Per la rubrica Samuele prova cose -rubrica copiata sul momento- ieri pomeriggio sono andato al mercatino di Natale di Asti. Dicono sia il più bello del Piemonte e uno dei migliori d’Italia. Non sono rimasto deluso, il numero delle tipiche casette natalizie è importante (credo superiore a 100) e la quantità di roba inutile e pessimo street food è veramente altissima. Se aggiungiamo il giorno festivo e la giornata soleggiata potete immaginare la confusione e il delirio.
Il Mercatino di Natale di Asti è l’unico in Italia a essere entrato nella Top Ten dei migliori mercatini d’Europa per la classifica di European Best Destinations.
Fra le menzioni speciali devo segnalare le lunghissime code per mangiare qualsiasi cosa: 30 minuti per le frittelle di mele, 50 minuti per gli arrosticini, 5 minuti per il vin Brulè (6 alpini, uno che versa lentamente, uno che prende i soldi, 4 che guardano). Per fortuna avevo con me dei biscotti salati perché l’idea di stare in coda alle poste mi uccide, figuriamoci mezz’ora per un arancino, al freddo, e con intorno la gente. Ho trovato comunque tutto quello che ci si può aspettare da un mercatino di Natale: prodotti tipici, formaggi e salami venduti al prezzo del tartufo, l’immancabile focaccia ligure, artigianato, chincaglieria, la lavanda, il miele, il sale dell’himalaya in forma di lampada, cappelli di lana, guanti, sciarpe, addobbi natalizi. Insomma, una domenica alternativa per iniziare a respirare le vibes natalizie e scattare qualche foto un po’ diversa dal solito.
Nei giorni di apertura potrete passeggiare tra luci scintillanti, profumi e musica natalizia, lasciandovi conquistare dall’atmosfera festiva. Il Mercatino di Natale di Asti vi aspetta per regalarvi momenti indimenticabili e aiutarvi a scoprire lo spirito più autentico delle feste. Che siate in cerca del regalo perfetto o desideriate semplicemente immergervi nell’atmosfera festiva, il Mercatino di Natale di Asti è pronto ad accogliervi con il suo calore e la sua magia senza tempo, promettendo un’esperienza indimenticabile per tutti.
In realtà il tasso non è proprio agevolato, anzi, è complicato. Si tratta di un’abitazione sicuramente disabitata, ma di certo controllata; sono passato nella vicina fornace (brutta) quando ho notato la villa di fronte. Lo stato esterno (buco nella rete, porta aperta e giardino non curato) dava la classica impressione dell’abbandono: mi sono fatto prendere dalla curiosità e ho deciso di verificare. Dopo essermi avvicinato al cancello, il lucchetto non era recente, ho notato che proprio di fianco la rete di recinzione era completamente divelta. Sono passato oltre e mentre mi avvicinavo alla porta di ingresso è scattato l’allarme: fortissimo, insistente, rumoroso. Ho fatto due passi indietro, a quel punto non era più abbandono evidente, e sono tornato nel mondo libero.
Appena tornato a casa mi sono messo alla ricerca di informazioni per capire se nel passato qualcuno avesse osato ignorare l’allarme e tentare ugualmente la visita. Non ho impiegato molto a scoprire i meravigliosi scatti del celebre fotografo olandese Wim Van Blisterkof; ho provato a contattarlo per verificare se le informazioni in mio possesso fossero corrette e mi ha confermato che al momento della sua infiltrazione non era presente nessun allarme e mi ha spiegato come il cancello all’epoca della sua visita (non ha voluto rivelarmi il quando) fosse spalancato; arrivo sempre in ritardo, maledetti olandesi.
(Foto pubblicate per gentile concessione del fotografo olandese Wim Van Blisterkof).
Villa Margherita è uno dei miei obbiettivi urbex da sempre, sempre sfiorata e mai realizzata, finalmente ieri sono riuscito a fotografare la celebre scala; perché mi è stato detto che quella era l’unica cosa interessante. In effetti c’è poco altro e l’unica fotografia che merita il viaggio è quella di questo bellissimo atrio. E non è una foto semplice: la luce che entra dalle vetrate è fortissima e il rischio di bruciare le alte luci è molto alto (non è un gioco di parole). Per riuscire (e manco bene) a trovare un’esposizione bilanciata ho dovuto chiudere di 7 stop e, nonostante un obbiettivo di ottima qualità, si nota una certa aberrazione luminosa nella parte alta delle vetrate: il fenomeno diventa più marcato con l’utilizzo del fish-eye e del supergrandangolo di Laowa che hanno lenti di livello inferiore (e sono soggetti a certe problematiche). La differenza di luminosità in urbex è sempre un problema, alcune volte è davvero complicato riuscire ad armonizzare la differenza fra zone di alta e zone di bassa. E poi c’è gente che fotografa senza treppiede…
Abbandonata oramai da più di vent’anni, fu precedentemente convertita a struttura sanitaria. Viene chiamata Villa Margherita in onore di Margherita di Savoia, questa villa infatti era una delle residenze del Duca Francesco IV Gonzaga, marito di Margherita. Sicuramente la cosa che più colpisce è il pavimento in mosaico, a dir poco meraviglioso, e la scala che, in tutta la sua eleganza, ci accoglie appena varchiamo l’entrata.
In questa esplorazione solitaria (si, mi capita anche di viaggiare da solo) ho provato un senso di rabbia e di vuoto. La Villa del Cattolico è un piccolo scrigno immobile, una capsula del tempo: in questa villa le stanze sono perfette, ci sono i ricordi di una vita e tutto sembra essere rimasto come l’ultimo giorno. Eppure manca qualcosa, manca una bandiera italiana. Nella stanza con il quadro, sulla poltrona d’angolo, era appoggiato un tricolore sgualcito, con i colori un po’ appassiti; ma quando sono arrivato io (e non era passato molto tempo) quella bandiera era sparita, portata via da qualcuno. È la sensazione è di fastidio, come nella Villa del Levriero sparito, ma perché?
Nel mondo urbex, come capita sempre, i nomi di questa location sono tanti e variegati.
La Villa del Paesaggista è una definizione diffusa, ma ho letto anche il gioco di parole
dei ricordi dimenticati (che se sono dimenticati difficile possano essere ricordi). Io ho preferito scegliere qualcosa di più classico: fra queste pareti
vivevano sicuramente delle persone molto religiose, con un importante culto della Madonna. Ho trovato
immagini sacre in quasi tutte le stanze, una moneta di Giovanni Paolo II, foto di angeli e suore, un paio di rosari, una copia dell’Avvenire, Gesù Maestro, un libro dedicato alla
Regina del Monteregale e il settimanale dei cattolici:
Il Risveglio. E il gioco diventa fisiologico, quasi naturale:
la Villa del Cattolico.
Un’altra curiosità che mi piace ricordare di questa esplorazione sono le modalità di accesso, perché sono state un po’ laboriose. Non troppo distante dalla Villa c’è il bar del paese e il paese è davvero piccolo: uno straniero, con zaino vistoso, non passa inosservato; e infatti gli astanti mi guardavano incuriositi. Ho simulato un certo interesse per il parco cittadino, bruttino a dire il vero, ma comunque i clienti del bar (era il 15 agosto) non avevano nessuna intenzione di entrare all’interno, maledetti fumatori, l’aria condizionata da queste parti non dev’essere ancora arrivata. Dopo una ventina di minuti la zona si è liberata e sono riuscito a passare inosservato, mi sono avvicinato all’entrata della villa (è tutto spalancato), ma quando ero pronto ad infilarmi nel giardino, da una via laterale spunta un trattore (è zona bucolica). Fischiettando sono andato dritto e ho superato la casa guardando con la coda dell’occhio il contadino con il suo mezzo pesante. Quando è partito nella direzione opposta ho fatto rapidamente marcia indietro e sono entrato furtivo nel giardino. Quando si esplora in solitudine si riesce a passare inosservati, a dare meno nell’occhio (nessuno ti nota), ma il rovescio della medaglia è un maggiore stato d’ansia. I rumori sono più fastidiosi.
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Nel suo post Lorena ha limitato la descrizione a lucchetti e porte chiuse, io preferisco anche aggiungere vetrate perché è vero che il concetto di base di questa esplorazione è un altro (cioè il lucchetto che ci ha impedito di entrare), ma è anche importante evidenziare che le foto sono dedicate alle bellissime vetrate che si presentano lungo la scala che porta alla presunta villa abbandonata. Non sempre quando si trova un urbex (è un modo molto giovane di indicare i luoghi abbandonati) è possibile visitarlo: molte volte sono chiusi, sono proprietà privata ed esiste un proprietario che controlla: in poche parole non sono realmente abbandonati (anche se magari sembra). Nel caso si prende atto della situazione e si abbandona l’idea di infiltrarsi.
L’amore è come un lucchetto… devi trovare la chiave giusta.
– Myriam Filteau
Quando sono in giro mi capita (sovente e volentieri) di segnare posizioni interessanti con l’idea di tornare a controllare. Questa casa abbandonata era un pin che avevo inserito da tempo nella mia mappa personale; e quando ho visto le immagini e sono riuscito a collegarle alle coordinate ho pensato ad alta voce: “Ma focca la bindella“; avevo scoperto una location interessante e mi ero bruciato l’occasione di entrarci per primo. Che poi non è che sia questa meraviglia assoluta, ma presenta spunti -soprattutto fotografici- molto interessanti.
Ogni ragnatela ha un ragno in colpa.
– Alda Merini
Ci sono andato una prima volta l’anno scorso, poi sono tornato con alcuni amici francesi e nulla da fare: totalmente blindata e chiusa. Adesso ho scoperto che qualcuno ha pensato di renderla nuovamente fruibile al grande pubblico urbex: purtroppo il secondo piano è molto pericolante e l’esplorazione potrebbe riservare brutte sorprese. Mi raccomando fare molta attenzione e piedi di piombo (sempre in urbex)(è un modo di dire). Il nome è un omaggio ad Alda Merini (sempre nel cuore): l’ho pedissequamente copiato per dare universalità e perché la quantità di ragnatele in questa villa è talmente grande che almeno un riferimento era necessario; non c’è un angolo che non sia stato esplorato e controllato da un ragno.
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