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Il palazzo dei Ritratti
POSTED ON 30 Mar 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, mansion

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La Villa dei Ritratti, o meglio, il Palazzo dei Ritratti, è un luogo che lascia un’impressione particolare. Abbandonato da tempo, distrutto e devastato, sembra racchiudere un’energia nascosta, come se ci fosse ancora qualcosa da raccontare, nonostante il suo stato di decadenza. La bellezza più evidente risiede in alcune stanze che, purtroppo, sono rimaste intatte solo parzialmente. Una delle stanze più suggestive è quella da letto, dove sono appesi i due ritratti che danno il nome alla villa. Ritratti di figure antiche e storiche, i cui sguardi sembrano ancora osservare chiunque vi entri. Attorno a questi quadri, un appendiabiti rovinato e storto, dei libri, vestiti sparsi sul letto, una carrozzella per bambini in mezzo alla stanza. La scena potrebbe sembrare disordinata, ma c’è una sorta di fascino che non si può ignorare.

Nel resto della villa, l’abbandono è evidente. Una stanza con un letto isolato, una camicia appesa, una cucina che sembra essere stata dimenticata con bottiglie di vetro ancora impilate. Ogni camera racconta poco, solo vetri rotti, persiane malconcie e muri che si scrostano. Quello che ho trovato davvero interessante in questo palazzo sono i pavimenti. Sono tipici del secolo scorso, con uno stile che richiama l’epoca e porta con sé un fascino vintage, un po’ retrò, che negli ultimi anni è tornato molto in voga. La loro bellezza non passa inosservata: riescono a trasmettere una sensazione di nostalgia e al tempo stesso di antica bellezza.

Nonostante la mia difficoltà nel fotografare questo luogo e il risultato non perfetto dal punto di vista tecnico, c’è qualcosa di intrigante nel Palazzo dei Ritratti che mi ha spinto a condividerlo. Forse è la storia che quei ritratti sembrano raccontare, o il contrasto tra la rovina e la memoria che ancora permane in quei luoghi. Non è un posto che offre una bellezza visibile a tutti, ma forse è proprio questo il motivo che gli regala un fascino unico.

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Qualcuno volò sul nido del Barbagianni
POSTED ON 24 Mar 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX

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Il Barbagianni comune (Tyto alba, se vi piace il nome scientifico) è un rapace notturno che potrebbe tranquillamente essere il Batman degli uccelli, se solo avesse una caverna segreta e un mantello. Appartiene alla famiglia dei Titonidi, ma quello che più ci interessa è il suo nome: Barbagianni. Vi siete mai chiesti da dove venga? Bene, barba è una forma settentrionale di zio (molto ligure in effetti), e Gianni… beh, è l’ipocoristico del nome italiano più conosciuto. Quindi, in pratica, è lo zio Giovanni del regno animale, un nome affettuoso che gli è stato dato per la sua reputazione di guardiano, come se fosse il nostro protettore notturno. Quando si avvicina alla sua preda, il Barbagianni ha una tecnica di volo che sembra un’arte marziale: un movimento oscillante che lo rende super discreto. E non solo, il suo volo è il più silenzioso di tutti gli uccelli conosciuti. Immaginatevi un ninja piumato che sorvola il mondo senza fare un rumore, l’incubo dei suoi nemici, il predatore perfetto. La sua struttura fisica è un altro segreto del suo successo: le ali, che sono molto più grandi rispetto al suo corpo, gli permettono di planare senza muovere un muscolo. È come se avesse il suo personalissimo hovercraft per volare senza sforzo. In poche parole, il Barbagianni è il supereroe dei cieli: silenzioso, agile e sempre pronto a sorprenderci.

Per volare verso il suo nido, bisogna essere come il nostro Barbagianni: dei veri e propri ninja silenziosi. Aprire, sorvolare, scavalcare, camminare, salire, sempre nel massimo silenzio. E poi, restare sorpresi e affascinati, perché il nostro supereroe appare come per magia, all’improvviso, fiero e magnifico. È lui il protagonista indiscusso della nostra esplorazione, e non potrebbe essere altrimenti. Ci osserva, ci scruta e, chissà, forse ci protegge anche. E come succede quando ci troviamo di fronte a un eroe famoso e indiscutibile, il resto, purtroppo, non regge il confronto, nonostante la sua straordinarietà e la sua bellezza. La sala che ospita il nostro pennuto è davvero incantevole, con un bellissimo pianoforte, una macchina da scrivere Remington 12, un modello importato tra le due guerre dal famoso Cesare Verona. E poi c’è una bottiglia storica di Vermouth Martini, che per un attimo mi ha fatto venire voglia di sedermi davanti alla Remington e lasciarmi trasportare nell’atmosfera di un classico aperitivo all’italiana.

Potrei continuare a descrivere le meraviglie di questa villa, ma sarebbe inopportuno nei confronti del Barbagianni. Sinceramente non credo di averne la forza, anche se gli Amaretti di Sassello, la Savonarola e quel romantico baule lungo la scala avrebbero meritato almeno una menzione. Prima di uscire mi sono fermato sotto uno strano ed elegante porticato. Smoke ho pensato, ho capito e per un attimo ho sentito il desiderio di accendere una sigaretta, poi mi sono ricordato che quel vizio mi manca. Ho spinto la porta ed è come se fossi uscito in un altro mondo, un mondo che pensavo fosse libero: ho girato lo sguardo e davanti a me una strega, cattiva, forse anche più cattiva di quanto ricordassi. Non si può cambiare, non è un incantesimo, è magia nera, pura, che si aggrappa alle ombre e ti trascina nel baratro.

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La Casa del Maestro
POSTED ON 23 Mar 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, mansion

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Il mondo dell’urbex è affascinante anche, e soprattutto, per la sua varietà di esperienze, per i luoghi che possiamo scoprire, per le storie che raccontano. Ci sono tre tipologie principali di esplorazioni urbex, ognuna con le sue particolarità e il suo fascino.

La prima tipologia riguarda i luoghi completamente abbandonati e vuoti, quelli che non contengono più nulla. Si tratta di edifici che sono stati lasciati da tanti anni, vuoti e senza vita, ma il loro fascino consiste proprio in quell’atmosfera di abbandono totale, nel senso di nulla. La seconda tipologia è quella degli spazi che sembrano ancora vissuti, ma sono comunque abbandonati. Questi luoghi sono pieni di oggetti, alcuni lasciati in disordine, ma la maggior parte conservati come se fosse stata appena interrotta la vita di tutti i giorni. Non sono vuoti, anzi, e l’aspetto un po’ borderline dell’urbex esplode proprio qui: sembra quasi di intromettersi nella vita di uno sconosciuto, con l’impressione di una fuga improvvisa oppure di qualcuno che stia per tornare, ma non lo farà mai. Infine, la terza tipologia, che considero la più affascinante, riguarda le ville abbandonate da tantissimi anni ma che raccontano una storia dal passato. Si tratta di case che sono rimaste ferme nel tempo, ma che conservano ancora gli oggetti e le tracce di una vita. Questi luoghi sono come una capsula del tempo: muri decrepiti, tappezzeria scollata, finestre rotte, ma all’interno c’è un mondo che racconta di chi ci ha vissuto. La Casa del Maestro è un esempio perfetto di quest’ultimo tipo di esplorazione.

Quando si entra in un posto come questo si capisce subito che si tratta di un luogo abbandonato. Al primo piano l’ambiente è buio e si respira un’odore di muffa pestilenziale, gli oggetti sono ovunque, il disordine regna sovrano, con stanze devastate che parlano di tempo e di oblio: quasi impossibile riuscire a fotografare. Ma poi, salendo al piano superiore, la situazione cambia. Qui si percepisce chiaramente che la persona che viveva in questa casa era molto religiosa. Ovunque ci sono madonne, libri, oggetti di culto, ma anche tracce di una vita quotidiana che non c’è più. Le finestre sono spalancate, il guano di piccioni è visibile, i muri si stanno scolorendo, la tappezzeria è in procinto di staccarsi. Nonostante la confusione, si respira un fascino particolare.

Le stanze da letto sono una successione di camere piene di oggetti disordinati, sporchi e polverosi, ma allo stesso tempo affascinanti nella loro imperfezione. Tra i tanti libri, uno in particolare mi ha colpito: Le mie prigioni di Silvio Pellico. Questo mi ha fatto sorridere, perché proprio quel giorno, passando in una via che portava il nome di uno degli eroi del nostro risorgimento, avevo raccontato la gaffe di un amico su via S.Pellico: lui l’aveva chiamata, con una certa dose di ignoranza, via San Pellico. E quando sono entrato nella casa e ho trovato proprio quel libro, è sembrato quasi un segno del destino, un momento che potrei definire surreale.

Uscendo dalla Casa del Maestro la sensazione che ho avuto è stata quella di bellezza pura. Un’esplorazione che mi ha restituito la vera essenza dell’urbex: un luogo che è ancora tangibile nel suo abbandono, con quell’atmosfera decay davvero irresistibile. Non sono riuscito a capire l’origine del nome, non ho trovato oggetti con possibili riferimenti alla scuola, ma sicuramente qui viveva una persona di grande cultura. L’insieme delle foto è il risultato di due esplorazioni in tempi diversi e si notano le differenze: aguzzate la vista, ma solo per solutori più che abili.

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Villa Napoleone
POSTED ON 18 Mar 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, Mansion

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Probabilmente ho qualche difficoltà mentale, perché per me la fotografia deve essere realizzata esattamente come la immagino e come la desidero: deve essere perfetta. Villa Napoleone è stata una sorta di incubo, perché la foto più importante, quella zenitale che ritrae il meraviglioso soffitto affrescato del salone principale, non sono riuscito a realizzarla durante la prima esplorazione. Quando sono tornato in studio e l’ho guardata al monitor, non mi piaceva. Non era perfetta come la volevo. L’avevo già vista, scattata da altri, e desideravo farla meglio, in modo diverso, con una qualità superiore. Nonostante Villa Napoleone sia una location piuttosto rischiosa, con allarmi sia esterni che interni, sono tornato, perché quando mi prende una cosa del genere, una sorta di ossessione, sento il bisogno di rifare quella foto. Volevo che quel soffitto meraviglioso fosse finalmente visibile, esaltato dalla posizione esatta della macchina fotografica. Alla fine, sono riuscito a realizzare quella foto, proprio come la volevo.

La prima stanza in cui entriamo al pian terreno, è il salone padronale, ormai spoglia dalla ricchezza che sicuramente racchiudeva quando l’edificio era abitato, subito al buio dell’alba non ce ne accorgiamo ma poi alzando gli occhi al soffitto rimaniamo senza parole rapiti da un meraviglioso affresco. Tra gli stucchi dorati ecco un giovane Dionisio, conosciuto forse di più da tutti con il nome di Bacco, per mano a sua madre Demetra che ci accoglie in queste stanze abbandonate. Demetra è la Dea greca della natura e delle messi, simbolizza l’energia materna archetipica, la dea di fertilità, che presiede al ciclo naturale di morte e rinascita, è la Dea della Terra, dell’agricoltura e di tutto ciò che è ad essa connessa: è la madre fertile, a cui si prega per un raccolto abbondante e che presiede ogni frutto della terra. Demetra è la Dea generosa, a cui si guarda per il nutrimento come fonte di vita ed è rappresentata con lunghi capelli biondi e cesti di fiori o cornucopie tra le braccia.

Non conosco le motivazioni che hanno portato alla scelta del nome, altri hanno preferito descriverla come la villa di Demetra e del piccolo Dionisio, altri ancora l’hanno definita dei Massoni, ma Villa Napoleone non può essere ridotta semplicemente al salone e al suo incredibile soffitto, è molto di più: una serie di stanze magnifiche, decisamente intime e particolari, sofisticate, che conferiscono alla villa un fascino unico. Ciò che mi ha colpito maggiormente, oltre al salone, è sicuramente il secondo piano, che si raggiunge salendo una scala stretta, con una finestra dalle forme geometriche e dai colori vivaci: rosso, verde, giallo. Una combinazione davvero scenografica. Ma c’è un elemento che, più di tutti, mi ha lasciato senza parole. In mezzo alla scala, in un punto apparentemente senza significato, un lavandino. Un lavandino, sì, proprio lì, a metà del percorso, dove chi saliva le scale avrebbe potuto fermarsi e lavarsi le mani. Accanto a questo lavandino, una finestra rotonda, che è un motivo ricorrente in tutta la villa. Anche questa finestra, colorata, con sfumature di rosso e blu, purtroppo parzialmente rotta, aggiungeva un ulteriore strato di curiosità e bellezza a quella zona, già così fuori da ogni logica moderna.

Quando sono uscito dalla porta-finestra, ho lanciato un’ultima occhiata al salone principale, a quel soffitto straordinario che tanto mi aveva affascinato (e non solo me). Non sono riuscito a resistere alla tentazione di voltarmi un’ultima volta. Ho chiuso la finestra con delicatezza, appoggiato la persiana e mi sono diretto verso le scale che conducevano all’esterno, al mondo libero. Di solito, quando si lascia un luogo dopo un’esplorazione, si prova una sensazione di liberazione, di rilassamento, di scampato pericolo. Ma mai come in questo caso, ho avvertito quella sensazione, perché dentro di me c’era una sorta di tensione, come se fossi stato osservato/controllato, anche per via delle storie che mi avevano raccontato. È una delle caratteristiche dell’urbex, una delle cose che rende questo tipo di fotografia così affascinante e coinvolgente. Le ultime notizie riportano che l’accesso a Villa Napoleone è completamente bloccato e che entrare è diventato quasi impossibile. Forse è meglio così, soprattutto per chi ha già avuto l’onore di visitarla.

Sospeso per sempre… un secondo alla volta.
– Stephany Fincato

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La Villa dell’Ambasciatore
POSTED ON 11 Mar 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, mansion

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L’ambasciatore non è una figura realmente esistita. Come spesso accade nel mondo dell’urbex, si intrecciano indizi, pochi ma significativi, magari trovati per caso, e una grande dose di fantasia. Una fantasia che diventa il cuore pulsante di una storia capace di trasformare un semplice luogo in un racconto intrigante, una metafora della vita.

Ma per quale motivo si arriva a definirla Villa dell’Ambasciatore? Per poco, giusto per tre bandierine in bella mostra sul tavolo della sala da pranzo, come quelle che si vedono sulle auto diplomatiche, e qualche libro in inglese, testi americani che lasciano trasparire una chiara origine d’oltreoceano. Nient’altro. Nulla di concreto che possa davvero giustificare quel nome, se non la bellezza e l’eleganza della villa. Ed è proprio questa miscela di fascino e di dettagli che le ha fatto guadagnare, nel tempo, quella definizione affascinante, ma totalmente infondata: qui non ha vissuto nessun ambasciatore.

Questa villa è un susseguirsi di stanze affascinanti, ognuna con un suo carattere particolare. Appena si entra, si viene accolti da una sala da pranzo elegante, in cui spiccano le bandierine che, come dicevo prima, danno quell’idea di corpo diplomatico: il tricolore francese, la Red Ensign, la bandiera della marina mercantile del Regno Unito, e un’altra che non sono riuscito a riconoscere. Da lì, si prosegue in un percorso che ci porta a scoprire diverse camere da letto, una cucina, bagni, tutti arredati con gusto e raffinatezza. I pavimenti, sempre intensi nei colori e nei motivi, e le tappezzerie eleganti, contribuiscono a dare un’atmosfera quasi surreale, un’aria di lusso che ora si scontra con il decadimento del tempo e le pareti scrostate; ovviamente non può mancare la madonna di Lourdes, ma quella è un grande classico che non manca mai.

In realtà, se dovessi scegliere, sono tre le zone della villa che più di tutte mi hanno lasciato senza fiato. La prima è una stanza che, con il suo pianoforte verticale, un quadro con la sacra famiglia, una poltrona distrutta e una valigia aperta con fiori secchi, emana un fascino vintage e quasi malinconico, tipico del mondo urbex. Salendo al piano superiore, si accede alla soffitta, dove una stanza con vetrate colorate mi ha quasi fatto gridare al miracolo. Un baule e una poltrona sono in posizione studiata, come se il tempo si fosse fermato, lasciando intatta questa immagine che sfida la logica: e non escludo che si tratti di arredamento, anzi, un passaggio degli arredatori è assai probabile. È difficile capire cosa ci faccia una stanza del genere a quell’altezza, ma la sua bellezza è indiscutibile, affascinante nella sua stranezza. Infine, in cantina, si trova un altro spazio che nasconde un’atmosfera magica. Una stanza vuota, ma con un soffitto dipinto che serve a incorniciare un mobile storto, un baule e un attaccapanni allineati lungo il muro scrostato. Il pavimento è ricoperto da tappeti persiani ormai rovinati, segno del tempo che passa e dell’umidità. Ma questa stanza, così spoglia e così decadente, rimane una delle zone più intense della villa. La sua semplicità, in contrapposizione con il senso di abbandono, è la sua forza.

Purtroppo il tempo è passato, e sono ormai tanti anni che questa villa è in stato di abbandono: la storia dell’ammmericano e della sua sposa è un lontano ricordo. L’agenzia immobiliare che si occupava della vendita ha provato a trovare un compratore, ma alla fine ha dovuto arrendersi all’evidenza. Oggi, la villa dell’Ambasciatore inizia a mostrare notevoli segni di decadimento: il tetto sta crollando sotto i colpi delle intemperie e se la situazione dovesse continuare così è difficile dire quanto ancora resisterà. La villa, purtroppo, non ha un futuro roseo, e il suo fascino rischia di svanire nel nulla se non verrà preservato. Ah, dimenticavo: non solo Lourdes, anche Olio Carli e Bitter Campari non mancano quasi mai.

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Red Passion – Il Baldacchino Rosso
POSTED ON 9 Mar 2025 IN Reportage     TAGS: URBEX, mansion

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È passato un po’ di tempo dall’esplorazione che voglio raccontare oggi, ma è ancora ben impressa nella mia mente: forse perché ero da solo, una situazione che aumenta il grado di percezione dei miei sensi, ma che per fortuna mi capita di rado. Parcheggiai non troppo distante dal mio obbiettivo e mi guardai intorno: il sole stava sorgendo e presto sarebbe stato giorno. La location che volevo esplorare era davvero particolare: una una casa circondata da un piccolo boschetto e immersa nel nulla, in una posizione che oserei definire bizzarra. Per raggiungere il boschetto bisognava camminare in mezzo ai campi, in piena vista. Non ci pensai troppo, iniziai a percorrere la strada nella terra e, senza che nessuno si accorgesse di me, mi infilai nel bosco. Era mattino presto, troppo presto, quindi era difficile che qualcuno potesse essere sveglio a quell’ora e notare un tipo sospetto, con lo zaino e un treppiede ingombrante, camminare veloce nel nulla.

La porta era aperta. Il primo piano era completamente in disordine: foglie sul pavimento, libri sparsi, riviste, colori, tempere, cornici, una piccola follia creativa, segni e ricordi dell’artista che aveva vissuto lì. Salendo una scala molto stretta, arrivai al secondo piano. La cucina non nascondeva il suo senso di abbandono, disordinata e sporca, con l’intonaco che cadeva sul pavimento, ma piena di vita: c’erano oggetti da cucina in ordine quasi perfetto, una bellissima credenza, spezie, pentole appese, bicchieri e bottiglie di liquore sul tavolo, un’immagine di quotidianità interrotta.

Uscendo dalla cucina si scopre la stanza più interessante, la stanza che regala il nome alla location e che lascia quasi interdetti: Red Passion. E’ una camera da letto molto affascinante, con un letto a baldacchino semplicemente meraviglioso. Il colore dominante è un rosso vibrante, un rosso teatrale, quasi passionale. C’è un mobile sul fondo pieno di vestiti, una serie di oggetti sparsi, un crocifisso appeso alla parete e altri piccoli dettagli che rendono l’ambiente molto intrigante. E poi quel mappamondo, come un simbolo di quanto il pittore fosse legato a quella sua dimensione, come se quella stanza non fosse solo il suo rifugio, ma il suo mondo intero. Poco distante, sempre al secondo piano, c’è anche un bagno, decisamente devastato, con pochi oggetti rimasti, tra cui due spazzolini da denti, uno rosso e uno verde, malinconici nella loro solitudine.

Aveva consacrato l’intera vita all’arte, dipingeva e passeggiava nei dintorni di questo luogo sperso tra i campi della pianura padana. Nei suoi itinerari a piedi raccoglieva sassi, pezzi di tronco e assi e le usava per le sue opere, leggeva e dipingeva, solo il sole scandiva le sue giornate. Gli amici passavano a trovarlo, chissà se si sedevano tutti insieme nel giardino all’ombra degli alberi, tra i tulipani gialli meravigliosi che continuano a fiorire ancora oggi e che ci hanno accolti quando siamo arrivati fin qui. Le opere dell’artiste erano conosciute, erano esposte in molte gallerie d’arte, hanno vinto dei premi ma lui è sempre rimasto affezionato a questo piccolo paradiso e intanto inesorabile come per tutti è arrivata la vecchiaia e la morte. Sono quasi quindici anni che qui non abita più nessuno, nessuno dorme in questo imponente letto rosso, nessuno lascia più la sua traccia con i pennelli su quelle vecchie assi. I colori nei tubetti si sono pietrificati, i pennelli sono pieni di ragnatele. Tutto tace ora qui intorno e noi possiamo solo immaginare la tranquillità che deve aver assaporato chi ha abitato qui per anni, chissà se i suoi quadri raccontavano tutto questo suo piccolo mondo incantato…

Questa casa apparteneva a un pittore che ormai non c’è più, un pittore molto conosciuto che ha lasciato tracce della sua esistenza in ogni angolo. Si dice che non avesse mai lasciato questo posto, che la sua vita fosse stata scandita dalle camminate nei campi circostanti, nei suoi momenti di solitudine, nei suoi momenti di raccoglimento. Oggi, nonostante la casa sia in rovina, c’è ancora qualcosa di potente che rimane. La sua memoria non è andata persa, si è solo silenziata, in attesa di essere ricordata.

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