Consonno, per il sottoscritto, é un sogno che si realizza. Diventata celebre negli anni ’60 come la Las Vegas italiana, ad oggi é in tutto e per tutto una città fantasma. Abbandonata da tutti e distrutta da molti, é solo un vago ricordo di quello che fu. Ma io volevo andarci, la storia di questo piccolo borgo ha sempre esercitato sul sottoscritto un fascino irresistibile. Non credo sia necessario scrivere l’ennesimo racconto sulle vicissitudini di questo paese della Brianza e non credo nemmeno di essere la persona adatta per raccontare le gesta del celebre conte Mario Bagno. L’intero paese adesso è in vendita per solo 12 milioni di euro, e potrei quasi farci un pensiero. Sono arrivato a Consonno all’alba di un giovedì qualsiasi di fine estate: purtroppo quasi autunno. In paese non si arriva: una sbarra blocca il passaggio in macchina. Una novità recente secondo la temeraria ciclista che ho incontrato lungo la strada.
Per arrivare al paese si deve andare a piedi, circa 1100 metri. La strada é ripida, rovinata e piena di buche, il primo impatto è devastante: sta albeggiando, c’é un silenzio irreale, nell’abbandono più completo si nota subito la torre del minareto. Maestosa e bellissima. Poi un silos in metallo completamente arruginito e tutto un susseguirsi di costruzioni in rovina fra le quali si intravedono i resti del Grand Hotel Plaza, il famoso albergo di lusso in cui soggiornarono i personaggi più celebri dell’epoca (il mitico Pippo Baudo su tutti). Sulla sinistra una pagoda dai chiari caratteri orientali e più avanti qualcosa che somiglia tantissimo ad una pista da ballo. In piedi é rimasto poco o niente. Dopo una lunga passeggiata (bellissimi e moderni i lampioni) si arriva al mio oggetto del desiderio: il minareto. L’avevo visto in mille foto, ma dal vivo è ancora più grandioso ed importante. Come in tutte le storie tristi che si rispettino appena ho iniziato a fotografare è arrivata, immancabile, la pioggia. Era prevista. Forte, fortissima, un classico temporale di fine estate. E sono stato costretto a scappare (1100 metri sotto la pioggia battente e senza ombrello). Ma non mi sono arreso, ho aspettato pazientemente e appena il sole ha fatto capolino sono tornato. E ho trovato gente: gli amici di Consonno che allestivano e preparavano il bar De la Spinada, più un paio di curiosi.
Ho fotografo tutto alternando diverse volte gli obbiettivi (fish-eye, grandangolo e 50ne) e credo che a breve sarò costretto a procurarmi un secondo corpo macchina. Ho scattato 330 foto e ne ho scelte addirittura 29 (un record per queste pagine) che credo diano una rappresentazione ottimale della distruzione attuale. Mi sono dedicato soprattutto al minareto, sono entrato dentro, ho percorso il corridoio centrale e sono rimasto stupito dalla bellezza di alcuni graffiti (e dalla bruttezza di altri). Mi sono arrampicato sulla torre (paura vera), e dall’alto ho ammirato Consonno in tutta la sua splendida devastazione. E sono rimasto senza parole, senza fiato. Pochi posti al mondo riescono a rappresentare così perfettamente il modo di agire dell’essere umano. Spero di essere riuscito a cogliere la magia di Consonno e quella idea di abbandono magico che circonda il paese; puntava ad essere La Las Vegas italiana, ma purtroppo è diventata solo la mecca della fotografia Urbex.
Quello che nessuno è riuscito a comprare e mai nessuno riuscirà a comprare è lo spirito di Consonno. (Giovanni Zardoni)