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La clausura violata
POSTED ON 13 Apr 2021 IN Reportage

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Sono solo e mi avvicino, in religioso silenzio, a quella che nel secolo scorso era la Certosa della Motta Grossa. Qui una volta c’era un importante convento di clausura. Nel 1903 a seguito di leggi che soppressero le case monastiche, la comunità certosina femminile di Bastide Sainte Pierre a Montauban nella Garonna in Francia, dovette abbandonare il proprio convento trovando rifugio in Italia, presso un antico castello di Riva di Pinerolo chiamato Motta Trucchetti.

Furono realizzati grandi lavori di ristrutturazione, iniziati nell’ottobre 1903, eseguiti sotto la direzione di Dom Roch Mallet, procuratore della Grande Chartreuse, il quale rese gli edifici idonei alla regola monastica certosina. Fu installato un bellissimo orologio, proveniente dalla certosa di Le Reposoir, che fu posto in una torre quadrata, a una cinquantina di metri dal convento. Poiché l’antica cappella di San Giovanni Battista, situata nel giardino, era troppo piccola, ne fu costruita un’altra più spaziosa, e Don Michel Baglin andò a benedirla il 12 maggio del 1904 titolandola a Santa Rosellina. In questo luogo la comunità religiosa rispettò la regola certosina come casa rifugio, e soltanto in seguito, nel 1936, visto la notevole crescita del numero di monache, si decise di erigere una certosa autonoma conosciuta con il nome di Motta Grossa.

La struttura monastica è composta da un enorme edificio eretto su due livelli, al centro si trova la Chiesa del quale ormai non rimane più nulla: anche il bellissimo crocifisso ligneo è sparito. Al piano superiore un lunghissimo corridoio porta alle celle dove vivevano le sorelle. Le monache rimasero nel convento sino al 1998 anno in cui si trasferirono alla certosa di Vedana lasciando il complesso monastico all’Istituto diocesano per il sostentamento clero di Torino. Da quel giorno la Motta Grossa è in stato di completo abbandono, preda dei vandali che hanno distrutto tutto il possibile. Oggi è un luogo vuoto e spettrale, svetta tra la fitta vegetazione che quasi ne impedisce l’accesso; il cancello arrugginito è rimasto come ultima, ma inutile protezione.

Tutto ora è abbandonato: finestre spalancate, persiane penzolanti, porte sfondate, muri fessurati dall’umidità e rampicanti che s’infilano in ogni dove quasi per inglobare di nuovo nella natura quel pezzo di mondo.

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La regola di clausura (dal latino claudere, “chiudere”) è la regola che disciplina l’ingresso e l’uscita per alcuni ordini religiosi. Per gli uomini la clausura è passiva, ossia non consente l’ingresso delle donne. Per le donne, invece, è attiva e passiva, vale a dire che è proibito sia l’ingresso in monastero degli esterni, sia l’uscita delle monache. Tuttavia il vescovo diocesano può, in caso di necessità, permettere che le monache escano dalla clausura per il tempo strettamente necessario. Nel linguaggio ecclesiastico, il termine clausura indica, materialmente, uno spazio chiuso per il ritiro religioso, e formalmente, le regole sull’entrata ed uscita dei religiosi e dei visitatori.

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Nella vita, come nell’arte, è difficile dire qualche cosa che sia altrettanto efficace del silenzio.
– Ludwig Wittgenstein

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