Oggi cade l’anniversario della caduta del Muro di Berlino. Io mi ricordo molto bene quel giorno, e per quello che avevo studiato a scuola era la prima data di una certa importanza che affrontavo live (dopo il mondiale spagnolo ovviamente). Qualcosa di veramente importante che non avrei trovato sui libri di storia, ma che potevo ascoltare direttamente dalla televisione e dalla viva voce dei cronisti dell’epoca. Mi fece un effetto stranissimo, e sono passati 28 anni. Un’eternità. Mi capita sempre più spesso di incontrare persone, giovani, che sono nati dopo la caduta del muro e che pensano alla divisione tedesca nel dopoguerra come un’assurdità, come qualcosa di assolutamente illogico e impensabile. Ed è così, è normale pensarlo, eppure quel muro è rimasto in piedi quasi 30 anni; il ricordo mi provoca un senso di disagio difficilmente descrivibile: come può l’uomo aver creato una mostruosità del genere? La consolazione è che forse stiamo migliorando, lentamente, molto lentamente, ma migliorando. Ho scattato queste due immagini, poco più che due foto ricordo, durante una vacanza a Berlino nel 2003. All’epoca ero all’inizio dell’avvento digitale e scattavo con la bellissima (era davvero bella, quasi affascinante) Canon Digital Ixus 400. La modella è Silvia, mia compagna di viaggio in quell’avventura assurda (etnica e di birra) che ricorderò sempre con molto piacere.
Il 10 settembre del 1989 l’Ungheria aprì ufficialmente i suoi confini all’Austria.
Poi quella sera del 9 novembre un portavoce del governo della Ddr diede la notizia della riforma sui viaggi all’estero.
A Berlino est quella notizia fu interpretata come la fine del maledetto muro.
Migliaia di persone si accalcarono così nella porta di Brandeburgo quando improvvisamente, nella incredibile confusione, venne dato ai soldati dell’est l’ordine di ritirarsi dai posti di blocco. I due popoli, i fratelli tedeschi, dell’est e dell’ovest, si poterono così riabbracciare, tra le lacrime, dopo 29 anni.