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Centro Permanenza Temporanea Vista Stadio

28 Febbraio 2008

Centro permanenza temporanea vista stadioCi sono libri belli e libri interessanti. Poi ci sono libri belli ed interessanti. Centro permanenza temporanea vista stadio di Daniele Scaglione fa parte di quest’ultima categoria. Il libro racconta la storia di Sharmin, una ragazza iraniana appassionata di calcio, che finisce con la madre nel centro di permanenza temporaneo di Moncalieri. In Italia si scontrerà con la strane leggi che regolano il flusso degli extracomunitari ma riuscirà comunque ad assistere ad una partita di calcio e a raggiungere il padre a Lione. Ho letto il libro consigliato da alcuni amici di fede granata e dalla storia di Sharmin ho imparato molto sulla situazione dei clandestini nel nostro paese. Mi sono incuriosito e ho contattato Daniele Scaglione per qualche domanda, sul calcio, ma soprattutto sui CPT. Daniele non è proprio l’ultimo arrivato (copio dalla sua scheda autore): Eí socio di Amnesty International, della cui sezione italiana è stato presidente dal 1997 al 2001. Ha collaborato con alcuni giornali, tra cui l’inserto domenicale de Il Sole 24 Ore. Eí capo della comunicazione di ActionAid, organizzazione internazionale che lotta contro la povertà. Ecco le domande.

Nel tuo libro parli dei centri di permanenza temporanea e critichi apertamente la legge vigente in Italia. Cosa suggerisci per risolvere il problema immigrazione clandestina nel nostro paese?
La funzione dei Centri di Permanenza Temporanea è identificare gli immigrati senza documenti o con documenti irregolari, nonché ospitare coloro che è stato deciso di rimpatriare in attesa di organizzarne il rientro. A dieci anni dalla sua stituzione, possiamo dire che il sistema dei CPT è
fallito: queste strutture non fanno quello per cui sono state create. Nei CPT vengono infatti rinchiuse persone che il più delle volte sono già state identificate. Inoltre, la maggior parte di esse viene rimessa in libertà per decorrenza dei termini senza che venga identificata. Il CPT è l’emblema di un modo approssimativo e plateale – direi anche un po’ cialtrone – di affrontare il problema dell’immigrazione. Per essere concreti bisognerebbe innanzitutto togliere questo argomento dalla disputa politica: destra e sinistra fanno gara a chi è più bravo, più duro, più inflessibile, e a ogni cambio di governo si rimette mano alla legge affermando che quelli che governavano prima hanno contribuito ad aumentare la clandestinità. Certo che è possibile e doveroso controllare l’immigrazione, però lo si potrebbe fare rispettando le norme internazionali in tema di diritto emigranti, non c’è da inventarsi nulla, basta rispettare i diritti umani. Ma è chiaro che la cosa più importante da fare consiste nell’affrontare alla radice i motivi per cui le persone abbandonano il proprio paese. Dobbiamo cio è sconfiggere
la povertà nel mondo, cosa che l’Italia fa solo in parte: siamo buoni ultimi, tra i paesi più sviluppati, nel rispettare gli impegni che pure abbiamo solennemente preso a livello internazionale per sconfiggere la
povertà e favorire lo sviluppo.

La storia di Sharmin è frutto della tua immaginazione, ma le tematiche sono molto reali. La situazione dei CPT in Italia è proprio come tu la descrivi?
La situazione dei CPT in Italia è effettivamente drammatica, anche se il
quadro complessivo è piuttosto variopinto. Secondo un’indagine compiuta da Medici Senza Frontiere ormai qualche anno fa, ci sono centri che andrebbero chiusi subito, talmente la situazione è grave in termini di strutture logistiche e trattamento dei reclusi. Ce ne sono altri dove invece la
situazione è migliore e dove le persone possono vivere in condizioni più
dignitose. Certo è che abusi e violenze ai danni degli immigrati sono molto frequenti in diversi centri e in alcuni casi arrivano a veri e propri pestaggi organizzati. Le persone recluse nei CPT compiono spesso atti di autolesionismo grave, suicidio incluso. L’ottobre scorso, nella struttura di Modena, due magrebini si sono impiccati: avevano 23 e 25 anni.

Eri davvero in curva ad assistere a Toro-Roma? (io c’ero!!)
La partita Toro-Roma di cui parlo nel libro l’ho vista in televisione, nella mia casa di Roma, città dove abito dal 2000. Al mio fianco c’era un
caro amico giallorosso. Chi ha visto la partita e se la ricorda avrà notato che un pochino l’ho romanzata, senza però alterare il fatto più importante, e cio è che abbiamo perso, maledizione. Soprattutto un episodio che racconto a margine di quella partita è inventato di sana pianta, quello del buco in una delle due porte. Ma il buco nella rete (che è anche il titolo del blog che gestisco sul sito delle Edizioni e/o) è un’immagine importante nell’ambito del racconto e quindi ho voluto inserirla in quel contesto. Nel libro parlo del Toro perché la sua è una bella storia, di cui ci si può innamorare, come in effetti accade alla protagonista. Ed è stata una scelta
facile, essendo il Toro la mia squadra dal campionato 1975-1976, quando (avevo nove anni) fui portato da mio cugino allo stadio a vedere Toro-Cagliari. Vincemmo 5 a 1. Come finì quel campionato, direi che ce lo ricordiamo tutti.

Concludo ringraziando Daniele per la disponibiltà, immensa, consigliando a tutti il suo libro e invitandolo, via blog, allo stadio Olimpico di Torino: un biglietto riesco a procurartelo, fammi un fischio!

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