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Santa Maria prega per noi
POSTED ON 21 Mar 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, church, fish-eye

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Si prega per noi, che ne abbiamo bisogno. Anche se ho l’idea che serva davvero a poco, più probabilmente a niente. Questa affascinante chiesetta, originariamente più grande, ha subito nel corso dei secoli diverse modifiche strutturali. Alcuni documenti storici risalenti al 1590 descrivono l’edificio come composto da due navate, due absidi e due altari. Tuttavia, nel 1681, a causa delle gravi condizioni di degrado, fu intrapreso un restauro radicale che comportò la demolizione della navata laterale e della relativa abside, nonché il consolidamento delle pareti.

L’abside della chiesa, particolarmente affascinante, è ampia e ha un diametro di ben sei metri. È composta da una bellissima volta a cinque spicchi e, contro il muro, l’altare principale è decorato con stucchi in stile tardo-cinquecentesco, risalenti però al 1680. Sotto l’intonaco riemergono frammenti degli antichi affreschi, coperti con l’imbiancatura eseguita nel corso di un restauro settecentesco; un affresco rovinato in più punti che ritrae San Francesco d’Assisi mentre riceve le stimmate si nota ancora vicino alla porta laterale.

La foto che ho scelto come copertina è stata scattata con un obbiettivo fish-eye, il Sigma 15mm, che porto sempre con me (ha sempre uno spazio nello zaino). Devo ammettere però che ultimamente lo sto usando meno, forse anche a causa del tipo di esplorazioni in cui mi sto avventurando. In alcuni ambienti, però, il fish-eye riesce a rendere la scena più affascinante e intrigante. Quando si tratta di spazi angusti, come una piccola chiesa, la distorsione dell’ampio campo visivo unito alle rotondità tipiche di questi elementi architettonici creano un effetto molto interessante. È proprio questo che trovo affascinante, la due immagini scattate con quest’ottica mi piacciono molto perché riescono a catturare perfettamente l’atmosfera del luogo, e sono decisamente diverse dalle altre, risultando quasi illuminanti. Non è un’ottica fondamentale ovviamente, ma in certe situazioni, ma soprattutto in certi ambienti, può davvero fare la differenza.

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Villa Napoleone
POSTED ON 18 Mar 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, Mansion

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Probabilmente ho qualche difficoltà mentale, perché per me la fotografia deve essere realizzata esattamente come la immagino e come la desidero: deve essere perfetta. Vita Napoleone è stata una sorta di incubo, perché la foto più importante, quella zenitale che ritrae il meraviglioso soffitto affrescato del salone principale, non sono riuscito a realizzarla durante la prima esplorazione. Quando sono tornato in studio e l’ho guardata al monitor, non mi piaceva. Non era perfetta come la volevo. L’avevo già vista, scattata da altri, e desideravo farla meglio, in modo diverso, con una qualità superiore. Nonostante Villa Napoleone sia una location piuttosto rischiosa, con allarmi sia esterni che interni, sono tornato, perché quando mi prende una cosa del genere, una sorta di ossessione, sento il bisogno di rifare quella foto. Volevo che quel soffitto meraviglioso fosse finalmente visibile, esaltato dalla posizione esatta della macchina fotografica. Alla fine, sono riuscito a realizzare quella foto, proprio come la volevo.

La prima stanza in cui entriamo al pian terreno, è il salone padronale, ormai spoglia dalla ricchezza che sicuramente racchiudeva quando l’edificio era abitato, subito al buio dell’alba non ce ne accorgiamo ma poi alzando gli occhi al soffitto rimaniamo senza parole rapiti da un meraviglioso affresco. Tra gli stucchi dorati ecco un giovane Dionisio, conosciuto forse di più da tutti con il nome di Bacco, per mano a sua madre Demetra che ci accoglie in queste stanze abbandonate. Demetra è la Dea greca della natura e delle messi, simbolizza l’energia materna archetipica, la dea di fertilità, che presiede al ciclo naturale di morte e rinascita, è la Dea della Terra, dell’agricoltura e di tutto ciò che è ad essa connessa: è la madre fertile, a cui si prega per un raccolto abbondante e che presiede ogni frutto della terra. Demetra è la Dea generosa, a cui si guarda per il nutrimento come fonte di vita ed è rappresentata con lunghi capelli biondi e cesti di fiori o cornucopie tra le braccia.

Non conosco le motivazioni che hanno portato alla scelta del nome, altri hanno preferito descriverla come la villa di Demetra e del piccolo Dionisio, altri ancora l’hanno definita dei Massoni, ma Villa Napoleone non può essere ridotta semplicemente al salone e al suo incredibile soffitto, è molto di più: una serie di stanze magnifiche, decisamente intime e particolari, sofisticate, che conferiscono alla villa un fascino unico. Ciò che mi ha colpito maggiormente, oltre al salone, è sicuramente il secondo piano, che si raggiunge salendo una scala stretta, con una finestra dalle forme geometriche e dai colori vivaci: rosso, verde, giallo. Una combinazione davvero scenografica. Ma c’è un elemento che, più di tutti, mi ha lasciato senza parole. In mezzo alla scala, in un punto apparentemente senza significato, un lavandino. Un lavandino, sì, proprio lì, a metà del percorso, dove chi saliva le scale avrebbe potuto fermarsi e lavarsi le mani. Accanto a questo lavandino, una finestra rotonda, che è un motivo ricorrente in tutta la villa. Anche questa finestra, colorata, con sfumature di rosso e blu, purtroppo parzialmente rotta, aggiungeva un ulteriore strato di curiosità e bellezza a quella zona, già così fuori da ogni logica moderna.

Quando sono uscito dalla porta-finestra, ho lanciato un’ultima occhiata al salone principale, a quel soffitto straordinario che tanto mi aveva affascinato (e non solo me). Non sono riuscito a resistere alla tentazione di voltarmi un’ultima volta. Ho chiuso la finestra con delicatezza, appoggiato la persiana e mi sono diretto verso le scale che conducevano all’esterno, al mondo libero. Di solito, quando si lascia un luogo dopo un’esplorazione, si prova una sensazione di liberazione, di rilassamento, di scampato pericolo. Ma mai come in questo caso, ho avvertito quella sensazione, perché dentro di me c’era una sorta di tensione, come se fossi stato osservato/controllato, anche per via delle storie che mi avevano raccontato. È una delle caratteristiche dell’urbex, una delle cose che rende questo tipo di fotografia così affascinante e coinvolgente. Le ultime notizie riportano che l’accesso a Villa Napoleone è completamente bloccato e che entrare è diventato quasi impossibile. Forse è meglio così, soprattutto per chi ha già avuto l’onore di visitarla.

Sospeso per sempre… un secondo alla volta.
– Stephany Fincato

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La chiesa Swarovski
POSTED ON 15 Mar 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, church

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La Chiesa Swarovski, pur non essendo una delle location urbex più spettacolari, rappresenta comunque una scoperta interessante e un po’ insolita. Eravamo appena usciti da una villa clamorosa, una di quelle location urbex famose e mozzafiato che rimangono impresse nella memoria, quando, lungo la strada del ritorno, l’abbiamo notata. La chiesa era chiaramente in stato di abbandono: le vetrate rotte, gli esterni segnati dal tempo e l’aspetto generale un po’ trascurato. Non avevamo molte aspettative, ma la curiosità mi ha spinto a fare un giro intorno: nessun accesso. La porta principale sembrava bloccata, blindata, ma, stranamente, quando ho provato a spingere con un po’ più di forza, si è aperta. È stato un ingresso quasi casuale.

Non appena siamo entrati il nome Swarovski ci è sembrato immediatamente naturale, fisiologico. In realtà, si chiama Chiesa di San Bernardo, ma la sua particolarità, quei tre lampadari di vetro/cristallo (credo si definiscano a gocce), ci hanno fatto subito pensare a qualcosa di più affascinante e prestigioso. Non era un posto eccezionale, niente affreschi, niente statue, ma c’era qualcosa di suggestivo. Le sensazione di semplicità ma non troppo, quel vorrei ma non posso, l’idea del brutto e dimenticato, l’atmosfera sospesa e moderna, la tenda come confessionale vicino a quel muro grigio e triste, sono diventati una piccola storia malinconica. Non è il tipo di foto che mi aspetto da una chiesa urbex, ma c’è una bellezza povera e orgogliosa in quei lampadari che, secondo me, merita di essere condivisa, di essere raccontata e ricordata.

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La Villa dell’Ambasciatore
POSTED ON 11 Mar 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, mansion

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L’ambasciatore non è una figura realmente esistita. Come spesso accade nel mondo dell’urbex, si intrecciano indizi, pochi ma significativi, magari trovati per caso, e una grande dose di fantasia. Una fantasia che diventa il cuore pulsante di una storia capace di trasformare un semplice luogo in un racconto intrigante, una metafora della vita.

Ma per quale motivo si arriva a definirla Villa dell’Ambasciatore? Per poco, giusto per tre bandierine in bella mostra sul tavolo della sala da pranzo, come quelle che si vedono sulle auto diplomatiche, e qualche libro in inglese, testi americani che lasciano trasparire una chiara origine d’oltreoceano. Nient’altro. Nulla di concreto che possa davvero giustificare quel nome, se non la bellezza e l’eleganza della villa. Ed è proprio questa miscela di fascino e di dettagli che le ha fatto guadagnare, nel tempo, quella definizione affascinante, ma totalmente infondata: qui non ha vissuto nessun ambasciatore.

Questa villa è un susseguirsi di stanze affascinanti, ognuna con un suo carattere particolare. Appena si entra, si viene accolti da una sala da pranzo elegante, in cui spiccano le bandierine che, come dicevo prima, danno quell’idea di corpo diplomatico: il tricolore francese, la Red Ensign, la bandiera della marina mercantile del Regno Unito, e un’altra che non sono riuscito a riconoscere. Da lì, si prosegue in un percorso che ci porta a scoprire diverse camere da letto, una cucina, bagni, tutti arredati con gusto e raffinatezza. I pavimenti, sempre intensi nei colori e nei motivi, e le tappezzerie eleganti, contribuiscono a dare un’atmosfera quasi surreale, un’aria di lusso che ora si scontra con il decadimento del tempo e le pareti scrostate; ovviamente non può mancare la madonna di Lourdes, ma quella è un grande classico che non manca mai.

In realtà, se dovessi scegliere, sono tre le zone della villa che più di tutte mi hanno lasciato senza fiato. La prima è una stanza che, con il suo pianoforte verticale, un quadro con la sacra famiglia, una poltrona distrutta e una valigia aperta con fiori secchi, emana un fascino vintage e quasi malinconico, tipico del mondo urbex. Salendo al piano superiore, si accede alla soffitta, dove una stanza con vetrate colorate mi ha quasi fatto gridare al miracolo. Un baule e una poltrona sono in posizione studiata, come se il tempo si fosse fermato, lasciando intatta questa immagine che sfida la logica: e non escludo che si tratti di arredamento, anzi, un passaggio degli arredatori è assai probabile. È difficile capire cosa ci faccia una stanza del genere a quell’altezza, ma la sua bellezza è indiscutibile, affascinante nella sua stranezza. Infine, in cantina, si trova un altro spazio che nasconde un’atmosfera magica. Una stanza vuota, ma con un soffitto dipinto che serve a incorniciare un mobile storto, un baule e un attaccapanni allineati lungo il muro scrostato. Il pavimento è ricoperto da tappeti persiani ormai rovinati, segno del tempo che passa e dell’umidità. Ma questa stanza, così spoglia e così decadente, rimane una delle zone più intense della villa. La sua semplicità, in contrapposizione con il senso di abbandono, è la sua forza.

Purtroppo il tempo è passato, e sono ormai tanti anni che questa villa è in stato di abbandono: la storia dell’ammmericano e della sua sposa è un lontano ricordo. L’agenzia immobiliare che si occupava della vendita ha provato a trovare un compratore, ma alla fine ha dovuto arrendersi all’evidenza. Oggi, la villa dell’Ambasciatore inizia a mostrare notevoli segni di decadimento: il tetto sta crollando sotto i colpi delle intemperie e se la situazione dovesse continuare così è difficile dire quanto ancora resisterà. La villa, purtroppo, non ha un futuro roseo, e il suo fascino rischia di svanire nel nulla se non verrà preservato. Ah, dimenticavo: non solo Lourdes, anche Olio Carli e Bitter Campari non mancano quasi mai.

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Red Passion – Il Baldacchino Rosso
POSTED ON 9 Mar 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, mansion

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È passato un po’ di tempo dall’esplorazione che voglio raccontare oggi, ma è ancora ben impressa nella mia mente: forse perché ero da solo, una situazione che aumenta il grado di percezione dei miei sensi, ma che per fortuna mi capita di rado. Parcheggiai non troppo distante dal mio obbiettivo e mi guardai intorno: il sole stava sorgendo e presto sarebbe stato giorno. La location che volevo esplorare era davvero particolare: una una casa circondata da un piccolo boschetto e immersa nel nulla, in una posizione che oserei definire bizzarra. Per raggiungere il boschetto bisognava camminare in mezzo ai campi, in piena vista. Non ci pensai troppo, iniziai a percorrere la strada nella terra e, senza che nessuno si accorgesse di me, mi infilai nel bosco. Era mattino presto, troppo presto, quindi era difficile che qualcuno potesse essere sveglio a quell’ora e notare un tipo sospetto, con lo zaino e un treppiede ingombrante, camminare veloce nel nulla.

La porta era aperta. Il primo piano era completamente in disordine: foglie sul pavimento, libri sparsi, riviste, colori, tempere, cornici, una piccola follia creativa, segni e ricordi dell’artista che aveva vissuto lì. Salendo una scala molto stretta, arrivai al secondo piano. La cucina non nascondeva il suo senso di abbandono, disordinata e sporca, con l’intonaco che cadeva sul pavimento, ma piena di vita: c’erano oggetti da cucina in ordine quasi perfetto, una bellissima credenza, spezie, pentole appese, bicchieri e bottiglie di liquore sul tavolo, un’immagine di quotidianità interrotta.

Uscendo dalla cucina si scopre la stanza più interessante, la stanza che regala il nome alla location e che lascia quasi interdetti: Red Passion. E’ una camera da letto molto affascinante, con un letto a baldacchino semplicemente meraviglioso. Il colore dominante è un rosso vibrante, un rosso teatrale, quasi passionale. C’è un mobile sul fondo pieno di vestiti, una serie di oggetti sparsi, un crocifisso appeso alla parete e altri piccoli dettagli che rendono l’ambiente molto intrigante. E poi quel mappamondo, come un simbolo di quanto il pittore fosse legato a quella sua dimensione, come se quella stanza non fosse solo il suo rifugio, ma il suo mondo intero. Poco distante, sempre al secondo piano, c’è anche un bagno, decisamente devastato, con pochi oggetti rimasti, tra cui due spazzolini da denti, uno rosso e uno verde, malinconici nella loro solitudine.

Aveva consacrato l’intera vita all’arte, dipingeva e passeggiava nei dintorni di questo luogo sperso tra i campi della pianura padana. Nei suoi itinerari a piedi raccoglieva sassi, pezzi di tronco e assi e le usava per le sue opere, leggeva e dipingeva, solo il sole scandiva le sue giornate. Gli amici passavano a trovarlo, chissà se si sedevano tutti insieme nel giardino all’ombra degli alberi, tra i tulipani gialli meravigliosi che continuano a fiorire ancora oggi e che ci hanno accolti quando siamo arrivati fin qui. Le opere dell’artiste erano conosciute, erano esposte in molte gallerie d’arte, hanno vinto dei premi ma lui è sempre rimasto affezionato a questo piccolo paradiso e intanto inesorabile come per tutti è arrivata la vecchiaia e la morte. Sono quasi quindici anni che qui non abita più nessuno, nessuno dorme in questo imponente letto rosso, nessuno lascia più la sua traccia con i pennelli su quelle vecchie assi. I colori nei tubetti si sono pietrificati, i pennelli sono pieni di ragnatele. Tutto tace ora qui intorno e noi possiamo solo immaginare la tranquillità che deve aver assaporato chi ha abitato qui per anni, chissà se i suoi quadri raccontavano tutto questo suo piccolo mondo incantato…

Questa casa apparteneva a un pittore che ormai non c’è più, un pittore molto conosciuto che ha lasciato tracce della sua esistenza in ogni angolo. Si dice che non avesse mai lasciato questo posto, che la sua vita fosse stata scandita dalle camminate nei campi circostanti, nei suoi momenti di solitudine, nei suoi momenti di raccoglimento. Oggi, nonostante la casa sia in rovina, c’è ancora qualcosa di potente che rimane. La sua memoria non è andata persa, si è solo silenziata, in attesa di essere ricordata.

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Ritorno a Villa Poss
POSTED ON 28 Feb 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, mansion

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C’è un luogo che, nel cuore del Lago Maggiore, ha sempre avuto il potere di affascinare chiunque lo guardasse: Villa Alessandro Poss. La notizia che ha fatto parlare molto negli ultimi tempi è che la villa è stata venduta per una cifra da capogiro, con tanti zeri (si parla di un investimento complessivo di 40 milioni di euro). Ma non è di questa notizia che voglio parlare. Voglio fare un salto indietro nel tempo per parlare di un’esperienza unica (e per certi versi bizzarra), che non avevo ancora avuto occasione di raccontare. È giunto il momento.

Avevo sempre promesso a Lorena che un giorno l’avrei portata a visitare Villa Poss. E mantengo sempre le promesse. La sua posizione però è davvero complicata da raggiungere e l’ingresso non è semplice. La strada che porta alla villa è stretta e molto trafficata, e trovare un modo per entrare si è rivelato fin da subito difficile. L’unica possibilità era scavalcare il muro perimetrale, ma quello non sembrava il momento giusto: davvero troppa gente. Ma mentre stavamo per desistere è accaduto qualcosa di inatteso: una Panda si è avvicinata, ha aperto il cancello della Villa ed è entrata dentro. Ci siamo guardati e spinti dalla curiosità e dalla nostra faccia tosta (Lorena soprattutto) abbiamo superato anche noi, come se fosse naturale, il cancello. Un signore, non più giovanissimo, stava armeggiando dalla macchina pochi metri davanti a noi, ci siamo avvicinati e, con un po’ di coraggio, gli abbiamo chiesto se ci permetteva di fare qualche foto della Villa. Il signore, che un tempo era il custode della proprietà, si è rivelato non solo disponibile, ma anche estremamente gentile. Ci ha raccontato la storia di Villa Poss, facendoci immergere nel passato di quel luogo che un tempo ospitava una servitù di ben 90 persone. Dopo averci avvertito della pericolosità della struttura, ci ha dato il permesso di scattare delle foto, ma ci ha raccomandato di fare molta attenzione (diverse volte).

Abbiamo iniziato il nostro giro intorno alla villa. Abbiamo scattato foto alla chiesa, alla pagoda e al meraviglioso panorama che si apriva davanti ai nostri occhi. Nonostante il rischio, abbiamo deciso di avventurarci all’interno della villa, dove la struttura era davvero pericolante. Abbiamo fatto alcune foto alla scala, ma siamo usciti velocemente, consapevoli del pericolo che stavamo correndo. Una volta usciti abbiamo salutato il vecchio custode con gratitudine, ringraziandolo per la sua gentilezza. L’esperienza, anche se breve, è stata intensa e ci ha permesso di vivere in prima persona la storia di Villa Poss. E quel panorama sul lago è davvero impagabile.

Nel 2024 la villa ha cambiato proprietà e sembra che il futuro sia ormai tracciato. La struttura, che diventerà un albergo a 5 stelle con oltre 90 stanze, lascia però intatto un valore che va ben oltre le sue mura: il terreno, con una vista spettacolare sul lago Maggiore, è destinato a essere il vero protagonista. Spero vivamente che nel giro di poco tempo questa straordinaria location possa tornare a nuova vita, preservando almeno in parte il suo fascino e il suo potenziale, perché un posto così deve essere valorizzato come merita.

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