POSTED ON 11 Mag 2019 IN
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Per il quarto anno consecutivo mi sono trovato in teatro a fotografare i ragazzi delle scuole di Mondovì impegnati in ‘Tutti in scena‘ e, per la prima volta, mi è toccato in sorte l’istituto Baruffi. La frase simbolo di quest’anno era: “Ogni uscita è un’entrata da un’altra parte”; ma forse sarebbe meglio parlarne durante le foto dello spettacolo. Ho diviso le immagini in due fasi: oggi pubblico il backstage, che sicuramente è la parte più divertente della serata. Gli attori del Baruffi non erano molti e quindi ho potuto inserire un elemento di fastidio, se così possiamo definirlo: il flash. Ovviamente con softbox e altrettanto ovviamente staccato dalla macchina; in teoria, se sono stato bravo, non si dovrebbe notare. Almeno non troppo. Ho scattato tante foto, esclusivamente con il 50mm, e ne ho scelto 31, un vero record. Spero siano di Vostro gradimento.
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Domenica mattina ho fatto un salto (ma davvero, sono entrato e uscito in 12 minuti netti) a fotografare la presentazione del libro Cleopatra di Alberto Angela al Teatro Toselli. Il Teatro Toselli (doppia maiuscola) è qualcosa di meraviglioso, un piccolo gioiello incastonato in via Roma, il salotto buono di Cuneo. E mi hanno mandato a fotografare in zona sopraelevata, nella posizione più difficile: si vede malissimo lo spettacolo, ma la visione dell’ambiente circostante è mozzafiato. Ho tolto il tele e messo il supergrandangolo per ottenere una rappresentazione completa dei palchi, della balconata e degli stucchi dorati. Ed è bellissimo il Teatro Toselli. E quando c’è il tutto esaurito è ancora meglio. Affascinante.
POSTED ON 8 Nov 2018 IN
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Queste bellissime foto (posso dirle in quanto non sono mie) sono state scattate probabilmente da un celebre urbexer olandese, Wim Van Blisterkof, nello scorso mese di Aprile. Le ho trovate sul suo profilo Flickr e mi hanno incuriosito perchè ritraggono l’interno di quello che una volta era il Teatro Sociale di Mondovì. Purtroppo non ho avuto l’onore di entrare ed ammirare questa meraviglia architettonica che ha fatto la storia di Piazza, il rione storico della città monregalese. L’accesso è interdetto, a chiunque, per il rischio crolli: davvero troppo pericoloso avventurarsi all’interno della struttura. Le voci di zona dicono che il comune abbia espresso l’intenzione di mettere in sicurezza l’intero stabile (la ristrutturazione avrebbe costi eccessivi) in quanto la situazione è diventata ormai insostenibile; ci potrebbe anche essere un piccolo accesso dedicato al pubblico per ammirare, da fuori, quello che rimane del Teatro Sociale. Sarebbe anche interessante, pensiero personale, allestire una mostra fotografica stabile con immagini storiche e attuali, e qualche cenno di storia per ricordare questa incredibile meraviglia. Non ci resta che aspettare, un giorno potrei avere l’onore di entrare e ammirare dal vivo. Speriamo, sarebbe un piccolo sogno che diventa realtà. Si va in scena. ;-)
Quando la storia entra qui si ferma un attimo, respira e si toglie il cappello. Perchè fra queste pareti e questi spalti abbandonati da tempo si è davvero fatta la storia dell’arte e del teatro. Eleonora Duse e Ermete Novelli hanno avuto l’onore di salire su questo palco, di recitare davanti ad un pubblico che all’inizio del secolo scorso riempiva il loggione e i palchi in ogni ordine di posto. Un gioiello dell’800 abbandonato davvero troppo presto al suo destino.
Fu costruito dall’architetto G.B.Gorresio e inaugurato nel 1851. Aveva tre ordini di palchi oltre al loggione superiore che era destinato alle persone meno abbienti. Era presente un grande sipario raffigurante Apollo e le Muse. Ospitò per decenni opere liriche, commedie, drammi romantici, operette, serate d’onore, conferenze, concerti e comizi. Veniva utilizzato anche per le scolaresche che in questo modo potevano assistere alle rappresentazioni pomeridiane di importanti spettacoli. Fu ristrutturato nel 1887 e successivamente nel 1933. A seguito della costruzione di altre sale e delle sviluppo del cinema fu progressivamente abbandonato fino alla definitiva chiusura. Nel 1978, a seguito di una eccezionale nevicata, crollò il tetto e da allora rimane inutilizzato in uno stato di totale abbandono.
POSTED ON 11 Mag 2018 IN
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Dopo aver raccontato il backstage veniamo alla messa in scena vera e propria. Quest’anno l’oggetto comune a tutte le rappresentazioni era uno strano pacco legato con delle corde (non saprei come definirlo) sulla sinistra del palco. La frase da citare era: “Le storie vanno raccontate se non vuoi che si perdano“. I ragazzi del Garelli hanno cercato di inserire l’oggetto misterioso nella storia, ma al mio occhio poco esperto non credo abbiano completato l’impresa. Ma questo è un altro discorso. Io non sono riuscito nemmeno a catturare la frase obbligatoria: d’altronde la mente del fotografo dev’essere concentrata su altri aspetti e diventa difficile riuscire a seguire il filo narrativo. Avendo la possibilità di muovermi liberamente in sala (e anche dietro le quinte) ho scattato sempre il con 70/200, che è l’ideale per questo tipo di foto. Ho impostato 1600 ISO, alternato fra F/4 e F/2.8 e prestato attenzione che il tempo di scatto (in priorità di diaframmi) non scendesse mai sotto 1/125; le luci (e la qualità del sensore) mi avrebbero permesso anche di scendere a 800 ISO, ma ho preferito non rischiare; un po’ di grana non ha mai fatto male a nessuno, specialmente a teatro.
Ad ogni gruppo spetta il compito di allestire uno spettacolo, con durata massima di 60 minuti in orario scolastico e serale, recitando la frase “le storie vanno raccontate se non vuoi che si perdano”. Scenografia caratterizzata da un oggetto misterioso, che non potrà essere toccato, spostato o spogliato, ubicato alla sinistra del palco in posizione leggermente defilata verso il fondale.
POSTED ON 10 Mag 2018 IN
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POSTED ON 10 Mag 2018 IN
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È la terza volta che fotografo la rappresentazione teatrale studentesca organizzata da Servi di Scena. E trovo estremamente stimolante (e divertente) fotografare il backstage: quest’anno mi è toccato in sorte il Garelli con lo spettacolo dal titolo ‘Lazzi & Intrallazzi’. Ho cercato, come sempre, di adeguarmi all’ambiente, di nascondermi e risultare invisibile per riuscire a realizzare un reportage aderente alla realtà (per quanto fattibile) senza interferenze ed espressioni forzate. Si tratta, essendo il fotografo elemento esterno, di un’impresa al limite, ma credo di essere riuscito a rendere tutto il più naturale possibile. E in queste foto (ne ho scelte 13+1) ho cercato di raccontare l’atmosfera che si respira nel dietro le quinte prima dello spettacolo: ed è una bellissima atmosfera. Ho scelto, come sempre in questo caso, il bianco e nero per concentrare l’attenzione sull’espressioni ed evitare i fastidiosi giochi di colore e illuminazione artificiale (nel caso davvero tremenda). La foto che ho scelto come copertina è tecnicamente sbagliata: la messa fuoco non è perfetta (ho scattato a F/1.2 e 1600 ISO), anzi, ma certe volte cogliere l’attimo è più importante persino della composizione e della tecnica. Capita poche volte, molto raramente, ma capita.
Rosalyn è una commedia teatrale noir interpretata dalle bravissime Marina Massironi e Alessandra Faiella; ho fotografato solo 15 minuti e poi ho lasciato la sala per non disturbare le attrici (e per rispetto del pubblico), quindi non posso raccontarVi la trama. Ma posso spiegare quanto è difficile riuscire a trovare degli scatti interessanti in un periodo di tempo così limitato (e senza potersi muovere più di tanto). Fotografare il teatro è camminare sul filo del rasoio degli iso e della velocità di scatto. Nel silenzio, al rallentatore. E devo ammettere che ormai mi sono abituato talmente bene che anche in questo tipo di foto, che difficilmente possono uscire perfette, cerco di trovare nitidezza e messa a fuoco. E non riesco ad essere mai completamente soddisfatto, nonostante sia cosciente dei limiti imposti dalla situazione. Ho fotografato con il 70/200 (ero vicino, ma non vicinissimo) a tuttaapertura, ISO 800, cercando di tenere un tempo di scatto non inferiore a 1/160 sottoesponendo di 1 stop (il buio del teatro tende ad ingannare l’esposimetro della macchina fotografica)(soprattutto se impostato su valutativa). Alla fine qualcosa di buono è uscito.
Nel corso della presentazione del suo libro a Toronto in Canada, Esther, scrittrice americana, conosce Rosalyn, la donna delle pulizie della sala conferenze. Il libro che Esther presenta insegna a liberare la vera natura del sé, e Rosalyn ne è ammirata e sconvolta. Vuole leggerlo subito e si offre, il giorno dopo, di portare la scrittrice a vedere la città. Dopo la visita ritroviamo le due in un prato in periferia. Qui Rosalyn rivela a Esther la storia del suo amore clandestino per un uomo sposato bugiardo e perverso, che le fa continue violenze fisiche e psicologiche. La sera prima, quando lei è tornata in ritardo dal lavoro per aver seguito la conferenza della scrittrice, l’uomo infuriato l’ha picchiata e ferita. Esther sbotta: un uomo del genere è da ammazzare. Infatti – dice Rosalyn – è nel bagagliaio. Questo il folgorante avvio della nuova commedia noir di Edoardo Erba. Avvincente, ricco di colpi di scena, sostenuto da una scrittura incalzante, Rosalyn è il ritratto della solitudine e dell’isolamento delle persone nella società americana contemporanea. Uno spaccato su quel grumo di violenza compressa e segreta pronta a esplodere, per mandare in frantumi le nostre fragili vite. Rosalyn è un rebus che vive e che pulsa sul palcoscenico e che la platea è chiamata a risolvere. Una prova di intelligenza, per chi il rebus ha preso in carico di pensarlo e metterlo in scena, con la dovuta cura.
Anche quest’anno MondovìPhoto ha avuto l’onore (e l’onere) di fotografare la rappresentazione teatrale studentesca organizzata dalla compagnia Servi di Scena al teatro Baretti di Mondovì. Ho scoperto che tutti gli anni viene scelto un oggetto per complicare la vita degli attori (e degli autori): quest’anno due corde verticali al centro del palco (se non ho capito male lo scorso anno era un baule). Il tutto per dare un filo conduttore alle varie scuole che provano a cimentarsi nel gioco del teatro. Io sono stato selezionato per fotografare i giovani dei licei e dell’alberghiero; giovani perché ancora iscritti nei primi tre anni di scuola: titolo dell’opera: Sliding Ropes. Teatro dell’assurdo e ci ho capito davvero poco; ma questa sarebbe un’altra storia. E’ stato molto divertente (come sempre) fotografare nel backstage: i ragazzi sono davvero molto disponibili, si divertono e non sono per nulla a disagio nonostante la macchina fotografica. Mi sono sentito decisamente trasparente. Il discorso si è complicato durante la rappresentazione vera e propria: luci molto basse e complicate, attori, vestiti completamente di nero, in movimento continuo; in questo caso devo ammettere che poter contare su un obbiettivo molto luminoso ha semplificato il mio compito. Ho salvato 287 foto, sui social ne ho pubblicate 31, sul sito invece diminuisco ancora: solo 15, quasi equamente divise fra dietro le quinte e rappresentazione. Ho scelto di pubblicare esclusivamente in bianco e nero in quanto i colori, brutti, avrebbe solo distolto e spostato l’attenzione. Trovo bellissima la foto di copertina; chi si loda si imbroda dicevano. Pazienza, per questa volta.
#TEATRO Un grande soddisfazione #tuttiinscena8:
– 2500 spettatori in sala tra gli spettacoli del mattino e della sera;
– 110 attori in scena,
– una sempre più consolidata collaborazione con il C.F.P. Cebano-Monregalese per il trucco e parrucco dei giovani attori
– esperimenti fotografici molto apprezzati e riusciti con il gruppo di Mondoviphoto
“L’onestà, la sincerità, l’ingenuità, la convinzione, l’idea del dovere, se si deformano possono diventare vergognose, ma anche vergognose restano grandi. Sono virtù che hanno un vizio: l’errore”.
Lunedì 23 maggio l’Accademia Teatrale Giovanni Toselli e la scuola di teatro di Cuneo hanno messo in scena l’immortale capolavoro di Victor Hugo: I miserabili. Ed il sottoscritto è stato invitato a fotografare lo spettacolo. E’ sempre interessante visitare il dietro le quinte di un evento teatrale: il trucco, gli ultimi preparativi, la tensione, il ripasso finale delle battute, l’incitamento prima di salire sul palco, la concentrazione. Ogni attore vive a modo suo l’attesa e riuscire a capire lo stato d’animo di ognuno di loro permette di comprendere al meglio le emozioni che si scatenano durante la recitazione. Lo spettacolo è stato molto bello, nonostante fossi impegnato a scattare mi sono scoperto a seguire le vicende del forzato Jean Valjean e a ridere per le buffe espressioni dell’ispettore Javert (che mi ha ricordato un po’ Zenigata). Il momento clou è stato l’inizio dello spettacolo: mi sono posizionato nel corridoio centrale in attesa che gli attori salissero sul palco. Ma sorpresa delle sorprese (nessuno aveva pensato di avvisarmi) gli attori sono arrivati alle mie spalle e a luci incredibilmente accese: per evitare di intralciare mi sono fatto piccolo piccolo con il mio zaino grande grande e con il 70-200 montato in macchina. Penso che tutto il pubblico mi abbia guardato con aria di disapprovazione e disappunto. Poco male, sono un fotografo: disappunto e disapprovazione sono il mio pane quotidiano. Ho scattato circa 400 foto sempre a tuttaapertura come piace a me. E queste sono le 17 che preferisco e che rappresentano un po’ tutto quanto messo in scena dalla regista Claudia Giordanengo, che ha rielaborato l’opera di Victor Hugo in modo magistrale. Aggiungo i miei personalissimi complimenti a Luigi Cando (Jean Valjean), ad Angelo Marasco (Javert) e a Giorgia Fantino (Cosette): davvero bravissimi.
Se un gruppo di “mendicanti” decide di raccontare una storia senz’altro la vicenda è interessante, se poi una storia simile è già stata scritta da un genio della letteratura qual è Victor Hugo il fatto può diventare curioso e intrigante.
La parabola di Jean Valjean, il buon forzato vittima di una società crudele con i deboli e vile con i potenti, il suo incontro con ogni tipo di umanità, ci permettono di usare anche la tecnica del gioco, di lavorare, come scuola di teatro, sui caratteri, passando dalla lievità poetica alla narrazione più cupa.
POSTED ON 26 Apr 2016 IN
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Sabato scorso ho proposto le immagini del backstage. Oggi aggiungo (a colori questa volta) le foto della rappresentazione di ‘Strane Coincidenze’. Sul palco solo una panchina, un orologio e il cartellone delle partenze e degli arrivi; e ovviamente i ragazzi dell’Istituto Cigna che hanno presentato la loro visione di quasi 200 anni di storia italiana (la Napoli-Portici è del 1839) vista attraverso la vita in una stazione ferroviaria. La presentazione della storia è stata affidata ad un ragazzo di colore, credo non per caso: si parlava in modo sottile (ma comunque chiaro) di razzismo. Il razzismo nei confronti degli italiani che all’inizio del secolo scorso (anche attraverso il treno) cercavano fortuna all’estero: storie di povertà, di emigrazione, di lavoro, di sofferenza. Ma anche di ignoranza e, perché no, schiavitù. Un parallelo già visto e sentito (e forse abusato), ma comunque proposto in modo interessante e che ha invitato gli spettatori a riflettere e a pensare su quello che succede intorno a noi: sono passati 100 anni, sono cambiati sicuramente i protagonisti, ma non il modo di pensare degli essere umani. Complimenti ai ragazzi dell’Istituto Cigna per il lavoro, d’altronde hanno anche vinto il premio ‘della giuria’. Un appunto però, da pistino quale sono, voglio farlo alla direzione artistica: se vogliamo ricordare il mondiale di calcio vinto nel 1982, sul cartello deve esserci scritto Spagna 82. Italia 82 non vuole dire nulla ed è troppo semplicistico: è un po’ come insultare le capacità intellettive del pubblico in sala.
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POSTED ON 23 Apr 2016 IN
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Ieri sera mi sono presentato al Teatro Baretti (invitato ovviamente) per fotografare il Festival Teatrale Studentesco organizzato da Servi di Scena. Era la quinta serata del festival, dedicata all’Istituto Cigna, una delle scuole di Mondovì. Non ero particolarmente attratto dalla rappresentazione in se, ma era mia intenzione dedicarmi soprattutto alla fotografia di backstage. Nei giorni scorsi avevo notato alcune foto molto interessanti e mi sarebbe piaciuto cimentarmi nei camerini: volevo catturare l’emozione, l’ansia e l’attesa, tutte emozioni tipiche di chi sta per salire sul palco, qualunque palco si tratti.
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POSTED ON 13 Ago 2007 IN
Performing Arts
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Note di Notte ovvero Poeti Vs. Cantautori è il titolo dello spettacolo che il Teatro della Tosse presenta in questi giorni (sino al 15) ad Apricale. Da vedere, l’emozione è davvero unica. Tutto lo show (questa è l’unica definizione che mi viene in mente per descriverlo) è itinerante come tradizione. E’ difficile spiegare il concetto di itinerante: il pubblico viene diviso in gruppi e vagando per le vie del borgo (Apricale è un paese meraviglioso) assiste a otto diversi spettacoli teatrali in cui ognuno degli attori interpreta una scena diversa, sempre a stretto contatto con il pubblico, spesso e volentieri “nel” pubblico. E’ emozionante, loro sono davvero bravi, Vanni Valenza e Enrico Campanati quasi mostruosi nella loro bravura. Apricale e il Teatro della Tosse sono ormai una combinazione storica dell’Estate rivierasca; un classico che torna sempre più intenso e bello ogni anno. Se siete in zona seguite il mio consiglio: da vedere!
I versi di poesie e canzoni che tutti ricordano, che abbiamo recitato o canticchiato innumerevoli volte – magari senza conoscerne l’autore – si alternano ad altri versi che hanno il sapore di una piacevole scoperta… Dal 5 al 15 Agosto nel borgo di Apricale in scena Note di notte ovvero Poeti vs cantautori, uno spettacolo che è un percorso attraverso diverse atmosfere, tante quante i protagonisti del mondo della poesia e della musica d’autore che vengono messi in scena. Un percorso insolito per la Tosse che spesso rivolge il proprio sguardo a storie del passato: qui protagonista è il 900. Gli interpreti di Note di notte saranno aiutati dalla magia degli spazi di Apricale – che sembrano pensati per lo sviluppo dellazione teatrale “itinerante”. Otto stazioni, alcune delle quali ispirate al surrealismo di René Magritte e Salvador Dalì, a contrasto con l’architettura medievale dei due borghi, introducono gli spettatori ad un collage di parole e note del ‘900.
POSTED ON 26 Giu 2006 IN
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Sabato 3 giugno, dopo aver festeggiato il compleanno del maestro Luzzati, ho fatto un salto al Piccolo Teatro della Corte di Genova. Avevo promesso a Mariagrazia che sarei andato a fotografare il loro saggio di fine anno e amo mantenere le promesse. In programma c’era “Un posto luminoso chiamato giorno” di Tony Kushner; una commedia ambientata a Berlino poco prima della seconda guerra mondiale con aperti riferimenti a Reagan e agli anni 80. Una commedia difficile, complicata, anche complessa da capire per gli spettatori. La situazione fotografica era il massimo della difficoltà: proibito fotografare. Mi sono dovuto lecchinare il regista dello spettacolo Massimo Mesciulam ma sono riuscito ad ottenere la possibilità di scattare senza flash da posizione defilata. Considerando le dimensioni del Piccolo Teatro della Corte (veramente molto piccolo) e la luminosità, quasi zero, della scena ho fatto un piccolo miracolo. Ho dovuto scattare quasi esclusivamente a 1600-3200 ISO, ovviamente a mano libera, con lo zoom 100-300; un’impresa. Qualcosa comunque sono riuscito a portare a casa. Devo ammettere che i giovani attori sono stati davvero bravi: la commedia di Tony Kushner non è per niente facile e l’interpretazione dei personaggi tremendamente importante alla comprensione della storia.
Scritto da Tony Kushner nel 1985, A bright room called day (Un posto luminoso chiamato giorno) tratta dell’impotenza degli esseri umani di fronte a quella “banalità del male” che si perpetua nella Storia sempre con le stesse dinamiche dirompenti. Una pièce dalla sensibilità fortemente moderna, con un linguaggio fluido e brillante, che oscilla tra i toni della sit-com e il monologo shakespeariano, con risvolti inevitabilmente tragicomici quanto drammatici. Uno spettacolo intriso di suggestioni brechtiane, dalla vibrante forza civile, che ci costringe a rivolgere un pensiero ai meccanismi del potere, nelle sue piccole e grandi manifestazioni, e a ridefinire la nostra identità in senso umano, prima che sociale e politico.