia, ad avere il potere di esplorarlo e studiarlo. Un’installazione che si collega a una mostra altrettanto affascinante,
Macchine del tempo. Il viaggio nell’universo inizia da te, ospitata alle Ogr fino al 2 giugno.
Questa mostra, ideata dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), offre un’esperienza immersiva che accompagna i visitatori in un viaggio attraverso stelle, galassie, pianeti extrasolari, asteroidi e buchi neri. Un percorso che mescola installazioni interattive, ambientazioni coinvolgenti e videogiochi in stile anni Ottanta, permettendo al pubblico di esplorare la storia dell’Universo grazie alle scoperte scientifiche più recenti.

Sospesa in un pensiero lontano, come se il mondo attorno fosse sfocato e distante. La luce accarezza il suo profilo con dolcezza, raccontando una femminilità intima, fragile e profondamente autentica. Nulla è forzato, tutto è naturale: un momento semplice, eppure carico di emozione. Un battito d’ali, un soffio di vento, un frammento di silenzio che sembra infinito. Un’emozione che resta, lieve e potente, da osservare con rispetto e meraviglia.

Maliziose, intriganti, originali, dolci, rumorose, grintose, incazzate e fuori di testa, si descrivono così sul loro sito. Le Bambole di Pezza sono una band rock italiana interamente al femminile, originaria di Milano: suonano un rock potente e sempre coerente. Il loro pezzo che preferisco è sicuramente Le streghe, una canzone che mi è subito entrata in testa perché molto orecchiabile e con un testo intrigante e divertente. È da sempre nella mia playlist delle preferite. Dopo una pausa di riflessione e di lontananza dalla scene, nel 2022, le due chitarriste, Morgana Blue e Dani Piccirillo, ripresero il progetto sotto il vecchio nome, con tre nuove compagne d’avventura: la cantante, Martina Ungarelli, e rispettivamente al basso e alla batteria, Caterina Dolci e Federica Rossi.
Negli ultimi tempi la band ha dato alle stampe
il nuovo album Wanted e la canzone
Cresciuti male, con l’importante featuring di
J-AX, è diventata molto popolare, trovando spazio anche nelle rotazioni delle radio più importanti. Quando ho scoperto che il 7 marzo avrebbero suonato al CAP10100 di Torino, non mi sono fatto scappare l’occasione: ho preso il biglietto (a dicembre). Il club torinese è
il posto perfetto per un concerto rock, spazioso, con un bel palco e una buona acustica. La cosa che mi piace di più è che permette di fotografare con tranquillità sia dal palco che dal fondo della sala, senza troppe limitazioni e
con un pubblico educato che ascolta, si scatena, balla, ma non spinge.
Ho scelto 34 foto, cercando anche di includere, in alcune immagini, il pubblico, per dare un senso più intrigante e coinvolgente agli scatti. Non esiste una zona riservata ai fotografi al CAP10100, quindi mi sono avvicinato il più possibile, cercando di catturare l’entusiasmo e l’erotismo che le Bambole di Pezza sprigionano sul palco, anche con un tocco di voyeurismo (perdonatemi il termine) nelle immagini. Ecco le Bambole di Pezza, in tutto il loro splendore.












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