Villa Infinito è un luogo fuori dal tempo. Un palazzo che sta cadendo a pezzi, ma che riesce ancora a colpire per la sua bellezza. La facciata è segnata dal tempo, ma sobria ed elegante. All’ingresso, una scalinata ampia accoglie e lascia di stucco: i gradini sono ricoperti di detriti, ma si intuisce ancora la loro imponenza. Le colonne, robuste e classiche, sorreggono un soffitto annerito dall’umidità, mentre una balaustra in pietra accompagna lo sguardo verso un affresco incorniciato. Mostra un palazzo sul bordo di un lago, sotto un cielo azzurro con nuvole leggere. È un’immagine serena, quasi fuori luogo nel contesto decadente che la circonda. Purtroppo il tetto sopra l’affresco è crollato, e la pioggia ha iniziato a cancellarne i dettagli.
In una stanza laterale, appoggiata ad una porta, c’è una vecchia macchina da cucire Necchi. Si riconosce dal logo in rilievo sulla base in ghisa. È uno dei modelli prodotti tra gli anni ’40 e ’60, quando il marchio italiano era sinonimo di qualità e innovazione. Massiccia, arrugginita, immobile: sembra uscita da una fabbrica del dopoguerra. E proprio lì vicino, come dimenticata da decenni, una fotografia in bianco e nero. Sono dei giovani in posa, sorridenti, probabilmente i figli dei proprietari di un tempo. Nessun nome, nessuna data. Solo una traccia lasciata per caso o per scelta, l’unico segno personale rimasto in tutta la villa. Non ci sono fantasmi da evocare o leggende da raccontare. Solo un palazzo vuoto, che cade lentamente, e che riesce ancora a raccontare qualcosa con pochi oggetti, qualche affresco sbiadito e tanto silenzio. A volte basta questo.