Villa Castagnola

POSTED ON 24 Mar 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX, drone

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Villa Castagnola riprende il nome dei proprietari originali, una famiglia di nobili banchieri, e venne costruita all’inizio del secolo scorso. Fu successivamente ceduta alla famiglia Quaglia, che operava nel settore della ceramica e del laterizio, e cambiò nome, ma dopo l’8 settembre 1943 venne espropriata dai nazisti. La Famiglia Quaglia ritornò in possesso della Villa fino alla morte, nel 1972, del commendatore Eugenio Quaglia. Nella seconda metà degli anni ’70 venne comprata dalla società Castagnola che riprese il nome originale; purtroppo a seguito del fallimento, nel 1999, la Villa è in stato di abbandono, c’è un curatore fallimentare che purtroppo non è riuscito a vendere la proprietà.

Nel 2017 diversi roghi (forse dolosi) interessarono la Villa, ci fu l’intervento dei Vigili del Fuoco che dovettero sfondare la porta per riuscire a domare le fiamme. Purtroppo da quel giorno è iniziata l’invasione di ladri e vandali che negli ultimi anni hanno spogliato e devastato Villa Castagnola. Al piano terra, vicino alla piccola chiesa, sino al 2018 c’era anche un tipico gozzo ligure: non ha resistito a lungo, trafugato da qualche filibustiere moderno.

La mia esplorazione di Villa Castagnola è ormai datata 2022. Ho iniziato con un volo d’ispezione con il drone, quindi ho salutato la vicina di casa (uscita sul terrazzo a controllare) e ho chiesto informazioni: gentilmente mi ha detto di fare attenzione e mi ha raccontato degli incendi che hanno reso pericolosa la struttura (in realtà non tanto). Ho fotografato con tutta calma, ma al momento di andare via ho sentito delle voci: in urbex è sempre particolare il momento in cui si percepisce di non essere soli. Sono uscito allo scoperto e ho visto una ragazza che raccontava la storia della Villa a due turisti (non saprei come altro definirli). Mi sono presentato e in logica conseguenza aggiunto alla comitiva: non mi era mai capitato di fare una visita turistica illegale con tanto di guida in un luogo abbandonato.

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Dancing Paradiso

POSTED ON 19 Mar 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX, disco

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Del Dancing Paradiso ho sentito tante cose ultimamente e devo ammettere che io non ho nemmeno sfiorato quell’empatia e quella meraviglia che ho letto in quasi tutte le recensioni (perdonatemi il termine). Sono un animo insensibile. Per me il dancing è stato confusione, ecco, confusione è il termine che rende meglio l’idea: dal punto di vista fotografico quasi fastidioso, claustrofobico, un insieme di oggetti alla rinfusa, nel disordine, nel degrado e nel buio quasi totale. Certo, c’è un mondo dietro, la vita della signora Paola si intreccia e si divide fra questi ricordi, fra questi pezzi di vita; purtroppo non sento la voglia di memoria che ascolto da tante parti.

Entrare nel Dancing, con la sua enorme mole di ricordi, mi ha fatto tornare in mente una storia che trovai in rete qualche tempo fa: fra 100 anni saremo tutti morti e sepolti. Fra i nostri discendenti nessuno saprà chi eravamo e nessuno si ricorderà di noi. Tutte le nostre proprietà e le nostre cose saranno di sconosciuti, che non sono ancora nati. E tutto questo insieme di oggetti, prezioso per alcuni, per il resto del mondo è semplicemente confusione: non mi ha lasciato sensazioni positive, mi ha fatto pensare che il tempo scorre velocemente e che tutto quello che oggi conserviamo domani sparirà nel nulla. Anche il Dancing Paradiso, nonostante una storia gloriosa, è diventato un’inutile accozzaglia di oggetti, alcuni orrendamente kitsch, e il tempo riuscirà a cancellare anche questo angolo di mondo destinato a scomparire, scusate la citazione, come lacrime nella pioggia.

Ammetto di aver qualche sintomo di distacco dai sentimenti, ma non credo di essere un replicante come Roy Batty: eppure nonostante fra queste pareti si siano raccontate storie d’amore, di amicizia, di vita, di tempo passato insieme, nonostante ci sia un intreccio di emozioni forti (anche senza andare vicino alle porte di Tannhäuser), anche il Dancing Paradiso è giunto al termine vita. Peccato, ma anche no: qualche volta forse è meglio non guardare indietro.

Se siete amanti del romanticismo, anche eccessivo, vi consiglio di leggere la storia del Dancing Paradiso raccontata da Lorena Durante: lei sicuramente ha percepito l’empatia di questo pezzo di storia.

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Quel che resta del Monastero

POSTED ON 2 Mar 2024 IN Reportage, Landmark     TAGS: monument, 50ne

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Ieri ho raccontato della mia esperienza di CronoDuello al Monastero dei Benedettini di San Nicolò l’Arena a Catania, ma non avevo ancora pubblicato le 5 foto scartate in fase di selezione. In realtà poco fa ho mandato in onda Il gatto dagli occhi storti e adesso vi propongo le restanti 4 foto eliminate. Niente di bellissimo, ma d’altronde se non le ho prese in considerazione un motivo ci deve essere, no?

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Monastero dei Benedettini -Cronoduello /06-

POSTED ON 2 Mar 2024 IN Landmark, Reportage     TAGS: cronoduello, monument, 50ne

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Dopo diversi anni, per un motivo quasi divertente, ho deciso di far tornare in scena il celebre CronoDuello. Dopo le foto alla processione di Sant’Agata mi sono trovato con Lorena nel Monastero dei Benedettini di San Nicolo l’Arena, a Catania, e lei se ne esce, dal nulla, con un’affermazione che mi lascia quasi imbarazzato: praticamente mi suggerisce, come se niente fosse, di scegliere una location e, in un periodo di tempo limitato, di fotografare solo quella zona alla ricerca di foto interessanti; lo definisce esercizio. Io la guardo con aria sorpresa e le suggerisco di leggere le regole della CronoSfida, perché sono quasi 15 anni che mi diverto con questo tipo di esercizio. E scatta, naturale, fisiologico, il CRONODUELLO. Il Monastero dei Benedettini di San Nicolo l’Arena è un luogo storico, importante, e trovare scatti interessanti non è stato molto complicato. Ho selezionato 7 immagini, più una ulteriore a tempo scaduto: queste sono le mie 3 preferite. Aspettiamo che la mia rivale di giornata metta in mostra le sue proposte. È trascorso un po’ dei tempo dall’ultimo CronoDuello, ma trovate le poche e semplici regole a seguire. Chi mi vuole sfidare?

RULES:
Two photographers. Choose camera, lens and location.
Have a few minutes walk around and then no more than 15 minutes to shoot 3 good pictures.
At the end, each one shows his three best shots.

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Carlevè ‘d Mondvì 2024

POSTED ON 27 Feb 2024 IN Performing Arts, Reportage     TAGS: EVENT, carnival

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Il Carlevè è tornato in grande stile: un nuovo presidente, nuove energie, tanti carri, una sfilata di altissimo livello, gruppi decisamente numerosi e un carro di Mondovì finalmente degno di questo nome. Io purtroppo non stavo bene (mali di stagione) e quindi mi sono un po’ risparmiato, niente foto generaliste, niente ritratti, niente copertura totale dell’evento: non ho molto tempo a disposizione e ho quindi deciso di dedicare un numero ridotto di energie alla post-produzione delle immagini. Ho creato un piccolo portfolio, un reportage di 12 foto che serve ad illustrare quello che personalmente ho vissuto come carnevale. Mi sono concesso solo una piccola divagazione: il momento in cui i ragazzi delle Teste matte di Villafalletto hanno lanciato in cielo i palloncini dedicati ai cugini Casale, scomparsi in un tragico incidente stradale, con questo pensiero: “Marty e Met: ci avete insegnato tutto tranne che a vivere senza di voi“. Perché ho percepito forte la loro commozione, ho sentito l’emozione e mi sembrava giusto dedicare una foto a quel momento.

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La processione di Sant’Agata

POSTED ON 19 Feb 2024 IN Reportage     TAGS: EVENT, travel, silver, religion

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Il 4 febbraio è un giorno importante per la città di Catania: tutta la città si riunisce in evento che definire emozionante è forse riduttivo. L’atmosfera, sin dalle prime luci dell’alba, è in parte commossa e in parte felice, le strade della città si popolano di cittadini, devoti che indossano il tradizionale sacco: un camice votivo di tela bianca lungo fino alla caviglia e stretto in vita da un cordoncino, un berretto di velluto nero, guanti bianchi e sventolano un fazzoletto bianco; rappresenta l’abbigliamento notturno che i catanesi indossavano quando, nel lontano 1126, corsero incontro alle reliquie di Sant’Agata che Gisliberto e Goselmo riportarono da Costantinopoli. Siamo arrivati di fronte al Duomo poco dopo l’alba, la piazza era già gremita e quando è stato aperto il cancello di ferro che protegge le reliquie della santa (sono necessarie tre chiavi: una la custodisce il tesoriere, la seconda il cerimoniere, la terza il priore del capitolo) e il viso sorridente di Agata si è affacciato fuori dal duomo il tripudio dei fedeli, con il tradizionale sventolio dei fazzoletti bianchi, è aumentato in modo esponenziale accompagnato dai fuochi d’artificio. A quel punto il busto di Sant’Agata, luccicante di oro e di gemme preziose, è stato issato (non senza fatica) sul fercolo d’argento rinascimentale, foderato di velluto rosso, il colore del sangue del martirio, ma anche il colore dei re.

Inizia il giro, la processione del giorno 4, che dura l’intera giornata. Il fercolo attraversa i luoghi del martirio e ripercorre le vicende della storia della santuzza, che si intrecciano con quella della città: il duomo, i luoghi del martirio, percorsi in fretta, senza soste, quasi a evitare alla santa il rinnovarsi del triste ricordo. Una sosta viene fatta anche alla marina da cui i catanesi, addolorati e inermi, videro partire le reliquie della santa per Costantinopoli. Poi una sosta alla colonna della peste, che ricorda il miracolo compiuto da sant’Agata nel 1743, quando la città fu risparmiata dall’epidemia. I cittadini guidano il fercolo tra la folla che si accalca lungo le strade e nelle piazze. Quasi 5000 devoti trainano la pesante macchina. Tutti rigorosamente indossano il sacco votivo e a piccoli passi tra la folla trascinano il fercolo che, vuoto, pesa 17 quintali, ma, appesantito di Scrigno, busto e carico di cera, può pesare fino a 30 quintali. A ritmo cadenzato gridano: Cittadini, viva sant’Agata, un’osanna che significa anche: sant’Agata è viva in mezzo alla folla. Il giro si conclude a notte fonda quando il fercolo ritorna in cattedrale.

La processione è lenta, lunga, impegnativa. Intorno al fercolo i fedeli si accalcano per portare un cero, una donazione in denaro, oppure semplicemente per toccare la santa. Una leggenda racconta che le donne che toccano Sant’Agata possano rimanere incinta. Molti porgono il fazzoletto bianco per fare in modo che venga fatto appoggiare alle reliquie, alcuni pregano, altri si accontentando di guardare da lontano facendosi il segno delle croce. Si sentono gridare gli inni alla santa: Nun c’è ventu, nun c’è acqua, nè bufera, nè timpesta casca u munnu ma Catania a Frivaru si fa festa. La città è addobbata a festa con la A in oro su sfondo rosso, i terrazzi espongono l’insegna W S.Agata. È davvero uno di quei momenti da vivere per capire l’emozione, l’importanza che i catanesi danno alla patrona e alla sua festa, non avevo mai visto un senso di devozione nemmeno lontanamente simile. Quando si è in mezzo alla folla si cerca di fotografare con rispetto, dando importanza alle persone e al momento che stanno vivendo. Non è facile, anzi, è decisamente complicato. Ho provato a raccontare queste emozioni con 37 foto, entrando dentro la festa. È anche un ricordo di una giornata incredibile.

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Nun c’è ventu, nun c’è acqua, nè bufera, nè timpesta
casca u munnu ma Catania a Frivaru si fa festa.
Lu splinnuri di la Santa, l’emozioni di li genti
comu n’ecu ca cuntaggia tutti i cincu cuntinenti.
Emigranti di luntanu… janchi, niuri, longhi e curti
arrispunnunu cchiù forti….semu tutti divoti tutti…
Ma ‘na vuci… tra la fudda… si fa largu e acchiana jauta…
E’ la vuci di Catania: Cittadiniiiiii…. Evviva Sant’Aita!

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Fiato alle Trombe

POSTED ON 16 Feb 2024 IN Reportage     TAGS: EVENT, silver

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Il passaggio delle candelore è accompagnato dalla musica. Tutte le candelore hanno un accompagnamento musicale dedicato (quelle che ho visto io), lo strumento per antonomasia è la tromba, la tromba suona ovunque: i gruppi musicali hanno uno stile e un ritmo diversi e l’atmosfera prende un tono allegro di contagiosa felicità. Quasi tutte le bande cittadine, che seguono le candelore, hanno nel loro organico un buon numero giovani, e giovanissimi, questo permette di comprendere il fascino che la festa di Sant’Agata esercita anche sui ragazzi. La stragrande maggioranza dei pezzi suonati è ballabile, piacevole, ma davvero non mi aspettavo di sentire nella colonna sonora delle Candelore, a febbraio, L’Estate sta finendo dei Righeira: e suonata con la tromba è semplicemente meravigliosa. Ho cantato.

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Scattami una foto

POSTED ON 15 Feb 2024 IN Reportage, Street     TAGS: EVENT, silver

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Quando la candelora dei pescivendoli passa nel mercato del pesce, il suo luogo madre, le persone che assistono al passaggio e al ballo (i portatori girano la candelora a ritmo di musica) sono tantissime e riuscire a fotografare è un’impresa. Nel mercato del pesce c’è una specie di arco con un tunnel che collega -si fa per dire- la centrale piazza del Duomo con la zoma del mare. E molto largo, ma in quel momento sembra strettissimo e si fatica a respirare (il profumo di pesce non è proprio Chanel N.5). E quando mi sono trovato all’interno di questo passaggio mi ha incuriosito un ragazzo che, per cogliere un’immagine più interessante del momento, si è arrampicato sul palo (non proprio stabile) di una bancarella. E TAAC, sono riuscito anche io a trovare una foto interessante.

Il giorno delle Candelore

POSTED ON 15 Feb 2024 IN Reportage     TAGS: EVENT, silver, religion

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Quando si descrive la festa di Sant’Agata si deve obbligatoriamente parlare della tradizionale sfilata delle candelore, enormi ceri votivi rivestiti con decorazioni artigianali, puttini in legno dorato, santi e scene del martirio, fiori e bandiere. Le candelore anticipano il fercolo di Sant’Agata in processione, perché prima dell’arrivo dell’illuminazione elettrica avevano il compito di illuminare il passo ai partecipanti in notturna. Le candelore sono un numero variabile e storicamente rappresentano le arti (con alcune eccezioni): in passato erano arrivate ad essere addirittura 28, quest’anno erano 15 con la novità della Candelora dedicata a S.Agata dall’associazione Luigi Maina.

Le candelore sfilano sempre nello stesso ordine. Ad aprire la processione è il piccolo cero di monsignor Ventimiglia. Il primo grande cero rappresenta gli abitanti del quartiere di San Giuseppe La Rena e fu realizzato all’ inizio dell’Ottocento. E’ seguito da quello dei giardinieri e dei fiorai, in stile gotico-veneziano. Il terzo in ordine di uscita è quello dei pescivendoli, in stile tardo-barocco con fregi santi e piccoli pesci. Il suo passo inconfondibile ha fatto guadagnare alla candelora il soprannome di bersagliera. Il cero che segue è quello dei fruttivendoli, che invece ha passo elegante ed è dunque chiamato la signorina. Quello dei macellai è una torre a quattro ordini. La candelora dei pastai è un semplice candeliere settecentesco senza scenografie. La candelora dei pizzicagnoli e dei bettolieri è in stile liberty, quella dei panettieri è la più pesante di tutte, ornata con grandi angeli, e per la sua cadenza è chiamata la mamma. Chiude la processione la candelora del circolo cittadino di sant’Agata che fu introdotta dal cardinale Dusmet.

Questi imponenti ceri dal peso che oscilla fra i 400 ed i 900 chili, vengono portati a spalla, a seconda del peso, da un gruppo costituito da 4 a 12 uomini, che le fa avanzare con un’andatura caracollante molto caratteristica detta a ’nnacata. Quest’anno il giorno di Sant’Agata cadeva di lunedì e non sono riuscito ad assistere alla seconda parte dei festeggiamenti veri, con il passaggio da via Antonino Di Sangiuliano, uno dei momenti più caratteristici della sfilata per le difficoltà che incontrano i portatori lungo la ripidissima salita. Le foto sono di sabato 3 febbraio quando le candelore si presentano ai fedeli accompagnate dalla musica delle bande cittadine (ogni candelora ha il suo accompagnamento musicale). Volevo realizzare un reportage che mettesse al centro della storia i portatori e le loro espressioni: ho utilizzato quasi esclusivamente il 70/200 a f/2.8 per riuscire ad entrare dentro la scena nonostante l’enorme quantità di persone e per isolare i protagonisti della giornata dallo sfondo e dalla confusione. In totale sono 34 foto e credo riescano a rappresentare bene il giorno delle Candelore.

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La potenza

POSTED ON 14 Feb 2024 IN Reportage, Portrait     TAGS: EVENT, silver

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Le ‘Ntuppatedde

POSTED ON 14 Feb 2024 IN Performing Arts, Reportage     TAGS: EVENT, silver

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Uno sparo di luce, una ventata di aria bianca, una sorpresa inaspettata. Le ‘Ntuppatedde mi sono arrivate incontro senza essere attese e mi hanno colto alla sprovvista: non sapevo della loro per(e)sistenza, ma per un colpo molto fortunato le ho viste arrivare -in esclusiva- nel silenzio e nel vuoto. Poi hanno iniziato a correre senza motivo, hanno varcato il confine del mercato del pesce e sono tornate dopo qualche minuto per ballare allegre e senza senso apparente nella confusione generale di piazza del Duomo.

Il diritto di ntuppatedda era, fino alla fine dell’Ottocento, la possibilità per le donne di qualsiasi condizione sociale, di andare liberamente in giro per la città, ammiccando e pretendendo doni e omaggi dagli uomini, durante i festeggiamenti agatini. In un tempo in cui la donna era totalmente assoggettata all’uomo, padre o marito che fosse, le ‘ntuppatedde andavano in giro comunque celate da un manto nero che lasciava scoperto un occhio soltanto.

La rinascita delle Ntuppatedde avviene nel 2013 quando la storica tradizione è stata ripresa, anche se in termini molto diversi e decisamente più moderni, dall’artista e performer Elena Rosa e le donne vestite di bianco, e con il viso coperto, sono tornate in città, danzando per le vie del centro di Catania con un fiore rosso in mano, simboleggiante la loro rinascita e la loro libertà.

Il termine ‘Ntuppatedde deriva dal siciliano tuppa che indica la membrana che chiude il guscio delle chiocciole, evocando l’idea di qualcosa che si nasconde, di celato e protetto alla vista di tutti.

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La notte delle Candelore

POSTED ON 13 Feb 2024 IN Reportage     TAGS: EVENT, silver, nocturne

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Forse qualche mio seguace più accanito (che poi manco mia madre mi legge) avrà capito che a inizio Febbraio ho preso il primo aereo disponibile e sono volato a Catania per fotografare i festeggiamenti di Sant’Agata (che ricorre il 5 febbraio). Era una festa del quale sentivo parlare da tempo e che mi incuriosiva: la città etnea si ferma per onorare la propria santa ed è un evento religioso unico al mondo. Siamo arrivati a Catania la sera di Venerdì e dopo un aperitivo veloce abbiamo girovagato per il centro alla ricerca delle prime avvisaglie della festa: non c’è voluto molto, tutta la città era in attesa, direi in febbrile eccitazione. Il ritmo e la musica si sentivano nell’aria e le prime candelore (abbiamo incontrato quella dei pescivendoli, dei panettieri e dei fiorai) iniziavano a muoversi e a ballare nei dintorni di piazza del duomo. La serata ha raggiunto il suo culmine quando i pompieri hanno posato vicino alla statua della santa un enorme mazzo di fiori, con le candelore ferme ad osservare il momento storico. Siamo andati a dormire curiosi di scoprire cosa ci avrebbe riservato il nuovo giorno, ma sono immagini e sensazioni che svelerò nelle prossime ore. Stay Tuned.

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Come un serpente sospeso

POSTED ON 2 Feb 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX

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Esistono luoghi che hanno un’anima, ma uno scatto soltanto. È un modo di dire, un tentativo di definizione: significa che quello specifico luogo abbandonato merita la visita, ma solo per scattare una singola foto, generalmente una stanza molto interessante, oppure per un particolare dettaglio. Il resto è nulla. Questa cascina a rischio imminente di crollo, che ho voluto definire in modo ermetico del serpente sospeso, vive di un paio di immagini; è la classica botta e via. Poi in realtà intorno si può visitare una struttura enorme, silenziosa e terribilmente vuota, per certi versi anche spettrale, inquietante: ma che non merita il consumo dell’otturatore. Sono entrato dall’enorme portone, ho puntato deciso alla stanza da fotografare, quindi ho ammirato il mobile sospeso e sono scappato. Ci sono esplorazioni che meritano il tempo, altre che si riducono ad una foto, uno scatto soltanto; che poi come sempre io non riesco a limitarmi e le immagini diventano 11, ma è un altro discorso.

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MEMO 4345 -Giorno della Memoria-

POSTED ON 27 Gen 2024 IN Reportage     TAGS: museum, history

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Il Giorno della Memoria è una ricorrenza internazionale, celebrata il 27 gennaio di ogni anno come giornata per commemorare le vittime dell’Olocausto. Per l’occasione ho deciso di andare a Borgo San Dalmazzo e visitare il Memo 4345. Cos’è il Memo 4345? È uno spazio per conoscere, capire, ricordare e interrogarsi. Non è semplice raccontare la storia europea della persecuzione ebraica, ma qui nascono domande, il visitatore viene guidato alla riflessione e vengono poste le basi per comprendere gli elementi essenziali della Shoah in Europa.

Un percorso dedicato alla memoria degli ebrei che sono passati di qui e rivolto a tutti coloro che sentono il dovere di conoscere e ricordare i passi che hanno portato alla Shoah e le responsabilità di opporsi ovunque si manifestino. Come hanno fatto i Giusti.

Avevo già visitato il Memo 4345 l’anno scorso, ho deciso di tornare con calma per fotografare. Ho chiesto il permesso e con la tranquillità che richiede il luogo ho scattato (senza treppiede) dettagli e panoramiche. Mi sono concentrato sulla scritta GENOCIDIO, che può diventare un pugno nello stomaco, e sulle valigie nel centro della navata che sembrano un po’ slegate al contesto, ma al tempo stesso trasformano l’atmosfera e la rendono malinconica e triste, perché giustamente portano alla riflessione e impongono una domanda forte: cosa siamo stati capaci di fare?

È più difficile onorare la memoria dei senza nome che non quella degli uomini famosi.
– Walter Benjamin

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La magia dei libri

POSTED ON 24 Gen 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX

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Nella mia esperienza di urbexer ho visitato alcuni luoghi indimenticabili, che lasciano una memoria importante e che riescono a togliere il fiato. Molti perché hanno una bellezza intrinseca, reale, tangibile, altri perché dopo averli visti e desiderati da tempo quando arriva il momento l’emozione è sempre tanto forte. E poi ci sono ambienti che rimangono nel cuore, anche solo ad annusarli, a intuirli, a immaginarli. La storia di queste foto è complicata, consta di un salto indietro nel tempo importante e di una serie di richieste, conferme, amicizie, opportunità. E quando l’opportunità capita, e poi capita ancora, forse è un segnale che giocoforza debba essere sfruttata, nonostante i retro pensieri.

L’esplorazione di quella che viene definita Villa dei Libri (ma che in realtà ha un nome aristocratico e altisonante) è stata praticamente notturna: tutte le foto sono scattate con il treppiede, sensibilità alta e tempi decisamente lunghi perché ho preferito entrare sfruttando delle tempistiche insolite. Ed è stata un’esplorazione in solitaria, e mi capita di rado, perché la mia controparte ha scelto di non entrare per rispettare un principio di correttezza e di rispetto nei confronti dei proprietari: una promessa da mantenere. La sua motivazione è assolutamente comprensibile, ma devo ammettere che mi è dispiaciuto molto fotografare da solo per come erano iniziate e proseguite le ricerche e per il livello della location.

Sono entrato e uscito senza sfiorare niente, cercando di essere il più invisibile e veloce possibile, per non disturbare l’idea di calma e tranquillità che regnava intorno a me. Ho scelto di riprendere solo le stanze più interessanti e per una volta ho preferito non creare un reportage completo, ma solo di cogliere l’essenza più importante. E ci sono i libri, che sono la storia di questa villa, che portano un’impronta forte: si sente il profumo della carta e della polvere ed è una magia che non riesco a descrivere con le parole, ma solo con le immagini. Spero di essere riuscito a rendere l’idea delle emozioni che ho provato mentre aspettavo, un tempo interminabile, che si chiudesse l’otturatore.

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Discoteca Mayerling

POSTED ON 20 Gen 2024 IN Reportage     TAGS: URBEX, disco

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Il mondo urbex delle discoteche è in continuo fermento. La moda dei locali da ballo che imperversava negli ultimi decenni del secolo scorso è andata scemando e dopo qualche timido tentativo di rilancio la stragrande maggioranza delle fabbriche del divertimento notturno ha dovuto chiudere i battenti. Alcune sono autentiche ed enormi cattedrali nel deserto, senza alcun futuro. Fra le protagoniste indiscusse del periodo d’oro, sicuramente la Discoteca Mayerling di Castellar Guidobono in provincia di Alessandria (in questo caso non avrebbe senso nascondere il nome) si differenziava per una particolare caratteristica: la tigre. Adesso sembra assurdo, ma la discoteca prende il nome dalla Tigre Mayer, poco più di un gatto, come la definiva Giorgio Brichetti, storico ideatore e proprietario del locale.

Mayer, poco più di un gatto! Quando ho aperto il Mayerling qualcuno dei miei collaboratori ironizzava sul fatto che ci volesse un cane molto bello nel giardino del locale, dalla nobile immagine così come il nome della residenza Asburgica. Ma a me non sono mai piaciute le cose semplici così presi la tigre!

Il Mayerling apre al pubblico nel 1983 e, complice la Tigre, è subito un successo spaventoso: l’idea iniziale era di creare un locale per 500 persone, ma alla sera dell’inaugurazione si presentarono in 1500. Praticamente sempre aperta arrivò a contenere sino a 4000 giovani assetati di divertimento provenienti da Piemonte, Liguria, Lombardia ed Emilia. Per quasi 15 anni il successo del Mayerling fu inarrestabile e devo ammettere che leggendo i racconti di chi ha avuto l’onore di varcare quel portone d’ingresso (che oggi è entrato nel mito) rimpiango di non aver avuto il piacere di salutare la tigre Mayer (che è mancata nel 2006 a Salice Terme). Giorgio Brichetti vende nel 1996 e inizia il declino sino alla definitiva chiusura. Qualche tentativo di rilancio, ma ormai i tempi sono cambiati, le persone anche e purtroppo le due torri di ingresso che hanno segnato un’epoca per i giovani della zona sono destinare a rimanere nel silenzio e nell’abbandono. Il ruggito della tigre è un ricordo lontano.

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