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Il palazzo dell’Alchimista
POSTED ON 26 Ott 2022 IN Reportage

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Il palazzo dell’Alchimista è un reportage che mi lascia un velo di insoddisfazione; perché la fretta è nemica della buona fotografia e in certi momenti servirebbe poter riflettere e aspettare la scelta migliore. E invece in questo meraviglioso palazzo mi sono visto costretto ad agire sotto pressione e con l’ansia come amica di avventura: certo, la possibilità che ci fosse un enorme molosso ad aspettarci sotto la finestra era nell’aria e ampiamente prevedibile. In realtà poi gli eventi nefasti non si sono realizzati e a mente fredda (e lucida) avrei potuto dedicare un tempo maggiore all’esplorazione e alla fotografia. Nonostante tutto e tutti qualcosa di interessante sono stato in grado di fotografare e l’immagine al quale tenevo di più, il celebre soffitto a ottagoni della stanza da letto, alla fine sono riuscito a portarla a casa (con il fiato sul collo).

In questa villa l’alchimista Cesare Mattei curava i pazienti con l’elettromeopatia. Andando oltre le teorie di Hahnemann (fondatore dell’omeopatia) elaborò una nuova teoria medica che chiamò Elettromiopatia (o Elettromeopatia) e nel 1859, benché avversato dalla classe medica, iniziò la produzione dei rimedi elettromeopatici esportandoli anche all’estero. Nacque un deposito centrale a Bologna e altri 26 depositi autorizzati in tutto il mondo che crebbero fino a 107 nel 1884, tra i più importanti il Consorzio di Ratisbona (Regensburg), la Mattei Home (Londra) e quelli in Belgio, Stati Uniti d’America, Haiti e Cina. Negli anni 1887/1888, errate speculazioni finanziarie del nipote Luigi Mattei, predestinato erede e co-intestatario di quasi tutte le proprietà, causarono una gravissima crisi economica alla famiglia. Non riuscendo a far fronte ai debiti e agli altissimi tassi degli usurai, molti beni vennero messi all’asta. La rovina minacciò di sommergere tutto il patrimonio, compresa la Rocchetta. Cesare decise di diseredare il nipote e riuscì a sanare in parte la situazione, coadiuvato dal suo collaboratore Mario Venturoli (1858-1937), che adottò nel 1888 in segno di riconoscenza. Nel 1895, ormai anziano e reso paranoico dalle continue dispute con i medici allopatici, a causa di una incomprensione con la nuora (sospettata di aver tentato di ucciderlo servendogli un caffè avvelenato), cacciò lei e Mario dal castello e in seguito li diseredò.

All’uscita, nonostante le paure, del temibile e feroce guardiano a quattro zampe nemmeno l’odore. E nello zaino avevo un osso gigante per soddisfare le sue grinfie. Ma d’altronde l’urbex è un’attività che sarebbe opportuno svolgere all’alba, anche a Marzo: la prima foto è stata scattata alla 7.35 mentre l’ultima alle 7.56, 21 minuti praticamente al buio e sempre di corsa. L’ansia dell’esplorazione urbana.

L’antico palazzo è oggi è diviso in due parti: una di proprietà comunale, l’altra invece appartiene ad un privato. Attualmente, la parte più fatiscente del palazzo è molto trascurata perché da molto tempo non si fanno lavori di restauro. Alcune stanze sono pericolanti e parzialmente crollate, ma la cucina, il salone-camera da letto e il bagno sono ancora intatti, e mantengono, oltre ai pregevoli portali e gli stucchi sui soffitti, ancora l’antica mobilia, numerose foto, alcuni giochi d’epoca e antichi oggetti di uso quotidiano.

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Per questo esiste l’Alchimia. Affinché ogni uomo cerchi il proprio tesoro e lo scopra e poi desideri essere migliore di quanto non fosse nella vita precedente. Il piombo svolgerà il proprio ruolo fino a quando il mondo non ne avrà più bisogno. Ma poi dovrà trasformarsi in oro. È quanto fanno gli Alchimisti: dimostrano che, ogniqualvolta cerchiamo di essere migliori di quello che siamo, anche tutto quanto ci circonda diventa migliore.
– Paulo Coelho, L’alchimista

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