Quando si dice dimenticato da dio. Il significato è decisamente chiaro: sperduto, isolato, disabitato, squallido, desolato. Teologicamente parlando è impossibile, dicono che se Dio smettesse per un attimo di desiderare l’esistenza di un qualsiasi mio capello, esso cadrebbe immediatamente nel nulla. Poi se parliamo di una chiesa il significato acquisisce un significato ancora meno tangibile. Eppure quando penso alla Chiesa del Cristo sdraiato è proprio il concetto di dimenticato da dio che mi viene in mente. Siamo in una valle sperduta dell’appenino Emiliano, in provincia di Piacenza, intorno a noi è il deserto. Per arrivare si deve percorrere una lunga strada sterrata che il pensiero è quello di finire nel nulla. Ed in effetti è quella la sensazione quando si arriva alla meta: la chiesa cade a pezzi, è recintata, abbandonata, solitaria. Perché costruire qui un’opera del genere? E’ un mistero, ma la fede non si spiega. Capisco l’ascetismo, ma a tutto c’è un limite. All’interno si vive in un mondo irreale, immobile, il tempo si è davvero fermato in un istante, come se gli orologi avessero smesso di colpo di funzionare. I motivi purtroppo sono facilmente comprensibili.
Quando si entra si rimane subito colpiti da una particolare statua di un Cristo sdraiato, molto importante nell’equilibrio religioso della navata principale: è l’emblema della sofferenza e tutta la chiesa dà l’idea di soffrire in attesa che sopraggiunga la morte dell’oblio.
E quando si esce la domanda che risuona è sempre la stessa: ma perchè?
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La chiesa blu (dabluldirabluldai come direbbero gli Eiffel 65) è un altro di quei luoghi urbex che ormai fanno parte della cultura e dell’immaginario del mondo dell’esplorazione urbana. E devo ammettere che quando mi sono ritrovato al cospetto di quel blu, blu classico com’è stato definito, ho avuto un tuffo al cuore. Perché dal vivo è ancora più bella e intensa che in fotografia e quel blu è davvero una magia, si tocca con mano, è percettibile e non è un’esasperazione della post-produzione come si potrebbe pensare osservando le immagini. E poi c’è questo crocefisso appeso al soffitto, bellissimo, enorme, che regala alla scena una meravigliosa aurea mistica e ti lascia quasi senza fiato. Purtroppo i vandali, perché i cretini esistono e sono intorno a noi, hanno scoperchiato la cripta spaccando la lastra di marmo che la ricopriva e rovinato parte della canonica con scritte e devastazione. Come disse Albert Einstein: “Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, ma riguardo l’universo ho ancora dei dubbi“.
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In mezzo ad una fitta vegetazione è nascosta questa piccola cappella che è stata oggetto di molte cronache ed altrettante dicerie. Tanto che questo luogo è quasi temuto dalla gente del posto. Questa costruzione è un’autentica opera d’arte edificata in epoca contemporanea al castello poco distante. Originariamente destinata a cappella funeraria della famiglia proprietaria del castello, la Chiesetta rappresenta oggi un esempio di rara e ricercata architettura.
Ma intorno ad essa ci sono strane storie: molte persone affermano addirittura di aver notato in alcune notti persone incappucciate girovagare nei dintorni di questa chiesetta e al castello vicino. In effetti oltre alle voci della popolazione, all’ interno di questa chiesetta sono stati lasciati segni che lasciano proprio pensare a questi riti, loculi profanati, candele, rituali scritti e piccoli animali sacrificati di fronte ad un altare “artigianale” fatto sul momento. Così da tempo questo piccolo gioiello gotico è meta di occultisti e investigatori del paranormale.
Foto di/Photo by Samuele Silva – Parole di/Words by Lorena Durante.
L’eremo di Lanzo è un vero e proprio gioiello dell’architettura barocca. Fu uno dei quattro eremi camaldolesi costruiti nel Seicento in Piemonte assieme a quelli di Torino, Busca e Cherasco, edifici in cui i monaci vivevano in celle in solitudine e preghiera. Nel 1836, dopo la soppressione dell’ordine dei camaldolesi, l’eremo venne affidato ai carmelitani scalzi che lo gestirono sino alla soppressione degli ordini religiosi. Venne convertito in sanatorio, prima per la cura dei reduci di guerra e quindi, infine, per i malati di tubercolosi. Venne chiuso definitivamente nel 2013 e oggi versa in uno stato di degrado davvero vergognoso. La strada che porta all’eremo è chiusa (si fa per dire) e completamente dissestata: la vegetazione si sta riprendendo i suoi spazi in uno scenario degno di Walking Dead. Gli accessi, nonostante i tentativi di chiusura, sono sfondati e chiunque può entrare nell’Eremo senza troppe difficoltà. Dentro non è rimasto più nulla di prezioso: gli archivi sono devastati, i muri cadono letteralmente a pezzi, le porte non esistono più. E’ un vero peccato che una risorsa di questo tipo sia diventata un problema. Ripartire dalla storia e dall’arte per permettere all’Eremo di rivivere è un dovere, non solo morale, dettato dalla nostra costituzione.
Articolo 9: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione”.
Dove molti vedono solo grigiore, io scorgo opportunità.
– D.Gonella