E finisce così, con la strada che si presenta ai miei occhi. Una strada ancora lunga, da percorrere -come sempre- a tutta velocità. In questi due mesi ho provato a raccontare il mio viaggio in Islanda: 49 articoli per 160 immagini. Un viaggio meraviglioso e faticoso, che mi ha migliorato (credo) come persona e come fotografo. E forse la prima volta che riesco a pubblicare un reportage di viaggio senza soluzione di continuità, ma dovessi scegliere una foto simbolo del viaggio davvero non saprei davvero da che parte iniziare. Da domani si riparte. Goodbye Iceland.
L’ultimo dell’anno ho deciso per una passeggiata in paese, poco prima del tramonto. Volevo provare il Mir-1B 37 F/2.8 e sono uscito per andare a trovare una vecchia parente. Ho scattato un po’ di street cercando di districarmi con il fuoco manuale e la scarsità di luce, un’impresa, ma devo ammettere che il piccolo moscovita (59×56 per 185 grammi di vetro e acciaio) mi ha sorpreso positivamente. Ha tutti i difetti degli obbiettivi economici d’oltre cortina del secolo scorso, quindi poca nitidezza a tuttaapertura e bordi pastosi a qualsiasi diaframma; inoltre il trattamento delle lenti è quasi inesistente e il rischio di flare e riflessi strani è sempre in agguato soprattutto in presenza di controluce (anche minimo). L’ho distrutto in meno di quattro righe, ma nonostante i problemi di progettazione devo ammettere che le foto sono interessanti e mostrano una certa poesia. Questa è l’ultima che ho scattato poco prima di rientrare, in post ho aumentato la nitidezza e dato un tocco di color grading: non credo mi andrò ad avventurare in stampe di dimensioni enormi, ma la trovo una foto davvero gradevole e con un’atmosfera sovietica tipica del 1958. D’altronde il freddo era molto simile e in principio era la neve.
Anche se il futuro sembra lontano, in realtà comincia proprio adesso.
– Mattie JT Stepanek
Per il sottoscritto è stata un’estate un po’ particolare. Ho lasciato da parte la vita mondana e la fotografia (e il photoblog di conseguenza) e mi sono dedicato allo sport. Il lockdown deve avermi lasciato qualche strascico nel cervello e ho iniziato a correre, correre, correre. Ho la fortuna di avere dietro casa una serie incredibile di spazi verdi, di campagna: e respirare l’aria di queste zone è linfa vitale. E’ c’è uno scorcio del quale mi sono innamorato e tutte le volte mi ripromettevo di venire a bloccare l’attimo. E alla fine (dell’estate) ci sono riuscito. E quello che considero My Place: è dietro casa e mi sembra di correre in paradiso.
Le giare sono tavolati basaltici tipici del Sarcidano e della Marmilla situati nella parte centro meridionale della Sardegna. La più conosciuta è sicuramente la Giara di Gesturi, celebre per ospitare gli ultimi cavalli selvatici d’Europa. Sino al tardo medioevo tutto il territorio dell’isola era abitato da mandrie di cavalli allo stato brado; oggi purtroppo sono rimasti pochi esemplari che vivono liberi nella Giara di Gesturi. Il nostro intento era quello di riuscire a salutarli (e fotografarli) e con una bambina di due anni non è stata un’impresa facile. Purtroppo ci siamo limitati a percorrere solo il primo tratto del lunghissimo percorso escursionistico, ma la dea bendata è arrivata in nostro soccorso: i famosi cavallini della Giara hanno deciso di aspettarci. Tutto il percorso è semplice, pianeggiante e lo spettacolo naturale fornito dalla vegetazione è qualcosa di incredibile. Io personalmente sono rimasto molto colpito dai Paulis: non saprei come definirli, si tratta di enormi depressioni del terreno che lasciano senza parole. Ho scattato diverse foto, sempre con il grandangolo ed il polarizzatore. Purtroppo il sole del primo pomeriggio non mi ha aiutato molto, anzi, ma questo è il massimo che sono riuscito a fare. Mi piacerebbe riuscire a passare qualche giorno in zona e fotografare all’alba e al tramonto; ma credo che per il momento dovrò accontentarmi.
La giara di Gesturi, detta anche in lingua sarda sa jara manna, è la più grande delle giare. Si estende per 45 km² ripartiti nei comuni di Gesturi, Tuili, Setzu e Genoni. È costituita da un’immensa colata di lava basaltica eruttata circa 2.7 milioni di anni fa dai crateri dei vulcani (oramai spenti) di Zepparedda (609 m) e di Zeppara Manna (580 m). Il territorio è caratterizzato per il suolo particolarmente sassoso, ricoperto da sugherete e da macchia mediterranea, disseminato di piccoli specchi d’acqua raccolti in caratteristiche depressioni, chiamate paulis, che nei periodi invernali si riempiono d’acqua e in primavera sono coperte da una flora molto colorata, costituita da specie endemiche: esse sono utilizzate per abbeverarsi dagli ultimi cavalli selvaggi d’Europa: i cavallini della giara. Molto particolari sono anche gli alberi a bandiera, querce da sughero che il forte e continuo maestrale obbliga ad una crescita obliqua (verso est).