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Gip nel televisore
POSTED ON 16 Lug 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX

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Gip nel televisore e altre storie in orbita è un libro, decisamente celebre, del grande e compianto Gianni Rodari. Lo ricordo come il mio primo libro, cioè il primo libro che io abbia mai letto: se non ricordo male proprio nel 1980, in occasione della morte dello scrittore. Si tratta di un libro del 1967, un racconto di fantascienza per ragazzi decisamente in anticipo sui tempi: Gianni Rodari era quello che adesso chiameremmo visionario. E quando sono entrato in questa cascina abbandonata mi è subito tornato in mente, perché il libro parla di un bambino che entra dentro un televisore (vaghi ricordi di infanzia) e il televisore in una stanza di questa cascina mi ha ricordato proprio la copertina di quel libro. Strani collegamenti della memoria, non pensavo a Giampiero Binda (detto GIP) da almeno 20 anni: il libro dev’essere ancora nascosto in soffitta; andrò a cercalo per farlo leggere a mia figlia.

È stata un’esplorazione in solitaria, come dico io per recuperare: era pieno inverno, faceva un freddo terribile e mi ricordo che per arrivare in questa cascina si deve scollinare una piccola salita, e questa salita, ripida, era ricoperta di merda di mucca congelata: dovevo proprio evitarla per riuscire a salire perché era ovunque. Dall’esterno non sembra molto invitante, il tipico cascinale di campagna piemontese, oltretutto in condizioni molto disastrate. Però quando si entra si scoprono una serie di piccoli tesori: una stanza con un camino bianco, la macchina da cucire, le rovine, i piccoli oggetti. Nasconde una bellezza che a prima vista non si comprende dall’esterno; e poi ci sono questi televisori a valvole e transistor, tipici del secolo scorso. Quello che mi ha sorpreso maggiormente è quello piccolo, sopra una catasta di legna, ed è proprio quello che mi ha ricordato la copertina del libro di Rodari.

Gip nel televisore, non avrei potuto dare altro nome, è una di quelle location urbex che non sembrano così interessanti e in effetti non lo sono. Sembra lapalissiano. Ma poi quando guardi le immagini scopri che le foto sono attraenti, nascondono una vera e tangibile anima urbex che magari altri posti, più famosi e celebrati, non hanno. E’ il fascino di queste cascine abbandonate, che sembrano non offrire nulla, ma che in realtà sono piccoli tesori nascosti.

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Il regalo di Nozze
POSTED ON 10 Lug 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX

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Villa dei Cipressi ha una struttura architettonica molto simile alla tipologia tradizionale delle dimore signorili sparse nella campagna toscana, una costruzione salda e quadrata, strutturata su tre piani; da fuori sembra rigorosa e spartana, mentre all’interno è poetica e armoniosa. Non si hanno informazioni reali sulla costruzione della Villa, le fonti più attendibili dicono che venne costruita alla fine dell’800 sui resti probabilmente di un edificio meno importante.

Da questi la proprietà passò a Luigi Sani di Giuseppe, in società coi fratelli Berni e quindi per successione a Telene Sani, e alla di lei figlia Gemma che la portò in dote ai Betti e precisamente al dottor Icilio.

Le informazioni sono lapidarie e confuse. Icilio Betti volle donare alla sua amata qualcosa di meraviglioso come regalo di nozze. Per realizzare la sua idea Icilio chiamò il fiorentino Galileo Chini, uno dei giovani pittori liberty più conosciuti dell’epoca: la stanza più importante del piano nobile, il salone, venne dipinta con due affreschi di straordinaria bellezza. Questa è la narrazione poetica, la magia, in realtà non ci sono molte certezze: nel 1981 una verifica da parte della Soprintendenza non rilevò alcun elemento meritevole di tutela. Nel 1983 durante un ulteriore sopralluogo della Soprintendenza, in occasione della redazione degli elenchi degli edifici di valore storico, la dottoressa Medri formulò l’ipotesi di un riferimento alla mano o scuola di Galileo Chini, ma ritenne prudente inquadrare il contesto artistico e nella scheda di vincolo fece riferimento ad artista sconosciuto.

Nel 2018 Andrea Speziali, dell’associazione Italia Liberty, osservando le foto degli affreschi attribuì la paternità dei dipinti, a Galileo Chini datandoli fra il 1898 e il 1905. Le date si confondono e diventano complicate: Gemma del Panta, moglie di Icilio Betti, morì nel 1897 all’età di 24 anni e Villa dei Cipressi passò alla famiglia Betti.

La Villa è disabitata: nel 1999 il Comune ha sottoposto l’immobile al provvedimento di vincolo storico architettonico da parte del Ministero per salvaguardarlo. Nel 2016 la proprietà è stata ceduta ad un facoltoso inglese che, secondo le voci, avrebbe l’intenzione di restaurare la villa che non è mai stata abitata, ma in un secolo, compresa la guerra, è invecchiata ugualmente, forse maggiormente. Gli affreschi attribuiti al Chini sono ormai in condizioni pessime, nel 2018 Italia Liberty provò ad organizzare una raccolta di fondi per salvare il salvabile e come sempre in queste situazioni si iniziò a parlare di museo, un museo dedicato al Liberty Italiano (un’utopia data la posizione della Villa). Purtroppo negli ultimi anni non si è mosso nulla e gli affreschi sono destinati a morire nel tempo.

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Villa del BMW
POSTED ON 7 Lug 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX

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Quella che viene definita Villa del BMW è una delle esplorazioni urbex peggiori che abbia mai fatto. Per il come, per il quando e per il risultato finale. Il come preferisco non spiegarlo, per evidenti motivi, ma basti sapere che per riuscire ad entrare abbiamo dovuto aspettare un tempo infinito. E faceva caldo, tanto caldo, un caldo allucinante per la stagione (e per il nostro abbigliamento) e ricordo la sofferenza: temperatura non prevista e attesa sono due motivi di odio profondo e insofferenza.

Poi quando siamo entrati una delusione dietro l’altra. La villa è sporchissima, ma proprio quello sporco da abbandono, brutto, puzzolente, che si attacca alle suole delle scarpe. Il disordine è cattivo, perché si miscela insieme alla sporcizia diventando fastidioso e inutile. Non sono riuscito a fotografare, in alcune stanze non sono nemmeno entrato. Le finestre sono chiuse, il buio è totale. L’odore di muffa è persistente, anche uscendo in giardino non si riesce a togliersi di dosso quella sensazione dannosa: fuori è ancora più confuso con oggetti lasciati alla rinfusa senza nessuna logica. E poi c’è la macchina, che da il nome alla villa: devastata, distrutta, buttata in mezzo al cemento come uno straccio vecchio. Brutta da vedere, anche peggio da fotografare.

Quando sono uscito mi sono tolto la maglia, lavato le mani e sono tornato a respirare. Ci sono esplorazioni urbex che lasciano ansia per la paura, per l’adrenalina. Nella Villa del BMW ho sentito un’ansia diversa, come se qualcosa mi si appiccicasse alla pelle, come ragnatele, come una melassa sotto le scarpe e contemporaneamente polvere nel cervello. Sensazioni che vorrei non provare mai più.

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Villa Piume
POSTED ON 4 Lug 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX

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Villa Piume è una piccola villetta di due piani dispersa fra le montagne. E se scrivo dispersa intendo davvero dispersa, lontana da qualsiasi forma di civiltà evoluta. Quando siamo arrivati mi è sembrato un miraggio e, prima di entrare, mi sono chiesto ma chi me l’avesse fatto fare. In realtà Villa Piume, così definità per l’esagerata quantità di piume nell’ultima stanza, è un piccolo gioiello del mondo urbex, con dilatati segni di abbandono, ma con quella calma e morigeratezza tipica delle case di montagna. Il testo scritto dall’amica Vanessa (è una traduzione) è semplicemente perfetto:

Nelle remote colline della campagna italiana si erge una villa solitaria, immersa nella storia dei suoi occupanti. All’interno, vecchi mobili in legno testimoniano un’epoca passata, mentre una pentola per la fonduta poggia sul fornello, suscitando curiosità sulle possibili origini svizzere o savoiarde dei proprietari. La polvere fluttua nell’aria, avvolgendo ogni oggetto in un velo di nostalgia. In una camera da letto, sul pavimento giace un cesto di vimini, pieno di piume anch’esse sparse per la stanza. Era questo il posto dove spiumavano i polli? In un’altra stanza scopriamo una culla piuttosto vecchia, un water e vecchie scarpe per bambini accanto a quelle di Madame. Una bella visita in un luogo probabilmente abbandonato da decenni e molto ben conservato.

Questa esplorazione mi resterà nel cuore: mentre mi trovavo al secondo piano dalla finestra scorgo due signori, anziani, che controllano la mia macchina. È chiaro che sono della zona e sono incuriositi da quell’automezzo sospetto: chi mai poteva avere l’ardire di salire in quel posto dimenticato da dio? Li sento avvicinare alla casa, e dopo qualche secondo, mi accorgo di un vociare al piano inferiore. In silenzio mi sposto nella stanza dove Lorena era intenta a fotografare: anche lei si è accorta delle presenze, non siamo soli. Dopo poco decido di scendere per presentarmi con un solare buongiorno con il risultato di spaventare a morte i due malcapitati che sobbalzano e gridano dalla paura. Ma il sorriso vince e capisco subito che l’atmosfera è rilassata: sono due inglesi, non più giovanissimi, che vivono nelle case poco distanti. Lui è bellissimo, con una barba bianca da fotografare, sono entrambi sorridenti e simpatici. Ci raggiunge Lorena e iniziamo a parlare in inglese: ci raccontano della loro provenienza, spieghiamo la passione per la fotografia di luoghi abbandonati e scattiamo un selfie ricordo. Un incontro in urbex che racconteremo ai nostri nipoti. ;)

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Trionfo Marmoreo
POSTED ON 28 Giu 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX, chuch

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In realtà si chiama Chiesa di Sant’Antonio, un classico della zona. Ma nel titolo era interessante rendere omaggio al tripudio di marmo che caratterizza questa piccola chiesa spoglia e abbandonata. L’abbiamo trovata per caso, lungo una strada di grande comunicazione: recava i classici segni dell’abbandono, abbiamo parcheggiato poco più avanti e con grande sorpresa (capita, di rado, ma capita) la porta era semplicemente appoggiata, come se la preghiera e il rispetto fossero consentiti. Quello che colpisce di questa chiesa sono le targhe che segnano la storia di una singola famiglia, come se il luogo di culto fosse una sorta di proprietà privata: il nipote che rende omaggio al nonno che l’ha adottato, il nonno che rende omaggio alla nuora, Rachele, morta a soli 38 anni: quasi 200 anni di ringraziamenti e devozione. L’ultima targa segna come data 1938, sono trascorsi quasi 100 anni.

Il lato tremendo di questa esplorazione, quasi casuale, sono le foto che non riescono a soddisfare quello che spero essere diventato un palato fino. Sono tutte incredibilmente storte e ho pubblicato solo le migliori. Sarà la fretta, sarà l’aria, sarà il caffè, ma per un certo tipo di fotografia è necessario riflettere ed agire con calma; senza urgenza, senza ansia, con interesse e voglia. È un utile promemoria per le prossime occasioni.

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Ex Istituto Gianotti
POSTED ON 23 Giu 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX, school

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Nel mondo urbex ci sono storie che sembrano essere interessanti, storie di recupero, storie che qualche volta portano, aggiungo forse, anche ad un lieto fine. L’istituto Gianotti nacque come casa per la gioventù orfana nel 1854 su proposito di don Giovanni Battista Gorla; in data 10 luglio 1854, con regio decreto, Vittorio Emanuele II ne approvò lo statuto organico. Fra i sostenitori e fondatori dell’istituto il più importante fu il Vescovo di Saluzzo, Mons.Antonio Gianotti, che contribuì generosamente a quest’opera benefica ed educativa e con atto testamentario donò la sua eredità (20000 lire, una cifra molto importante all’epoca) alla struttura che poi prese, in suo onore, il nome di Istituto Gianotti.

Negli anni si perdono le tracce dell’istituto, la storia diventa frammentaria, ma nel dopoguerra, cambiate le esigenze della città, diventa la sede delle scuole artigiane. Parliamo di arte del legno e del restauro dell’Istituto Bertoni, che nel 1990 abbandonò per trasferirsi nella ex caserma Musso e diventare Soleri-Bertoni. In questa scuola si sono formate generazioni di artigiani e falegnami saluzzesi, molti dei quali andati a bottega proprio da Amleto Bertoni, nella sua azienda che allora si trovava di fronte all’istituto.

Nell’ultimo decennio si è parlato molto di recupero, la struttura del Gianotti si trova nel centro storico di Saluzzo e potrebbe diventare un luogo importante di aggregazione. Nel 2021 è stato firmato un accordo fra la fondazione che gestisce lo stabile e la “REAM” di Torino, la società che raggruppa le Fondazioni delle casse di risparmio del Piemonte. Il progetto prevede la riqualificazione della storica sede dell’istituto che verrà trasformato in alloggi riservati a persone che vivono particolari situazioni di fragilità. Dalla firma del contratto alla conclusione dell’iter burocratico, e quindi dei lavori, sicuramente passerà del tempo e al momento in via Griselda tutto tace e nulla si muove. Sono passati quasi tre anni. E questa è la spiegazione del mio forse iniziale.

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