Mia Galeazza, che sei vita e memoria. Mia Galeazza, che mi fai impazzire ed emozionare, che mi fai tornare bambino, che mi fai ridere, che mi fai riflettere e comprendere. Mia Galeazza, che torni come un sogno nella mia mente, che rinfreschi il cervello e che fai brillare la mia fantasia. Il tuo suono è duro e appassionato, ma è come musica per chi sa ascoltarti. Il tuo odore è forte e inebriante, ma si trasforma in profumo dolcissimo sotto la luna di Agosto. Mia Galeazza, diventi meravigliosa, incantevole e unica al sorgere del sole, sei come una storia infinita che fa terminare i pensieri nel vortice di un’alba sospesa e incompiuta. Mia Galeazza, sei tutto quello che posso immaginare, sei il mio posto nel mondo e sei come la passione vera: bellissima da vivere, impossibile da descrivere.
Sulla croce che domina il Sass Pordoi c’è un targa con una scritta particolare: “Cercate le cose di lassù. 50° Anniversario 1962-2012”. E’ stata aggiunta, e si capisce, nel 2012. E pensare che da quasi 60 anni (l’anno prossimo) questa croce domina una delle più conosciute cime delle Dolomiti è tristemente aberrante. Il tema delle croci in vetta alle nostre montagne è dibattuto da tempo e non può lasciare indifferenti soprattutto in un paese che si professa laico. E’ una delle cose al quale non si pensa mai, eppure nella natura incontaminata si continuano a costruire gigantesche strutture in metallo, plastica, cemento e vetroresina, generalmente di rara bruttezza (e pericolosità). Non confondiamo l’immanente con il trascendente. Ogni giorno che passa è un giorno perso: iniziamo a decrocifiggere la montagna.
Non c’è vetta di monte che non sia stata marcata da un qualche simbolo religioso, il crocifisso in testa a tutti, soprattutto nel nostro paese. La sommità delle montagne è stata luogo privilegiato della trascendenza, metafora dell’ascesa al cielo, sentiero di purificazione interiore. È sembrato perciò normale appropriarsi di questi vertici, della loro potente suggestione per veicolare il sacro. Allora percuoterli, scavarli, cementificarli per collocarvi sopra una più o meno grande croce è parso ovvio, una testimonianza di fede, un luogo privilegiato per il contatto col divino.