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La Villa del Maggiordomo
POSTED ON 31 Mar 2021 IN Reportage

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Alcune settimane fa, grazie al permesso della proprietà che l’ha acquistata alla fine del secolo scorso, abbiamo avuto la possibilità di visitare una bellissima villa storica dimenticata nella periferia di Torino: la Villa del Maggiordomo.

Alla parola “maggiordomo” il pensiero ci porta sempre a immaginare un signore distinto e impettito in livrea nera che si occupa della gestione della villa del suo padrone. In realtà all’epoca dei Savoia, nel XVII e XVIII secolo, la figura del maggiordomo era molto diversa e ricopriva un ruolo importantissimo nella corte. Era scelto tra le famiglie nobili ma, soprattutto, doveva essere uomo di prime nobilitatis et rare virtutis, perché le qualità personali e i servigi prestati contassero nella scelta più del sangue. Non mancano infatti casi di maggiordomi di origine borghese, giunti a tale dignità attraverso una carriera negli uffici giudiziari o finanziari. Il re nominava diversi maggiordomi, alcuni solo come carica onorifica, altri invece che accompagnavano la corte e avevano il compito di dirigerne la vita quotidiana; erano soprattutto quelli che venivano nominati, con significativa precisazione, all’ufficio di continuum et residentem magistrum hospitii nostri, perché fosse ben chiaro che non si trattava di una nomina meramente onorifica. A loro spettava, tra le altre cose, verificare e controfirmare le note spese di tutti i fornitori della casa ducale e le richieste di rimborso dei servitori, nonché controllare e vidimare, ogni mese, il registro delle spese quotidiane della casa, presentato dall’impiegato a ciò addetto. Spettava a loro, altresì, la responsabilità del guardaroba ducale, e con esso delle tappezzerie, masserizie, abiti e gioielli. Veniva poi scelto, tra tutti, un gran maggiordomo, la cui responsabilità politica si aggiungeva a quella più propriamente amministrativa: infatti egli partecipava alle riunioni del consiglio ducale, lasciando la gestione quotidiana agli altri maggiordomi. Era a tutti gli effetti il Primo Ministro dell’epoca per la sua importanza.

La villa fu costruita su un terreno rurale, dove esisteva già una cascina, tra il 1675 e il 1683 dal gentiluomo Valeriano Napione. Inizialmente fu soprannominata la Napiona proprio per il nome del suo primo proprietario, in seguito prese il nome dalla carica di maggiordomo ricoperta intorno alla metà del Seicento da Valeriano presso la corte del principe Emanuele Filiberto di Savoia Carignano. Napione affidò la costruzione al famoso architetto torinese Guarini o forse, più presumibilmente, ad un suo allievo: Giovanni Francesco Baroncelli, perché avrebbe voluto avere una struttura il più simile possibile a Palazzo Carignano che i Savoia stavano costruendo nello stesso periodo.

Inizialmente la villa era concepita per essere un luogo di svago con saloni e stanze per i ricevimenti. L’importante salone centrale di forma ellittica si ergeva fino al secondo piano: in fase di restauro sono stati scoperti gli attacchi dei balconcini tra primo e secondo piano pensati per la permanenza dei musici e dei cantanti che allietavano le serate degli ospiti.

Solo in un secondo tempo, probabilmente nel ‘700, vennero aggiunte le ali laterali contenenti le cucine, la cappella e le stanze al piano superiore. Altre migliorie tra cui la limonaia, o giardino d’inverno, creato con enormi vetrate nel rifacimento della parte ovest e la meravigliosa scala elicoidale in legno, abbastanza preservata, furono create da un altro proprietario, Amedeo Peyron, tra fine ‘800 e i primi del ‘900, su progetto dell’architetto Carlo Ceppi, famoso a Torino per l’opera della Stazione Porta Nuova. La cappella invece venne completamente rifatta nel 1833 da Andrea Gonella, banchiere di Carrù, la cui famiglia fu proprietaria della palazzina fino al 1868.

Confrontandola con il famoso palazzo Carignano di Torino, di cui forse voleva essere una riproduzione in piccolo, la villa “Il Maggiordomo” acquista sicuramente un valore aggiunto in quanto il mantenimento delle finiture originali potrebbe suggerire (naturalmente in modo semplificato e in scala inferiore) l’aspetto che avrebbe potuto assumere Palazzo Carignano se fosse stato completato con l’applicazione dell’intonaco e dello stucco decorativo. Il Carignano infatti, a causa di una successione di eventi tra cui la morte del Guarini, l’esilio del committente e la già citata mancanza di calce, è rimasto diciamo incompiuto nella facciata con il paramento in mattoni a vista.

La villa negli anni passò di mano in mano a personaggi più o meno illustri fino al declino iniziato con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, quando venne danneggiata dalle truppe tedesche e poi ospitò alcune famiglie sfollate, che abitarono nel complesso anche nei decenni successivi, quando il Maggiordomo era già in gran parte abbandonato.
Nel 1952 morí Luigi Corrado Della Chà (o Della Cà), l’ultimo proprietario ad aver abitato nella villa e la proprietà andò alla figlia Marizzina che, nel 1955, sposò il principe romano Ladislao Odescalchi lasciando la nobile dimora abbandonata a se stessa. Da qui iniziò velocemente il declino, arrivarono i ladri che depredarono parte dei pavimenti e i camini, il tetto crollò lasciando i danni delle infiltrazioni d’acqua e tutto sembrava perso.

L’attuale proprietà, che ha acquistato l’immobile in stato di avanzato degrado, negli ultimi anni ha ricoperto il tetto con lastre di metallo e iniziato un primo intervento conservativo di restauro sugli stucchi. Intanto, mentre il maggiordomo cerca di sopravvivere al tempo inesorabile, si sta cercando una nuova destinazione d’uso sostenibile negli anni e un partner per la ricostruzione. La speranza è che riescano presto in questa impresa, perché la triste sorte di questo edificio non rende giustizia alla sua valenza architettonica e storica: un vero e proprio gioiello dimenticato del barocco torinese.

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Questo articolo è stato pubblicato sul numero 65 del magazine GiroINfoto. Le foto sono del sottoscritto, il testo è di Lorena Durante.
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