Oggi quella che noi possiamo considerare la collina di Torino è la porzione che forma un quadrilatero da San Mauro a Moncalieri, a Chieri, a Baldissero fino a richiudersi a San Mauro. Nei secoli scorsi l’interesse destato dalla produzione di un’eccellente qualità di vino portò il proliferare di filari intorno alle proprietà borghesi che in quel periodo vennero denominate vigne. Non si trattava di vere e proprie aziende come le intendiamo oggi, ma piuttosto di cascine padronali con un appezzamento di terreno coltivato a vite e una cantina per la vinificazione. La storia di Villa Richelmy è intrinseca alle vicende della collina torinese; fu vigna in senso lato, quindi residenza privata per poi diventare sede distaccata del dipartimento universitario di agricoltura.
Già Vigna Richelmi, fu costruita nel 1774 su progetto dell’architetto Carlo Ignazio Galletti per conto del banchiere Pietro Rignon, una cui nipote la recò in dote a casa Richelmy. È un ottimo esempio di sobria ed elegante dimora signorile del XVIII secolo e disponeva di ampi salotti, oltre che di una cappella interna dedicata a San Pietro in Vincoli.
Sul finire del secolo scorso venne tradita e abbandonata. Nei primi anni 2000 ci fu un timido tentativo di rilancio come residenza privata del quale rimangono qualche opera muraria, i resti del cantiere e la spazzatura. Ad oggi è lasciata al suo destino nonostante una vista incredibile sulla collina torinese e una storia secolare di ricchezza e nobiltà.
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Definire una meraviglia del genere è difficile, forse è semplicemente il caso di ammirare e stupirsi del bello dell’opera umana. Questo luogo fu Villa, Castello e Monastero di semiclausura. Ha vissuto la storia attraverso 4 secoli per finire in abbandono fra la polvere e le ragnatele. E riusciamo ancora ad emozionarci, a rimanere senza fiato con gli occhi rivolti al soffitto oppure osservando la perfetta geometria di una scala. E anche questo il bello dell’urbex.
Magnificat anima mea,
Magnificat Dominum.
Et exultavit spiritus meus in Deo
Salutari meo.
Magnificat, magnificat
– Mina
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La chiesa blu (dabluldirabluldai come direbbero gli Eiffel 65) è un altro di quei luoghi urbex che ormai fanno parte della cultura e dell’immaginario del mondo dell’esplorazione urbana. E devo ammettere che quando mi sono ritrovato al cospetto di quel blu, blu classico com’è stato definito, ho avuto un tuffo al cuore. Perché dal vivo è ancora più bella e intensa che in fotografia e quel blu è davvero una magia, si tocca con mano, è percettibile e non è un’esasperazione della post-produzione come si potrebbe pensare osservando le immagini. E poi c’è questo crocefisso appeso al soffitto, bellissimo, enorme, che regala alla scena una meravigliosa aurea mistica e ti lascia quasi senza fiato. Purtroppo i vandali, perché i cretini esistono e sono intorno a noi, hanno scoperchiato la cripta spaccando la lastra di marmo che la ricopriva e rovinato parte della canonica con scritte e devastazione. Come disse Albert Einstein: “Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, ma riguardo l’universo ho ancora dei dubbi“.
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L’eremo di Lanzo è un vero e proprio gioiello dell’architettura barocca. Fu uno dei quattro eremi camaldolesi costruiti nel Seicento in Piemonte assieme a quelli di Torino, Busca e Cherasco, edifici in cui i monaci vivevano in celle in solitudine e preghiera. Nel 1836, dopo la soppressione dell’ordine dei camaldolesi, l’eremo venne affidato ai carmelitani scalzi che lo gestirono sino alla soppressione degli ordini religiosi. Venne convertito in sanatorio, prima per la cura dei reduci di guerra e quindi, infine, per i malati di tubercolosi. Venne chiuso definitivamente nel 2013 e oggi versa in uno stato di degrado davvero vergognoso. La strada che porta all’eremo è chiusa (si fa per dire) e completamente dissestata: la vegetazione si sta riprendendo i suoi spazi in uno scenario degno di Walking Dead. Gli accessi, nonostante i tentativi di chiusura, sono sfondati e chiunque può entrare nell’Eremo senza troppe difficoltà. Dentro non è rimasto più nulla di prezioso: gli archivi sono devastati, i muri cadono letteralmente a pezzi, le porte non esistono più. E’ un vero peccato che una risorsa di questo tipo sia diventata un problema. Ripartire dalla storia e dall’arte per permettere all’Eremo di rivivere è un dovere, non solo morale, dettato dalla nostra costituzione.
Articolo 9: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione”.