La ragnatela è un miracolo di ingegneria che affascina da secoli gli studiosi e i curiosi. La sua resistenza è paragonabile all’acciaio, con un carico di rottura di oltre centottanta chilogrammi per millimetro quadro di sezione; il filo del ragno ha una struttura molecolare che si deforma molto se soggetto a torsione, in un modo che l’uomo non è mai stato in grado di riprodurre artificialmente. Quando si cade nella tela del ragno le speranze di salvezza sono ridotte al lumicino. È una trappola mortale.
E dentro era buio, terribilmente buio. Un mondo distopico che mi ha scoperto a vagare con la fotocamera chiusa nello zaino e la voglia di capire e scoprire. Poi ho collegato il cervello, è diminuita la frequenza cardiaca e ho iniziato a pensare al motore dell’esplorazione urbex: la fotografia. E come in un gioco di specchi e rimandi ho scoperto che la Villa era la dimora del ragno: meravigliose ragnatele ovunque, in ogni angolo, sulle finestre, sui vestiti, sul lampadario, ad unire libri e storia. Non sono riuscito a decifrare, ma ho compreso che fra queste pareti la cultura e lo studio erano un’abitudine di casa; un’idea di classe e di prestigio al quale non sono riuscito a rimanere insensibile e che mi lasciato un senso di benessere e di appagamento. E nel momento di uscire mi sono sentito finalmente libero e ho respirato a pieni polmoni quel senso di successo e di scampato pericolo che mi travolge tutte le volte che torno nel mondo reale.
La ragnatela, che sarebbe la più scintillante e graziosa cosa del mondo, se non ci fosse in un angolo il ragno.
– André Breton